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Passione speleo: alla ricerca dell’acqua, sono 2500 circa le grotte in Trentino

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Un affresco appassionante del lavoro di speleologi e geologi, quello tracciato dai relatori, alla ricerca dell’acqua, innanzitutto, perché gli ambienti ipogei, in particolare quelli dolomitici, sono una sorta di gigantesche spugne, e racchiudono giacimenti idrici estesissimi

NordEst – Formatesi nel corso  dei secoli (alcune anche 30-40 milioni di anni fa) le grotte trentine, fin dagli anni 80, sono oggetto di studi scientifici rigorosi, volti in primo luogo a conoscere lo stato di salute delle acque carsiche, le loro origini, i loro percorsi fino alle basse quote.

Il Presidente della Commissione speleologica della SAT Marcon ha tracciato un affresco del lavoro dei “geografi del buio”, gli speleologi. “E’ grazie a loro che la gran parte delle persone può conoscere e apprezzare il mondo ipogeo. – ha ricordato – In Trentino gli ambienti carsici sono protetti da una specifica legge provinciale, che ha però ormai 40 anni di vita, e andrà quindi sottoposta ad un processo di aggiornamento”.

Zambotto  e Santulliana, del Servizio Geologio della Provincia, hanno approfondito l’esplorazione di questo universo carsico. Il gruppo del Brenta, con i suoi 560 kmq., costituisce il 9 per cento dell’intero territorio trentino. Servizio Geologico e Muse lo hanno studiato passo passo, scoprendo che la portata media delle sorgenti carsiche è di 12 mq. al secondo. Solo poco meno di un decimo di questo patrimonio viene utilizzato oggi per gli usi civili, il che è indicativo di quanto grandi siano le sue potenzialità.

In principio le ragioni degli studi erano legate soprattutto alla necessità di appurare lo stato di salute delle acque. Successivamente si è approfondita la conoscenza delle traiettorie dell’acqua nel suo tragitto dall’alto, dalle sorgenti principali, alle quote medio-basse. Le prove di tracciamento sono state condotte in primis sul Grostè, dove all’inizio degli anni 80 erano stati rilevati inquinamenti da coliformi a causa degli scarichi dei rifugi. Successivamente le ricerche si sono spostate anche nella zona del Tucket, del rifugio Pedrotti, del rifugio Agostini e così via. In questo modo è stato possibile ottenere un quadro sempre più preciso del comportamento delle acque che fuoriescono dalle sorgenti. Molto, però rimane ancora da fare.

Quali strumenti si usano per compiere questi studi? Soprattutto il fluorimetro, ideato dall’università di Neuchatel, per monitorare il percorso dei traccianti immessi nelle acque a monte, normalmente fluorescina (o uranina), ed inoltre il Tinofal. Si tratta ovviamente di sostanze innocue, usate anche negli acquedotti e per scopi medici. Altre sostanze isotopiche vengono utilizzate in particolare per conoscere la permanenza delle acque all’interno dei massicci, che può variare considerevolmente nel tempo, fino a migliaia di anni.

Il Presidente del gruppo Grotte di Brenta Donini ha illustrato il lavoro di esplorazione degli ambienti carsici del Brenta sviluppato dagli speleologi del gruppo, in stretta sinergia con i geologi. L’attività inizia innanzitutto con l’armare le grotte, per potervi accedere in sicurezza. Nel corso dell’attività di esplorazione le grotte vengono fotografate e disegnate, ed il materiale raccolto consegnato al Servizio Catasto del Trentino.

L’attività speleologica, ha chiosato Morandi, è un’attività scientifica, ma ha dei risvolti umani fortissimi. Spesso significa, per chi vi partecipa, realizzare un sogno, coltivato fin da bambini. Scendere una grotta significa compiere un viaggio nel tempo, ma significa anche imparare a conoscere meglio se stessi, Per questo continua ad affascinare così tanto anche chi rimane in superficie.

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