NordEst

E’ bufera sulla scelta del logo

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Numerose sono le voci di protesta che criticano la scelta della giuria presieduta da Cesare Micheletti. Il logo incriminato esce da una selezione di oltre 400 proposte, alcune delle quali pervenute anche dall’estero. Il presidente giustifica così la decisione presa «Abbiamo scelto un logo che riunisce in sè gli aspetti geologici, paesaggistici e culturali richiesti dal bando, proiettando però le Dolomiti in una dimensione moderna».

Forse la dimensione moderna non convince tanto o forse è difficile identificare nelle linee a perpendicolo di Arnaldo Tranti, designer valdostano di Saint Cristophe, qualche somiglianza con la meraviglia e la maestà delle Dolomiti. Tutti concordi nell’affermare che quel reticolo ricorda più i grattacieli di grandi metropoli, che le rocce plasmate nei millenni prima dalle acque degli oceani primordiali, poi dal sole e dal vento.

E se la protesta è popolare e generalizzata, dal Friuli al Trentino, attraverso articoli sul web, commenti caustici su vari blog, non mancano le critiche anche da parte di personaggi pubblici. Così dice uno che di montagne se ne intende, il re degli Ottomila Reinhold Messner: «Devo dire che all’inizio non volevo credere fosse il logo scelto per rappresentare le Dolomiti. Credevo fosse un altro disegno, un simbolo scelto per identificare New York. O comunque una grande città. Ma neppure una grande città qualsiasi. Non potrebbe ad esempio secondo me identificare né Roma, né Londra. Ma solo grandi metropoli moderne.

O quella americana o Tokyo. Perchè mi sembra un simbolo che richiama la capacità dell’uomo di costruire, il logo di qualche cosa di artificiale, umano. Io voglio precisare una cosa: non voglio esprimere un giudizio, né criticare perché quello del grafico non è il mio lavoro. Ma conosco le Dolomiti però, e la sensazione è che un simbolo così abbia potuto crearlo solo uno che di Dolomiti e natura sa ben poco». 

 
Del medesimo avviso Luis Durnwalder: «A me non piace. Ma non deve piacere a me, bensì a tutti. Quindi magari sbaglio, ma a me fa venire in mente solo grattacieli». 
 
Decisamente meno diplomatico il pubblicitario Oliviero Toscani: «Si, li ho visti i loghi. Chi era la giuria? Anzi, glielo dico io. Erano per caso politici ed esperti di marketing? Perchè si vede. Questi elaborati sono di una povertà mortificante. Fanno schifo tutti e tre. Amo le Dolomiti, non meritavano questo. Quello rosso con le montagne che sembrano grattacieli? Cosa c’entra con le Dolomiti? Ma anche gli altri due. Sembrano marchi di un supermercato. Andrebbero benissimo per della carne in scatola. Si vede che sono stati selezionati da gente che lavora nel marketing. Gente incompetente che farebbe meglio a cambiare mestiere» e prosegue «Sono come tre rotoli di carta igienica, uguali l’uno all’altro. Non ce n’è uno meglio o uno peggio, fanno schifo tutti e tre.

Mi dispiace, perchè sono un grande amante delle Dolomiti, sono per me delle montagne uniche al mondo. Con quei colori cangianti a seconda dell’incidenza della luce, quelle forme che le avvicinano, anche se sembra un’eresia, un’opera d’arte. Guardarle è un’emozione, che non emerge certo da questi marchi. Le Dolomiti sono equiparabili a delle sculture». Se è ciò che pensa dei vincitori, si immagini come dovevano essere quelli che hanno perso. «La rovina della pubblicità è il marketing. I loro esperti sono masse di incompetenti che hanno creato dei lavori buoni per dei subumani. Quegli stessi subumani che poi sono chiamati a valutare cos’è l’estetica, cos’è l’arte. E’ molto triste, ma questi sono i risultati. E si vede».

 
Solo dal Trentino, infine, arriva una promozione del marchio, con gli assessori provinciali Mellarini e Gilmozzi che lo difendono: «È un simbolo che va interpretato, e che richiama le quattro comunità custodi delle Dolomiti. Ed è moderno, inoltre svetterà facendosi riconoscere su tutte le documentazioni in cui si parlerà di Dolomiti».
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