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Dolomiti, “100 anni della nostra storia” di turismo: Giovanna Cemin Brunet si racconta e saluta la sesta generazione (Prima parte)

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Pubblichiamo questo speciale dedicato alla storia della famiglia Brunet di Primiero – albergatori di lungo corso tra le Dolomiti trentine – proprio quando si festeggia l’arrivo della piccola Camilla, figlia di Elisabetta e Nicola. “Nell’anno del centenario, nasce quindi la sesta generazione”. Auguri da tutta la nostra redazione. Il libro rievoca la storia, dagli esordi nel 1923 con un’osteria in località Tressane a Tonadico fino ad oggi

[ Copertina del libro “100 anni della nostra storia” di Giovanna Cemin Brunet ]

Ideatrice e autrice del libro: Giovanna Cemin Brunet
Testi del libro a cura di: Liliana Cerqueni
Foto: Archivio Famiglia Brunet e Archivio Diego Taufer [diritti riservati]
Coordinamento speciale: GianAngelo Pistoia – Grafica: Viviana Fontanari


 

Primiero (Trento) – Sono 100 anni di accoglienza, ospitalità, incontri, amicizie, duro lavoro, imprevisti, sacrifici, soddisfazioni, rischi e coraggio. La storia della mia famiglia è un lungo cammino che attraversa i tempi e percorre le nostre vicende dal 1923 ad oggi. È una storia di ristoratori e albergatori, quella della famiglia Brunet, che dell’ospitalità hanno fatto vocazione, dedicando tempo, idee, energie, passione a un’attività non facile ma entusiasmante, cominciata con una piccola osteria per arrivare a un complesso articolato, all’insegna della massima qualità e benessere.

E nel raccontare i fatti più significativi che hanno visto affermarsi nel tempo la nostra professionalità, rivivo anche spaccati di storia della Valle di Primiero e San Martino di Castrozza, gli anni dei primi segnali di quel turismo e sviluppo socioeconomico destinato a crescere, i fatti catastrofici che si sono abbattuti sul nostro territorio e la tenacia della popolazione nell’affrontare le calamità e gli ostacoli, la trasformazione del paesaggio, la ricostruzione e le nuove sfide che i cambiamenti epocali richiedevano. Ho incontrato molte persone che hanno lasciato un segno profondo nella mia vita rendendola piena di significato, appagante e movimentata. Mi ritengo fortunata di poter raccontare e condividere con voi tante vicende che hanno visto crescere la nostra attività, accompagnate anche dagli imprevisti e dalle sorprese che la vita riserva sempre. É bello arrivare a un traguardo come questo, girarsi un attimo e rivedere come in un film le sequenze della mia vita e di quella di tutti coloro che mi hanno affiancata con la loro presenza, il loro sostegno e il loro lavoro.

Primiero: un turismo radicato nella storia e nuove figure imprenditoriali

ll turismo della Valle di Primiero parte da molto lontano e vanta una tradizione secolare, andata sviluppandosi e rinnovandosi notevolmente nel corso del tempo, che ha dato volti sempre nuovi all’ospitalità. Locande e osterie, disseminate nei vari paesi, esistevano in un lontano passato e gli Statuti del 1367 contengono riferimenti precisi alla regolamentazione di “osterie e bettole”; erano poco frequentate da passanti e avventori occasionali, a differenza dell’affluenza piuttosto massiccia nei locali più centrali della valle, dove spiccava la presenza dei minatori, detti “canopi” (Bergknappen). A San Martino di Castrozza, l’attività di accoglienza comincia addirittura intorno all’anno 1000, con l’ospitalità gratuita e assistenziale offerta ai viandanti da parte del monastero benedettino presente nella località. Si parla di turismo vero e proprio solo nella seconda metà del XIX secolo, con l’arrivo dei primi alpinisti inglesi che potevano trovare alloggio a pagamento nel secondo piano dell’ospizio del priorato. Da allora, lo sviluppo alberghiero non conobbe tregua, anche in seguito al collegamento stradale tra Primiero e Predazzo, e nel corso del 1800 e i primi decenni del ‘900 vennero costruiti alberghi e pensioni con una capacità ricettiva di 1500 posti letto. L’unico periodo difficile che registrò l’assenza della raffinata e ricca clientela dall’estero fu l’epoca della Prima Guerra mondiale quando, durante la ritirata delle truppe austriache nel maggio del 1915, gli alberghi furono incendiati lasciando desolazione e rovine. Con la ricostruzione decollò una nuova epoca.

[ Veduta panoramica di Pieve e di Fiera di Primiero ]
Anche il fondovalle intraprese la stessa attività ricettiva di San Martino di Castrozza e a Primiero nacquero e vennero attuate iniziative turistiche importanti. I primi turisti erano in prevalenza inglesi e americani e successivamente tedeschi e italiani da tutte le regioni del nostro Paese. Tra gli imprenditori dell’epoca va ricordata una figura particolare, Martino Orsingher (1857-1937) il quale, rientrato in valle da emigrante all’estero, gestì l’osteria Isolabella, l’albergo alla Posta e fondò l’osteria Orsingher – oggi bar Genzianella -, costruì l’albergo Orsingher, avviò in Valserena a Siror la conosciuta fabbrica di birra, gazzosa e selz, oltre che distilleria. La sua variegata attività comprendeva perfino una piccola rivendita di ghiaccio. Per completare questo esempio di grande visione e iniziativa imprenditoriale, ricordiamo anche come Martino Orsingher abbia fondato nel 1906 la “Società di abbellimento e per l’incremento dei forestieri”, antesignana delle odierne pro Loco e Aziende per il Turismo, dando una notevole svolta allo sviluppo del comparto turistico, promuovendo la valle su giornali nazionali e stranieri e studiando nuovi sentieri e passeggiate fruibili dai villeggianti. L’attività di Martino proseguì con il figlio Antonio, che fece costruire l’Albergo Iris, acquistò l’Albergo Primiero e aprì il Cinema Primiero nel 1911. La storia della famiglia Brunet si intreccia così con l’epopea della famiglia Orsingher, in un carosello di avvenimenti e avvicendamenti che ruotano attorno ad un’unica grande passione: l’accoglienza turistica.

[ Veduta panoramica di Fiera di Primiero e di Tonadico ]
Superati i drammatici eventi della Seconda guerra mondiale, a San Martino di Castrozza e Primiero il secondo dopoguerra cambiò definitivamente il volto del turismo: nacque il turismo invernale e con esso, negli anni ’50-’60, i primi impianti di risalita, skilifts, seggiovie, funivie, cabinovie; si svilupparono altre forme di ricettività, cambiò la tipologia di clientela. Ma la vocazione all’ospitalità non ha mai cessato di essere il motivo trainante di questa attività che rappresenta un riferimento fondamentale della vita identitaria della valle. I binomi Turismo-salute e benessere, Turismo-sport, Turismo-divertimento continuano a costituire i grandi temi di questo comparto importantissimo per la valle, garantendo all’ospite competenza, gentilezza, cura e diversificazione nei servizi offerti.

Antonio e Lucia, una coppia intraprendente

Era il 1923 quando i nonni di mio marito Remo, Antonio Brunet (1876-1957), conosciuto come “Tonè”, e Lucia Gadenz (1882-1966), decisero di acquistare una casetta di modeste dimensioni in località “Primierino”, oggi Tressane, destinata a diventare la pietra miliare della nostra avventura di albergatori.

[ Nonni Lucia Gadenz e Antonio Brunet, la prima generazione dei Brunet albergatori ]
Furono gli unici a optare per l’adattamento di un edificio già esistente in quella zona, quando la tendenza dell’epoca era quella di investire i guadagni da emigranti in America o altre destinazioni in nuove costruzioni. Il nome Tressane ha sempre stuzzicato la fantasia sulle sue origini: la versione che ricordo con più immediatezza si riferisce a tre sorelle, definite le “tre sane”, il cui comportamento poco serio e anticonvenzionale le portò in tribunale con la prospettiva della condanna al rogo, in epoca di inquisizione e caccia alle streghe. Una versione leggendaria pittoresca, sulla quale non esiste una documentazione attendibile. Una spiegazione più plausibile e accreditata si rifà alle ‘tre sante’ raffigurate in un capitello situato nella zona, andato distrutto durante la prima guerra mondiale. Nel pieno delle vicende che riguardavano tempi duri per tutti, nonno Tonè decise di emigrare in America, come molti in quegli anni. Un viaggio avventuroso all’epoca, che prometteva miraggi di grandi cambiamenti. L’America offriva nuove opportunità di guadagno e il nonno, che lavorava nelle miniere di carbone del Kansas, intraprese più viaggi attraversando l’Atlantico per ben quattro volte, alternando i soggiorni americani con i rientri a Primiero. Il periodo più lungo negli Stati Uniti fu di 17 anni, un tempo lunghissimo.

[ I fratelli Antonio e Narciso Brunet in Kansas negli anni Trenta ]
La sua partenza significò lasciare alla moglie Lucia la responsabilità della casa appena acquistata e lei, donna di acume e di grande senso pratico, pensò di trasformare il piano terra dell’abitazione in rivendita di pane, che diventerà poi osteria, riconoscendo nella località Tressane un luogo di passaggio di grande potenziale, crocevia per chi era diretto a San Martino e per coloro che si recavano a Sagron Mis. C’era chi scendeva da Passo Cereda a Primiero per rifornirsi di generi alimentari portando sulla schiena la caratteristica gerla, per poi fare ritorno a casa con le provviste. Una sosta alla rivendita era quasi d’obbligo sia per acquistare il pane che per quattro chiacchiere in compagnia. Nonna Lucia non si accontentò della rivendita e anticipò con una nuova iniziativa i bisogni di quei viaggiatori che si apprestavano ad affrontare un lungo percorso con un carro o a piedi, calzando d’inverno le ciaspole per non affondare nella neve. Non era un viaggio da poco a quei tempi e il percorso imponeva forza ed energia, conoscenza del terreno e dell’ambiente, oltre che temerarietà. Il panificio diventò quindi un’osteria dove sedersi, raccogliere le forze, scaldarsi e bere qualcosa in compagnia prima di affrontare il ritorno. Un lungo cammino li attendeva e quel piccolo ristoro rappresentava un luogo in cui ricaricare le energie, scambiare pareri, informazioni e idee, ma anche chiacchiere di paese più leggere con gli altri clienti. Era uno spazio di relazione sociale dove ci si incontrava e si poteva stringere anche qualche accordo di affari “sulla parola”, discutere di lavoro, scambiare esperienze. Dopo la Grande Guerra, negli anni ‘20 ricominciare appariva duro per tutti, la vita era difficile ed emergeva forte il bisogno di lavorare per la ripresa. Tra le iniziative e i tentativi di ricostruzione e sviluppo in valle di qualche paesano, Antonio con Lucia pensarono di fondare con altri soci un’azienda cooperativa per la costruzione dei mattoni, impresa che non ebbe successo e si trasformò ben presto in un onere gravoso per chi aveva creduto nel progetto. I nonni, come gli altri soci, dovettero ipotecare tutto ciò che possedevano per coprire i vuoti di bilancio e saldare i debiti, perfino il maiale che avevano in stalla. Non si diedero per vinti e, nonostante il duro colpo, si rimboccarono le maniche riscattando con sacrificio tutto ciò che avevano perso. Nonno Tonè e nonna Lucia, tra il rientro da una trasferta e l’altra in giro per l’America, Belgio, Germania, ebbero 5 figli, ma solo Antonio (1904-1983), conosciuto da tutti come “Toni del Tonè”, proseguì con l’attività di famiglia, aiutando nella conduzione del locale e rilevandola successivamente.

[ Nonno Andoletto, nonna Lucia, nonno Antonio (Toné), zia Romina con figli ed affini ]

Grandi novità

Con un’affluenza di clienti in aumento all’osteria, si rese ben presto necessaria l’assunzione di una persona che aiutasse nel servizio ed è così che Giuliana Turra (1904-1998), chiamata da tutti Giulia, una ragazza di Tonadico, entrò a far parte della famiglia. Era attiva, gentile con tutti, pronta a non risparmiarsi perché tutto procedesse al meglio, una grande lavoratrice che mantenne la passione del lavoro per tutta la vita. Dopo una corte serrata, nel 1927 il giovane Antonio sposò Giulia. Nonna Lucia, che non aveva abbandonato la sua lungimiranza, con l’aiuto del figlio e della nuora decise di affrontare un’altra sfida e trasformare l’osteria in trattoria, una realtà non ancora così diffusa in valle. Nel locale si fermavano i commercianti di legname, di bestiame e di materiali per l’edilizia; una puntata “dal Tonè” era diventata quasi d’obbligo, davanti a un brodo fumante, un’insalata di carne lessa con cipolla, lo spezzatino e un piatto di gustose trippe. La curiosa storia del nome “Tonè” ha origine dalla madre belga, Maria Giuseppina Charlier di Liegi che, avendo difficoltà nel pronunciare il nome Antonio, sopperiva con un diminutivo francesizzante, rimasto nella storia della nostra famiglia e identificativo anche tra i paesani. La nuova attività ristorativa segnò la svolta per tutta la famiglia: cambiò il modo di lavorare, aumentarono gli impegni e le responsabilità, cambiarono ruoli e mansioni con l’ingresso di nuove figure professionali. Cambiò anche l’immagine dell’osteria Tressane che diventò anche ristorante: il primo passo importante per trasformarsi definitivamente in albergo.

[ Albergo Tressane con avventori ciclisti ]
La vita stessa della famiglia si stava modificando senza rendersene immediatamente conto. Da cosa nasce cosa, recita il detto, ed effettivamente la storia si stava dipanando incessantemente, apportando grandi novità. Il lavoro ebbe subito un sensibile incremento e anche i paesani cominciarono ad apprezzare quei piatti semplici e genuini, concedendosi di gustarli alla domenica, giorno di riposo in cui chi desiderava e poteva concedersi qualcosa di diverso, aveva la possibilità di trovare il pranzo servito. In valle cominciava a registrarsi un lento sviluppo, un fermento e una voglia di crescere che si traducevano in tentativi e iniziative mirate al progresso e al superamento dello stato di ristrettezza e povertà in cui si era piombati dopo la Grande Guerra. La gente usciva, socializzava e più di qualcuno cominciava a recarsi per pranzo o cena nei pochi locali adibiti alla ristorazione.

Una storia di donne forti

Nonna Lucia e la nuora Giulia, da quando la giovane era entrata a far parte della famiglia, lavoravano sempre in perfetta sintonia, rispettandosi e aiutandosi, attente ambedue a non sprecare nulla e a curare attentamente le loro produzioni gastronomiche. Solo in rari casi l’ottica delle due donne divergeva. Giulia avrebbe voluto introdurre nel menù qualche novità ma la suocera Lucia temeva che osando innovazioni si sarebbe superato il budget stabilito. Mia suocera Giulia mi raccontò che per cucinare le braciole ci fu quasi un diverbio perché costavano troppo! Alla fine, sui tavoli dei clienti comparvero anche le braciole e i timori di Lucia furono felicemente superati. La mattina presto la nuora si alzava per pulire le trippe, un lavoro pesante e non tanto piacevole nella preparazione di un piatto che caratterizzava la cucina del Tressane, la cui richiesta aumentava continuamente. Il locale cucina era il fulcro della casa e le due donne ne erano le regine incontrastate.

[ Albergo ristorante Tressane negli anni Cinquanta ]
Il marito di Giulia, Antonio, aiutava al bancone dell’osteria e si occupava della spesa degli approvvigionamenti, mansione non secondaria che richiedeva precisione e competenza, nella quale era diventato un esperto. La trattoria dava grandi soddisfazioni e progrediva in fretta, richiedendo sempre più impegno e dedizione. Giulia chiudeva l’osteria a mezzanotte e si alzava tutte le mattine alle 4 per pulire i pavimenti in legno e predisporre l’occorrente per la giornata che stava cominciando. Lucia e Giulia, due donne che non si sono mai risparmiate e arrestate davanti a nulla, creando una rara collaborazione tra loro davvero apprezzabile fino al ritiro di Lucia, che cedette volentieri lo scettro della cucina alla nuora dopo qualche problema di salute e la difficoltà a camminare. Ricordo tutti con affetto e riconoscenza per avermi accolta in famiglia e aver costituito per me un esempio di tenacia, coraggio e passione.

Una famiglia in crescita

Nel 1927 nasce Claudio, grande gioia per tutta la famiglia. Antonio e Giulia non potevano accudirlo durante la stagione estiva affollata di clienti e quindi dovevano consegnarlo alla nonna materna Aghetina, che si prendeva cura di lui al maso Rodena. L’anno successivo ad aumentare la famiglia è il turno di due gemelli maschi. Erano due bambini che necessitavano di particolare attenzione e cura, in un’epoca in cui non si poteva contare sull’incubatrice e su tutti i supporti di oggi. Nonostante le premure di tutti, i gemelli non sopravvissero e morirono rispettivamente a 5 e a 7 mesi. La perdita di questi due bambini costituì un momento di grande dolore, attutito dalla necessità di continuare la quotidianità, affrontare gli impegni e lavorare sodo, nonostante tutto. La vita privata di queste famiglie si intrecciava con le vicende dell’attività, che nel frattempo aveva aggiunto anche la disponibilità di 6 camere con 9 posti letto nel piano superiore, a disposizione di chi avesse avuto l’esigenza di soggiornare per turismo o per lavoro. La fatica della gestione di quello che era diventato Albergo Tressane aumentava e l’organizzazione era diventata più complessa, fino ad arrivare alla decisione di assumere per la stagione estiva una cuoca, Marianna. Nonna Lucia e la nuora Giulia non avevano smesso di sognare e progettare, ipotizzando un ampliamento della struttura ricettiva, e fu allora che Antonio decise di emigrare per qualche anno in America per mettere da parte la somma necessaria ai lavori. Prima ancora però di attuare questa idea, il 7 giugno 1930 nacque Remo, il mio futuro marito.

[ Giuliana Turra “Giulia” con i figli Claudio e Remo ]
Successivamente, dando seguito al progetto di recarsi negli Stati Uniti, Antonio espatriò nel Kansas, sulle orme del padre, e poi a New York, dove lavorò per 16 anni come carpentiere, prima del rientro definitivo in Italia nel 1948. Era previsto che anche la moglie e i figli partissero alla volta degli Usa per raggiungere il capofamiglia. Vennero preparati i documenti necessari per il viaggio e il ricongiungimento, tutto era pronto, era il momento di lasciare Primiero per affrontare un nuovo capitolo, ma a questo punto Giulia si rifiutò di partire per non lasciare i suoceri Lucia e Tonè farsi carico da soli di un’attività che impegnava molto. Non fu facile per Giulia prendere questa decisione ma la sua permanenza si rivelò importante. Il lavoro la assorbiva e richiedeva presenza continua, lo sfinimento di tre gravidanze in 4 anni, i pensieri, le preoccupazioni, il desiderio di progredire e migliorare misero a dura prova questa donna che seppe accettare tutto senza gravare su chi le stava vicino. Nel 1948, al ritorno di Antonio dall’America, la struttura venne ampliata aumentando la ricettività fino a 20 ospiti, un altro passo importante, anche se occorrerà attendere gli anni ’50 per la vera svolta che cambierà l’albergo. Per Remo, il ritorno a casa del padre dopo tanti anni costituì un momento di smarrimento e imbarazzo: rivedere un padre assente per tanto tempo era una situazione nuova, strana, a cui abituarsi nel tempo con un paziente lavoro su quel rapporto mancato. Ma queste sono le vicende della vita che a volte mettono a dura prova sentimenti e relazioni.

[ Quattro generazioni riunite con la piccola Luciana in primo piano ]

Remo Brunet e l’inizio di una nuova storia

Quello che era ormai una realtà alberghiera destinata a diventare riferimento storico, una delle prime strutture ricettive in Valle di Primiero, l’Albergo Tressane fu per Remo la palestra per formarsi e diventare egli stesso albergatore per continuare la tradizione di famiglia, lavorando sodo nei ritagli di tempo dedicato allo studio. Dopo aver frequentato le Scuole Superiori conseguendo il diploma di Ragioniere a Trento e portato a termine il servizio militare obbligatorio, Remo si dedicò alla gestione e nel 1955 divenne titolare della licenza dell’Albergo Tressane, subentrando al nonno “Tonè”. Cominciarono subito le trasformazioni e le camere per gli ospiti passarono da 5 a 20, un primo importante passo verso un percorso costante di crescita che avverrà negli anni successivi. L’Albergo Tressane era uno dei pochi alberghi aperti tutto l’anno: si lavorava non solo con i turisti in estate e inverno ma anche con un flusso costante di agenti di commercio, impiegati bancari e postali, insegnanti che arrivavano dalle più disparate località. Remo guardava al turismo con una mentalità imprenditoriale aperta, che non si fermava ai confini del nostro Paese ma guardava Oltralpe, verso nuovi mercati e nuove opportunità, ed è per questo che tra il 1955 e il 1958 si recò in Germania più volte per studiare la lingua tedesca, competenza che gli fu di grande utilità con la clientela nordeuropea, spesa successivamente per diversi anni anche nell’insegnamento presso la Scuola Professionale Enaip di Primiero.

[ Remo Brunet durante il servizio militare e poi in uno stage alberghiero in Germania ]
La storia di Remo è legata strettamente anche alla figura di Antonio Orsingher, figlio di Martino Orsingher, pioniere del turismo in Valle di Primiero. Antonio proseguì ciò che il padre aveva iniziato e Remo, giovane alle prime armi, imparò molto da quest’uomo di grande esperienza e spessore, che aveva capito come il turismo fosse di vitale importanza per il luogo. Antonio era un uomo rigoroso, tutto d’un pezzo, tradizionalista e abitudinario, era avvezzo alle attenzioni di chi lo circondava e non disdegnava gli apprezzamenti e i complimenti; Remo affiancava l’albergatore, che era anche il suo padrino di battesimo, quando questi doveva spostarsi in qualche luogo fuori valle, guadagnandosi la sua totale fiducia. La figura di albergatore che mio marito rappresenta, è partita dalla gavetta, dai primi passi mossi con circospezione, dalle esperienze che potessero arricchire le sue conoscenze, dall’affidarsi a bravi consiglieri e collaboratori, fino ad arrivare alla piena maturità e capacità professionale, riconosciuta con diverse premiazioni nel settore dell’ospitalità, prima fra tutte la “Stella dell’albergatore”, destinata a chi ha contribuito a far crescere il turismo trentino. “Con questo lavoro ho realizzato un mio sogno, poiché sono nato in questa casa e con grande passione ne ho vissuto tutte le trasformazioni” dichiarò Remo nel corso della premiazione.

Hotel Iris

Accanto all’Hotel Tressane, cresceva intanto anche la storia del vicino Hotel Iris: due percorsi diversi con risvolti differenti che, per volere delle circostanze e della sorte confluiranno in un unico destino, quello di Brunet Dolomites Resort. Tutto ha inizio nel 1927, quando Antonio Orsingher volle costruire l’Hotel Iris, descritto nelle brochure dell’epoca come struttura ricettiva garante di eleganza e quiete, “protetto dai rumori e dalla polvere della strada Nazionale e riparato dai venti che discendono dal nord lungo il torrente Cismon, quasi isolato in mezzo alla vita chiassosa e movimentata che pur ferve a Primiero, specie nel periodo estivo”. Il nome Iris era stato scelto alludendo al bellissimo fiore e allo stesso tempo alla messaggera degli dei nella mitologia greca, personificazione dell’arcobaleno. La continua aspirazione all’armonia estetica e della cura dei particolari rendeva questo edificio ricercato, unico nel suo genere. In un documento dattiloscritto del 1929, diventato poi articolo di giornale dell’epoca, viene così descritto nella sua composizione e nei servizi offerti: “Spaziosa cucina, simpatiche sale tra cui sala lettura, camere con aria balsamica e acqua corrente calda e fredda, parco, tennis, garage con box separati, perfetta ed estetica proporzione di tutti i locali, praticità dei bagni elettrici, arredamento con eleganti mobili, grazia che avvolge e abbellisce ogni cosa, posaterie di lusso, verde che allegra ogni angolo. Prezzi modici, servizio inappuntabile di table d’hôte, servizio telegrafico, telefono Nr. 1”. Ho sempre trovato incredibile quel “Nr.1”, prima utenza telefonica in valle, che racconta le condizioni dell’epoca. Nei depliants si citava perfino un accurato servizio taxi: “Verso semplice avviso, si incarica di far trovare eleganti vetture alle stazioni di arrivo, a prezzi modici”.

[ Hotel Iris in località Tressane a Tonadico ]
Tra i progetti di ampliamento era prevista anche una sala da ballo e una dependance, che diventerà nel tempo l’Hotel Primiero. Ma l’ambizione del proprietario non si fermava qua: stava già pensando alla stagione invernale promettendo ambienti caldi e novità come campo di pattinaggio, sci, bobs, slittini e molto altro. Punto di forza della struttura era il giardino: “Diviso in quattro settori piantati ad abeti. Tutto intorno vi gira un viale fiancheggiato di aceri; ai due angoli più lontani si alzano due pergole che si intrecciano ai platani e nel mezzo del parco una rotonda fontana sparge il suo zampillo offrendo frescura”. Le 40 camere con 60 posti letto si rivelarono insufficienti rispetto la richiesta della clientela d’élite che affluiva. “Voglio soltanto ospiti scelti” dichiarava Antonio Orsingher e nei registri comparivano notai, marchesi, contesse, commendatori, cavalieri, il direttore della Pirelli Ing. Marck e quello della Fiat di Padova, Ing. Segrè. Un hotel-rifugio con ogni comfort, attento al benessere degli ospiti al punto da anticipare ogni loro necessità ed esigenza, destinato ad ampliare l’offerta di camere e servizi, situato, come descrive un depliant dell’epoca “nella parte più ridente del nuovo quartiere della borgata di Fiera, al centro della superba conca di Primiero, completamente isolato in mezzo ad un paesaggio alpino di rara bellezza e di un’imponenza singolare, pieno di aria saluberrima, di luce, di sole, di allegria.”

[ Inaugurazione dell’Hotel Iris il 18 luglio 1928 ]
Memorabili erano i ricevimenti e le feste, le serate dedicate a qualche ricorrenza speciale o inaugurazioni, a cominciare da quella dello stesso Hotel Iris, il 18 luglio 1928, come risulta dagli eleganti inviti in carattere gotico, firmati dal direttore Augusto Toffol. Più sobri e formali, con la corona del Regno d’Italia in evidenza, erano gli inviti alle serate con cena e musica per festeggiare il “genetliaco della nostra amata Sovrana Elena di Savoia”, appuntamento fisso ogni anno. Il 7 agosto 1949 venne ricordato con un pranzo di gala anche il 150° anno della nascita di Luigi Negrelli e nell’invito spiccava “Primiero orgogliosa e fiera di tanto Figlio, saluta gli Ospiti Illustri.” L’Hotel Iris era un piccolo mondo perennemente attivo, dove il turismo guardava al futuro e ai cambiamenti, all’internazionalità e alla modernità. In seguito, con l’avvicendarsi delle varie gestioni, la sua immagine alternò momenti di splendore a periodi di rallentamento e improduttività fino al 1973, anno di svolta.


(Fine prima parte – Prosegue su questa pagina con la seconda parte)


 

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