Pubblichiamo la seconda parte dello speciale che narra le vicende imprenditoriali ed umane della famiglia di albergatori “Brunet” di Primiero, che attraversa ben sei generazioni, dal lontano 1923 ai nostri giorni. Le storie della famiglia Brunet e di Maria Chenu Moutet (‘la contessa’) saranno rievocate anche in una conferenza dal titolo “100 della nostra storia al cospetto delle Dolomiti” programmata per sabato 11 novembre 2023 a Primiero, curata dal giornalista GianAngelo Pistoia
Ideatrice e autrice del libro: Giovanna Cemin Brunet
Testi del libro a cura di: Liliana Cerqueni
Foto: Archivio Famiglia Brunet e Archivio Diego Taufer [diritti riservati]
Coordinamento speciale: GianAngelo Pistoia – Grafica: Viviana Fontanari
Una vita parallela
E mentre Remo, alle prese con le sue esperienze di vita e professionali muoveva i primi passi nelle responsabilità e difficoltà della conduzione del Tressane, io ero una ragazza alla ricerca di una mia collocazione, con una grande voglia di cambiamento e tanti sogni. Sono nata in una famiglia in cui ci si è sempre sostenuti e aiutati: mio padre Enrico Cemin (1908-1989), la mamma Maria Zanetel (1912-1998), i miei fratelli Antonietta e Dario. Mio padre era in guerra quando la mamma Maria e uno zio, spinti dalla necessità, presero in affitto Malga Ces che all’epoca era la tipica casèra di alta montagna con stalla, circondata dal magnifico scenario di montagne e pascoli. Lavoravano strenuamente e anche a noi figli veniva assegnata la nostra parte di lavoro nella stalla, ad aiutare i pastori, ovunque servisse la nostra presenza. Ricordo che ero una ragazzina e la mamma ci mandava a sedere nel chioschetto costruito nei pressi, con in mano una tazza di caffè con panna o una ciotolina di panna montata, allo scopo di invogliare i turisti che passavano.
Una semplice e rudimentale ricostruzione scenica per promuovere il nostro prodotto, altro che web marketing attuale! Da quel caffè con panna passammo in breve alla somministrazione di piatti tipici come la polenta con salsiccia e tosela, e la clientela sia locale che esterna aumentò in modo soddisfacente. Finita la guerra papà Enrico costituì in valle un’impresa di edilizia e Malga Ces un po’ alla volta si ingrandì diventando il ristorante che oggi conosciamo, gestito da mia sorella e i familiari. Negli anni ’50 andai a studiare tre anni a Trento e scoprii una grande passione per le lingue. Mi misi in testa che dovevo andare in Inghilterra e in Germania per impararle bene e trovai una sistemazione a Monaco di Baviera, presso i proprietari di una pasticceria – panificio, lavorando di giorno e studiando la sera presso una scuola. Venni trattata come una figlia e ho mantenuto nel tempo questo saldo legame con loro, ricordando il bellissimo periodo in cui si lavorava con entusiasmo anche fino a mezzanotte per allestire vetrine, produrre cioccolatini, confezionare marzapane e tante altre delizie artigianali. Non è stato facile guadagnarmi la loro fiducia superando diffidenza e pregiudizi nei confronti degli emigranti italiani ma una volta guadagnata, ho avuto tanti riconoscimenti.
Sono rimasta là due anni e mezzo, con rientri a Primiero sporadici e carichi di nostalgia per Monaco e le amicizie che là avevo coltivato. Herr Martin Gruber, il proprietario, non ha mai mancato di telefonare per il mio compleanno e ci siamo sentiti fino alla veneranda età di 101, quando è venuto a mancare. In Germania mi faceva visita anche Remo, già conosciuto a Malga Ces, che in quel periodo faceva il suo stage presso un albergo di Augsburg. Terminata l’esperienza tedesca, ero pronta per Londra ma ci fu lo stop categorico dei miei genitori che temevano non tornassi più a Primiero: un’aspirazione, la mia, che ancora rimpiango, finita con il rientro in valle e l’impegno ad aiutare mio padre nella contabilità della Ditta di costruzioni. Le mie esperienze lavorative dell’epoca sono state anche in altri ambiti: un breve periodo come cuoca presso l’Istituto Santa Croce appena avviato, un mese presso l’Hotel Dolomiti in Bondone, per approfondire le mie conoscenze in una professione che all’epoca non mi convinceva del tutto. Si era comunque chiuso definitivamente per me un percorso importante all’estero, per lasciare il posto ad un capitolo di vita altrettanto gratificante.
Una storia d’amore, un lungo sodalizio
Quando ho incontrato Remo, ho cominciato ad apprezzarlo pian piano prima di legarmi e arrivare al fidanzamento. Lui era socievole e vivace, piaceva alle ragazze, io avevo conosciuto a Monaco un ragazzo che si era innamorato di me eppure, nonostante queste situazioni diverse, eravamo destinati a trovarci. Ci fidanzammo che avevo 20 anni e ci sposammo, il 9 novembre 1963, dopo 3 anni di fidanzamento, con tanto di banchetto nunziale presso l’Hotel Mirabello. Al momento delle presentazioni in casa, mia suocera aveva esclamato sospirando “Speròn che sie la volta bona!”, tanto desiderava che quel figlio formasse una solida famiglia e trovasse stabilità affettiva. Nel clima dei preparativi, andai a Bologna qualche giorno, ospite di amici, per acquistare l’abito da sposa e prima di partire mia madre sulla soglia mi chiese con tono deciso di non tornare con un abito lungo perché “il vestito semplice è il più elegante”. Questa sua teoria ebbe il potere di infrangere il mio sogno e dovetti rinunciare alla romantica immagine del classico abito da sposa lungo e vaporoso. Mi stabilii in albergo da giovane moglie e trovai una grande famiglia con cui cominciai a collaborare volentieri. Al mio ingresso mia suocera mi consegnò solennemente le chiavi dell’edificio e ritenni quel gesto molto importante dal punto di vista simbolico. Trovai Claudio, fratello di Remo e mia cognata Enedina De Marco, familiarmente Dina, che avevano già due figlie, Luciana e Germana.
Claudio lavorava presso l’allora Azienda Elettrica e si occupava delle manutenzioni e riparazioni in albergo; Dina era una lavoratrice instancabile, impegnata nel bar e di altri ambiti. Non si è mai risparmiata, era affidabile e sempre presente quando c’era bisogno. Era una famiglia che aveva adottato consuetudini e ritmi consolidandoli nel tempo; il mio ingresso era una novità e io dovevo imparare molte cose. Un’ottima consigliera fu Nicolina Gilli, albergatrice dell’Hotel Mirabello, che mi spiegava con pacatezza e competenza quando mi rivolgevo a lei per qualche difficoltà. Nel nostro albergo, mi colpì subito il fatto che ognuno mangiasse quando c’era tempo, compatibilmente con il flusso di lavoro, e ritenni che fosse giusto che io e mio marito sedessimo a tavola assieme stabilendo l’importanza di ritagliare un momento tutto nostro, abitudine che ho mantenuto nel tempo estendendola poi a tutta la mia famiglia. Il lavoro era incessante, anche fino notte fonda, e una volta scesi arrabbiata le scale brandendo una scopa in mano per richiamare alla chiusura che aveva oltrepassato il ragionevole. Una scena comica, oggi impensabile. Gli anni ’60 sono stati ricchi di novità: le cucine e la hall rinnovate, le prime camere con bagno nella ex dependance vicino alle Scuole Elementari, gli arredi con tende e doppie tende, quando ancora tutto questo non era cosa abituale.
Era una vita impegnativa ma talvolta, dopo il servizio, io e Remo riuscivamo a sgattaiolare dall’hotel per qualche uscita di svago tutta per noi, e nascondevamo la macchina per eludere agli occhi vigili del nonno, sempre pronto a indagare. Il 2 giugno 1965 nacque Antonella, la nostra primogenita. Non avevamo una babysitter ma ci siamo sempre organizzati, destreggiandoci tra impegni familiari e lavoro. C’era talvolta qualche cliente pronta a coccolare la bambina e intrattenerla. Le richieste erano numerose e ricordo che in estate affittavamo perfino la nostra camera accomodandoci in spazi di fortuna; una signora con la gamba ingessata rimase nella nostra stanza per un mese. Anni di sacrifici che ora guardo con un pizzico di nostalgia perché erano vitali, imprevedibili, carichi di sfide e anche soddisfazioni, le pietre su cui abbiamo costruito ciò che vediamo ora.
Quel drammatico 1966
C’è una data impressa nella storia delle Valli di Primiero e del Vanoi, che segna un evento drammatico di cui molti conservano viva memoria ancora oggi: 4 novembre 1966. Un risveglio da incubo. Quel giorno, dalla mattina fino alle 22 i torrenti si ingrossarono in una piena mai vista, trascinando con sé una grande quantità di materiale, massi, tronchi, detriti di ponti e strade travolte. Un nubifragio che provocò frane e smottamenti, danneggiando intere porzioni di territorio e i centri abitati. Un evento grave e inaspettato che mise tutti a dura prova. L’Hotel Tressane diventò subito rifugio per molti. Il vicino torrente Cismon tracimò e l’acqua cominciò ad invadere la strada davanti a noi, erodendo la terra anche sotto Villa Stellina di fronte all’albergo. Ospitammo tutti gli abitanti di Villa Trieste, della pensione Serena, Michele Longo del panificio con i familiari e tutti coloro che necessitavano di un riparo.
Al Tressane preparavamo i pasti per la Protezione Civile, gli elicotteristi, le squadre di soccorso, qualche cronista. Il torrente Canali investì la centrale idroelettrica e rimanemmo anche senza corrente. Saltarono ponti, strade, vennero travolti edifici in tutti i paesi e il rumore della massa d’acqua generava angoscia profonda mentre respiravamo l’acre odore della terra smossa. Persero la vita 4 persone. Fu una notte insonne interminabile, ammassati nei locali a tentare inutilmente di riposare. La mattina dopo, si cominciò a realizzare l’enorme portata dell’evento catastrofico e a quantificare i danni. Vivevamo una situazione concitata e non c’era neanche il tempo di fermarsi a riflettere. L’alluvione fu un evento che causò vittime e danni incalcolabili alla Valle di Primiero ed in particolare al paese di Mezzano e alla limitrofa Valle del Vanoi. Chi ha vissuto quei giorni conserva ancora viva l’immagine del disastro, perché eventi di questa portata lasciano un profondo segno nell’emotività della gente.
La vita continua, le sorprese non si arrestano
La ricostruzione fu un impegno enorme per la valle e anche noi, come tutti, eravamo desiderosi di girare pagina e ricominciare. Era il ’68 quando progettammo dei cambiamenti alla struttura alberghiera ed eravamo pronti a dare seguito alle idee che avevamo coltivato. Una di queste riguardava una sala, che abbiamo subito denominato “Sala Merano”, alla quale era destinato un arredamento particolarmente piacevole, in stile con la montagna. Remo decise di andare a Mezzolombardo per vedere un esempio di soffitto e decidere poi se costruirlo in gesso oppure in legno. La sera pioveva a dirotto e il fondo stradale non era sicuro. L’auto di mio marito fu coinvolta in un incidente gravissimo e l’impatto fu talmente devastante che a Primiero correva voce che Remo fosse deceduto. Seguì una lunga degenza all’ospedale di Borgo Valsugana per la ricostruzione del femore e un lungo periodo di riabilitazione dolorosissima a Malcesine. In questo periodo preziosa fu la presenza di mia cognata Dina e sua figlia Luciana nella gestione dell’albergo. Quando arrivò il momento della dimissione, ritornò a casa completamente immobilizzato nel busto di gesso e per far posto al letto ortopedico necessario, io dormii per tutto il periodo sul divano. Sala Merano, intanto, era stata completata e Remo volle vederla. Fu trasportato a braccia dall’amico Lucillo che inciampò e perse l’equilibrio sull’ultimo gradino della scalinata, riuscendo però a salvare Remo da un ulteriore trauma, mantenendolo sollevato. Una scena che non siamo mai riuscitia dimenticare. L’incidente d’auto segnò profondamente Remo ma non spense il suo desiderio di dedicarsi alla nostra attività sempre con entusiasmo, trovando anche il tempo di mettersi a disposizione della comunità negli anni successivi, in diversi ruoli.
Movimentati anni ’70
La nascita di nostra figlia Alessandra, nel 1970, segna l’esordio di un periodo di grandi novità e fermento. Erano anni in cui la Valle di Primiero manifestava i segni del benessere e del consumismo: il turismo si stava sviluppando in tutto il suo potenziale, le strutture alberghiere esistenti permettevano una presenza costante e regolare di ospiti, c’era possibilità di crescita per tutti.
Dal 1970 al 1976 per noi e in generale non fu facile trovare personale per l’albergo perché molti preferivano altri lavori anche fuori valle. Erano gli anni delle contestazioni, le rivendicazioni, gli scioperi, i grandi cambiamenti sociali e si stava entrando in una nuova epoca. Nel ’76 anche Dina ci lasciò per dedicarsi all’Albergo Primiero che lei e famiglia avevano acquistato. Fu un momento di crisi per la nostra gestione e ci vedemmo costretti a concentrare tutti i nostri sforzi sull’ingaggio di figure professionali che contribuissero con competenza all’organizzazione nei vari settori della struttura, ma non fu facile. Il vero cambiamento, la svolta, un’altra importante sfida, arrivarono nel 1974 con l’acquisto del vicino Hotel Iris. Una storia rocambolesca che ci procurò non pochi momenti di ansia e incertezza, finita bene per merito di mio padre e di una bella dose di coraggio e forse incoscienza da parte nostra. Tutto cominciò quando venimmo a sapere che era imminente la vendita di Hotel Iris; esisteva già un progetto che prevedeva la costruzione di numerosi miniappartamenti e questo avrebbe creato uno stravolgimento dell’intera area, nonché del nostro albergo adiacente. Presi alla sprovvista, consapevoli dell’urgenza del momento e dell’enorme impegno finanziario che quell’acquisto richiedeva, indecisi sul da farsi ci rivolgemmo per un consiglio a mio padre Enrico, esperto di edilizia, uomo pratico e di buon senso. Senza tanti giri di parole ci disse: “Gli affari bisogna farli quando vanno fatti.” Una risposta stringata ma risolutiva. Il giorno dopo ci attivammo per l’acquisto. L’iter fu complesso e impegnativo: per recuperare il finanziamento richiesto fu necessario vendere la struttura in costruzione davanti al Tressane, demolire Villa Stellina e un altro edificio, per fare posto alla sede dell’allora Comprensorio, attuale Comunità di Valle. Un’operazione non facile che ci permise di procedere finalmente con l’acquisto e ristrutturazione dell’Hotel Iris. Ci ritrovammo a che fare con un albergo obsoleto su cui gravavano dei mutui precedenti da estinguere. Per noi rappresentava un passo importante che affrontammo però con grande convinzione. La struttura venne completamente rinnovata. La ristrutturazione richiedeva l’abbattimento delle camere con bagno esistenti, talmente piccole da sembrare celle monacali, per edificare una struttura più adeguata e moderna. Ho ancora davanti agli occhi l’immagine di mio padre che sotto una pioggia battente e i piedi affondati nel fango osservava uno scavo profondo, immobile e pensieroso.
Non mancarono momenti in cui, pur di arrivare a pagare i dipendenti dell’albergo e gli operai del cantiere per onorare tutti gli impegni, io arrivai a pensare di vendere tutti i miei gioielli e le cose personali di valore, cosa che per fortuna non si avverò. Oggi penso che senza tutto ciò non saremmo arrivati alla bella realtà delle nostre attività. In quegli anni di grande trambusto e per il resto della sua vita, Remo riuscì anche a spendersi nell’impegno pubblico come presidente dell’Associazione Albergatori, amministratore del Comune di Tonadico come vice sindaco e assessore per 21 anni, presidente dell’Apt, presidente dell’allora Azienda Elettrica Consorziale Municipalizzata, vice presidente della società Impianti di risalita Rosalpina, Cavaliere del Lavoro dal 1987. Anch’io ho avuto la grande soddisfazione di essere stata insignita dell’onorificenza di Cavaliere della Repubblica Italiana, conferimento del quale devo essere grata al Prof. Claudio Eccher e la moglie Adi, sempre vicini alla nostra famiglia. Nei decenni successivi abbiamo lavorato incessantemente per rendere sempre più attrattive e confortevoli le strutture che gestivamo. A partire dal 2000 Hotel Tressane e Park Hotel Iris vennero inglobati in un unico brand: Brunet Hotels. La decisione era dettata da ragioni di marketing, di funzionalità gestionale ma anche dal desiderio di promuoverci con il nome di famiglia. I tempi erano maturi per un resort unico che comprendesse entrambe le strutture e sintetizzasse in una nuova realtà quella che era stata fino allora la nostra storia. Io seguivo la gestione del personale e le attività dei vari settori, Remo mi supportava ed era presente soprattutto nelle situazioni difficili, destreggiandosi tra i nostri clienti e gli impegni pubblici esterni, il suo incarico di insegnante di tedesco e le esigenze di un’attività diventata molto impegnativa.
Dobbiamo molto al personale che ha operato presso il Tressane e l’Iris, riconoscendone il lavoro, la dedizione e la bravura. Ricordo tutti: coloro che hanno trascorso con noi l’intera vita professionale fino al pensionamento, quelli che si sono fermati per poco tempo, chi era particolarmente affezionato a tutta la famiglia, chi suggeriva innovazioni e cambiamenti, chi di poche parole metteva l’anima in ciò che faceva. La storia di ciascuno si intreccia con la nostra storia e quella di un secolo dell’Hotel Tressane, dimostrando ancora una volta che la rete di relazioni nel corso di ogni vita è qualcosa di duraturo e inossidabile.
I nostri ospiti
Nel corso delle varie epoche la tipologia di clientela è molto cambiata; le richieste si sono trasformate in conformità ai tempi e alla mutevolezza della società. Ciò che non è mai venuto meno, per noi, rimanendo costante nella storia dei nostri Hotel, è il valore dell’accoglienza, dell’ospitalità e della qualità dei servizi che offriamo per il totale benessere dei nostri ospiti. Negli anni ’70 arrivavano molto spesso clienti del jet set italiano, famiglie blasonate, industriali e grossi commercianti. Tra i più affezionati ricordo i conti Accame di Bologna; la contessa teneva una fitta corrispondenza con i Kennedy, il Papa e la famiglia Savoia. Un generale, abituale ospite, chiedeva di cambiare la disposizione dell’arredamento della stanza ad ogni suo soggiorno. Il fine settimana arrivavano i mariti per riunirsi a mogli e figli, formavano grandi tavolate in amicizia e le angurie portate da qualcuno diventavano lo spuntino di tutti. C’era affiatamento, voglia di conoscersi e relazionarsi. Alcuni ospiti finivano col diventare nostri amici e noi eravamo sempre disponibili ad accettare suggerimenti e consigli. Ospiti di quegli anni anche i campioni del ciclismo Coppi e Bartali.
Nei decenni successivi è cambiato il profilo dell’ospitalità: non più lunghi periodi di permanenza che duravano anche tutta l’estate, molto più movimento, una clientela molto più eterogenea. Brunet Hotels hanno ospitato, e continuano a farlo, molti personaggi dello spettacolo, attori, registi, produttori, esponenti del mondo della politica e dello sport, turisti che provengono da tutte le località nazionali e internazionali. Abbiamo avuto il piacere di accogliere Alessandro Baricco, Carlo Conti, Leonardo Pieraccioni, Alessandro Preziosi, Aurelio De Laurentis, J.J. Annaud, Arisa, Christian De Sica, Luisa Ranieri, Lillo e Greg, Debora Caprioglio e molti altri. E con grande piacere abbiamo ospitato la On. Liliana Segre, Senatrice della Repubblica. Il 19 febbraio 1996 Park Hotel Iris ha aperto le porte a un “ospite reale”, Sua Altezza il Principe Filippo di Edimburgo, consorte della compianta Regina Elisabetta d’Inghilterra. L’occasione era dettata dalla cerimonia pubblica alla quale il principe doveva presenziare, organizzata dal Comitato per il premio internazionale intitolato all’ing. Luigi Negrelli, consegnato alla società Eurotunnel, realizzatrice del tunnel sotto il Canale della Manica.
Alla cerimonia ufficiale si aggiungeva un momento fuori protocollo: l’incontro di riconciliazione dopo 140 anni di battaglie giudiziarie, tra le famiglie Negrelli e Lesseps, che metteva un punto alle luci ed ombre che tenevano in sospeso le vicende intercorse. La richiesta di ospitare l’illustre membro reale arrivò in un momento in cui io non ero neanche in gran forma perché avevo appena subìto un intervento, e l’dea di ospitare il Principe generò subito uno stato di fibrillazione e preoccupazione. In fondo non capita tutti i giorni di ospitare un personaggio di tale caratura! Le richieste che ci erano state rivolte erano chiare: ad accoglierlo dovevano esserci solo l’albergatore padrone di casa e il sindaco di allora Marco Depaoli; l’alloggio doveva ubicarsi al primo piano perché il principe non prendeva l’ascensore; il menù era a nostra discrezione, piatti semplici visionati ed approvati dallo staff al seguito, come flan di carciofi ai porcini, tortelloni al radicchio e pappardelle all’anatra, filetto rustico e dessert di frutti di bosco. Allestimmo il primo piano di Iris Park Hotel con ogni cura possibile, consegnandolo ai numerosi poliziotti di scorta ovunque, all’interno e all’esterno, avvertendo la responsabilità del momento. Ero talmente presa dalla solennità dell’evento che decisi di usare il mio personale copriletto nuziale di seta pesante per il letto di Sua Altezza Reale. Il seguito del principe aveva disposto di utilizzare le sue stoviglie da viaggio personali, set che avrebbe poi utilizzato nel proseguimento della visita in Libia. Per l’occasione fu necessario sistemare altrove gli ospiti presenti in albergo che si rivelarono comprensivi e collaborativi; soltanto due sorelle si ostinarono a rimanere, decise a partecipare alla cena, affascinate dall’idea della presenza reale. Non fu possibile distoglierle in nessun modo da questa decisione e furono fatte accomodare in una zona non problematica della sala. Fu una giornata intensa anche perché al Tressane alloggiavano molti giornalisti e operatori televisivi provenienti da ogni dove, impegnati a riprendere i vari incontri con le autorità e la cerimonia. Unico momento che esulava dall’etichetta fu l’incontro del dopocena con le guide alpine, ricordando i primi scalatori inglesi che frequentarono la nostra valle.
A celebrazioni avvenute, secondo un rigido protocollo, la mattina successiva fu fissata per le ore 8.17 esatte la foto di rito con il Principe Filippo, la nostra famiglia e quella del sindaco Depaoli. Di Filippo di Edimburgo mi è rimasto il ricordo della serietà compassata, dettata sicuramente dal rango e dal cerimoniale ma anche dalla compostezza tipicamente inglese. Ricevemmo dopo poco tempo i ringraziamenti della Corte del Regno Unito, a dimostrazione che tutto era andato perfettamente secondo le direttive.
Passaggio di testimone
I figli “so’ piezz’ ‘e core”, “i figli sono pezzi di cuore”, recita una famosa e citatissima massima napoletana per indicare il bene viscerale di una madre per i propri figli. E così sono per me Antonella e Alessandra. Ho bellissimi ricordi di quando erano bambine, le ho seguite da adolescenti, le vedo ora donne esperte ed energiche muoversi negli spazi di Tressane e Iris, relazionarsi con i clienti, organizzare con i loro mariti Alberto e Antonio e i loro figli ogni aspetto della nostra vita imprenditoriale. E nell’osservarle convengo che il mio ruolo di madre è stato assolto; io e Remo abbiamo trasmesso loro dei valori, l’amore e la passione per i nostri hotels, a volte tra ostacoli e difficoltà che la vita non risparmia. Ora tocca a tutti loro.
Giovani generazioni: una finestra sul futuro
A cento anni dall’inizio di questa lunga avventura attraverso le varie epoche, generazione dopo generazione, siamo arrivati all’immagine di un complesso alberghiero ben definito e sempre in grado di esprimere un potenziale rivolto al futuro.
Enrico Scalet, Elisabetta Scalet, Michele Stompanato ed Elena Stompanato, i miei nipoti, rappresentano il divenire, la quinta generazione nella gestione della nostra realtà aziendale, che farà la storia di domani. Sono ragazzi energici, propositivi, gran lavoratori già ora, con un’idea precisa di ciò che dovrebbe essere il resort nei prossimi anni e del contributo che ciascuno potrà dare. Un grazie col cuore.
Ho sentito il desiderio di raccogliere i miei ricordi e intessere la nostra storia proseguendola con le narrazioni dei miei familiari. Un lungo filo che unisce tempi, spazi e persone, ciascuna delle quali ha lasciato il proprio segno. È una storia scritta da chi ci ha preceduto, chi continuerà, i numerosissimi ospiti che si sono susseguiti nella nostra “casa”, i tanti collaboratori che ci hanno aiutato nel passato e quelli che continuano, con il loro lavoro, ad essere presenze irrinunciabili e preziose oggi.
Voglio ringraziare mio marito Remo, le mie figlie Antonella e Alessandra con i loro mariti Alberto e Antonio, i miei nipoti Enrico, Elisabetta, Elena e Michele, i miei genitori, i miei fratelli Dario con Daria e Antonietta con Mario, i miei suoceri, i consuoceri, i miei cognati Dina e Claudio con i loro figli Luciana, Germana e Giuliano, tutti coloro a me vicini, in particolare Marta Caserotto e Luciana Pradel, che con il loro affetto, gli incoraggiamenti, il continuo confronto, hanno reso possibile tutto ciò che oggi festeggiamo: un secolo di Hotel Tressane e Iris Park Hotel. Non è possibile ringraziare tutti di persona ma spero giunga a ognuno la mia riconoscenza e quella della mia famiglia, in questa occasione di festa che celebra un secolo di incontri, ospitalità e accoglienza.