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Primiero saluta Fabio Simion, uno degli ultimi fotografi della “vecchia scuola”: nei suoi scatti le Dolomiti

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Il 2022, dopo Ovidio Gilli, ci ha tolto anche l’ultimo fotografo della vecchia scuola, di quelli che una immagine prima di scattarla la ragionavano, ne studiavano l’inquadratura e la luce consci del fatto che quello che stavano facendo era unico

Le storiche foto in bianco e nero di Fabio Simion [diritti riservati]

 

di Ervino Filippi Gilli

Primiero/Milano – Fabio Simion (nella foto in basso ndr) è nato a Fiera di Primiero (Trento) nel 1940, frequenta l’Istituto Tecnico Industriale Superiore a Bolzano, dove si diploma nel 1960. Nel 1967 si trasferisce a Milano dove apre uno studio di fotografia ed esercita l’arte fotografica a livello professionale, collaborando alle maggiori testate d’Arte, Design, Musica,  Poster, Cover di dischi, Grandi Collezioni d’Arte e importanti Musei in Italia e all’Estero, Etnografia, Arredamento, Food, Pubblicità e  Ricerca.

Pubblica numerosi libri fotografici riguardanti la Valle di Primiero: “Primiero, storia e attualità”,  “Primiero, L’Arte Sacra”, “Primiero, Il tempo,Il Lavoro”, “Primiero, Il Palazzo delle Miniere”, “Primiero, Una Valle Dolomitica”, “I Welsperg”, “Alchini Silvio e Giulio”, “Augusto Murer e Mario Rigoni Stern”, “Nanni Gadenz” (a cura), “Una Storia Infinita”(Donazione Ligabue), “Le Miniere di Primiero” e altre pubblicazioni minori.

Oltre a questi pubblica altri volumi fotografici riguardanti il suo lavoro professionale, per Mondadori 3 grandi libri: ”Berealto”, “Il Libro degli Spiriti”, “Spumanti & Champagne”, per Giorgio Mondadori 10 volumi di Cucina regionale Italiana, nonché la Grande Collezione d’Arte Africana ed Esquimese dell’Aga Kahn. Partecipa come fotografo a varie campagne pubblicitarie per prestigiose marche commerciali. Quest’anno ha pubblicato un importante volume riguardante l’Arte gestuale e Poesia visiva negli Anni ’80, intitolato “Gianni Sassi, uno di noi”.

Con Fabio ho collaborato nel 2016 alla mostra sui cinquant’anni dall’alluvione del 1966 e ricordo che rimasi colpito dalle sue fotografie. Le sue immagini non erano una cronaca fredda dell’alluvione, non ci restituivano superficialmente il danno cagionato dall’acqua o dal fango, non volevano documentare un freddo elenco di danni e basta; Fabio Simion ricercava il particolare, studiava l’inquadratura e la luce dando ad un evento disastroso come l’alluvione un’aura quasi poetica. Più che ai danni causati dagli elementi, Fabio Simion guardava agli uomini, agli effetti che il disastro aveva avuto su di loro, alla fatica di riprendersi dopo la tragedia.

Noi ormai siamo di un’altra scuola, siamo figli del digitale, per noi tanto fa scattare una o cento immagini, poi tanto con il software, tutto (o quasi) si migliora e si modifica; per lui no e per questo ci mancherà il suo occhio attento e mirato, la sua cura nell’inquadratura.

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