E’ quanto emerge dal dossier Coldiretti “L’attacco al latte italiano, fatti e misfatti”
NordEst – La vita o la morte di molte stalle sopravvissute fino ad ora in Italia dipende da almeno 5 centesimi per litro di latte che si ricavano dalla differenza tra i costi medi di produzione pari a 38-41 centesimi e i compensi riconosciuti scesi a 34 centesimi al litro. E’ quanto emerge dal dossier Coldiretti “L’attacco al latte italiano, fatti e misfatti”, presentato in occasione della guerra del latte con l’assedio di migliaia di allevatori con trattori e mucche al seguito alla multinazionale francese Lactalis che ha comprato i grandi marchi nazionali Parmalat, Galbani, Invernizzi e Locatelli ed è il primo gruppo del settore in Italia.
L’industria ha deciso unilateralmente di tagliare i compensi per il latte alla stalla di oltre il 20 per cento in meno rispetto allo scorso anno, per gli allevamenti della Lombardia dove si produce quasi la metà del latte italiano ed è quindi un punto di riferimento nazionale. Il prezzo del latte riconosciuto oggi agli allevatori è inferiore a quello di venti anni fa e vengono proposti accordi capestro che fanno riferimento all’indice medio nazionale della Germania, con una manovra speculativa del tutto ingiustificata e quindi inaccettabile perché la produzione italiana di latte si distingue per le elevate caratteristiche qualitative. D’altra parte, ha denunciato la Coldiretti, la stessa multinazionale si guarda bene dal praticare sul mercato italiano gli stessi prezzi di vendita al consumo per latte e formaggi della Germania.
Il risultato è che nel 2015 hanno chiuso circa mille stalle, oltre il 60 per cento delle quali si trovava in montagna, con effetti irreversibili sull’occupazione, sull’economia, sull’ambiente e sulla qualità dei prodotti.
Gli allevatori chiedono un adeguamento dei compensi in esecuzione della legge 91 del luglio 2015 che impone che il prezzo del latte alla stalla riconosciuto agli allevatori debba commisurarsi ai costi medi di produzione che variano da 38 a 41 centesimi al litro. In altre parole gli allevatori devono vendere tre litri di latte per bersi un caffè al bar, quattro litri per un pacchetto di caramelle, quattro litri per una bottiglietta di acqua al bar e quasi 15 litri per un pacchetto di sigarette.
Lo studio sui costi di produzione del latte bovino elaborato in esecuzione della legge 91 del luglio 2015 evidenzia che nel giugno 2015 in Lombardia i costi medi di produzione del latte oscillano da un minimo di 38 centesimi al litro per aziende grandissime di oltre 200 capi di pianura, a prevalente manodopera salariata, con destinazione a formaggi a Denominazione di origine protetta, fino ad un massimo di 60 centesimi al litro per aziende piccole di 20-50 capi di montagna/collina, a prevalente manodopera familiare, con destinazione del latte a formaggi Dop.
“Siamo dunque di fronte ad una palese violazione delle norme poiché si tratta di un valore inferiore in media di almeno 5 centesimi rispetto ai costi di produzione e che, non coprendo neanche le spese variabili per l’alimentazione, il lavoro e l’energia, spinge all’abbandono delle campagne italiane con effetti irreversibili sull’occupazione, sull’economia, sull’ambiente e sulla qualità dei prodotti che giungono sulle tavole”, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “occorre intervenire per ripristinare le regole di trasparenza sul mercato di fronte ad un vero e proprio attentato alla sovranità nazionale che non sarebbe certo tollerato in altri Paesi dell’Unione Europea come la Francia”.
Dalle frontiere italiane passano ogni giorno 3,5 milioni di litri di latte sterile, ma anche concentrati, cagliate, semilavorati e polveri per essere imbustati o trasformati industrialmente e diventare magicamente mozzarelle, formaggi o latte italiani, all’insaputa dei consumatori. Nell’ultimo anno hanno addirittura superato il milione di quintali le cosiddette cagliate importate dall’estero, che ora rappresentano circa 10 milioni di quintali equivalenti di latte, pari al 10 per cento dell’intera produzione italiana. Si tratta di prelavorati industriali che vengono soprattutto dall’Est Europa che consentono di produrre mozzarelle e formaggi di bassa qualità.
Considerato che a fronte di una produzione nazionale di circa 110 milioni di quintali di latte sono circa 86 milioni di quintali le importazioni di latte equivalente dall’estero, c’è il rischio concreto che il latte straniero possa per la prima volta superare quello tricolore.
E per ogni milione di quintali di latte importato in più scompaiono 17mila mucche e 1.200 occupati in agricoltura.