NordEst

Verona, reso cieco dalla calce viva torna vedere dopo 3 anni

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Un paziente di una cinquantina d’anni, reso completamente ed irreversibilmente cieco da un incidente con della calce viva, è tornato a vedere quanto basta per poter avere una vita autonoma.
Lo straordinario risultato è stato ottenuto dall’equipe guidata dal professor Giorgio Marchini, direttore della Clinica Oculistica dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, grazie al primo intervento di cheratoprotesi ottica autorizzato dal Ministero della Salute in Italia, nel corso del quale è stata utilizzata una protesi completamente artificiale che i sanitari sono riusciti ad integrare senza rigetto con i tessuti biologici del paziente.

L’eccezionale intervento è stato reso noto nel corso di una conferenza stampa tenutasi al Polo Chirurgico Confortini dell’Ospedale di Borgo Trento, alla presenza, tra gli altri, dell’assessore regionale alla sanità Luca Coletto, del prorettore vicario dell’Università scaligera Bettina Campedelli, del direttore generale dell’AOUI Sandro Caffi e del professor Marchini, che ha illustrato il lungo cammino che ha portato a ridare la vista a questo paziente. “Complimenti e grazie da parte di tutto il Veneto – sono state le prime parole dell’assessore Coletto – perché ridare la vista ad una persona è un po’ come ridarle la vita, e farlo con modalità d’intervento che non esito a definire avveniristiche è il segnale che in questa struttura sanitaria si riesce ad abbinare l’attività ordinaria con la ricerca e l’applicazione di tecniche all’avanguardia nel mondo”.

Coletto ha anche voluto evidenziare l’aspetto delle capacità umane e professionali messe in campo: “nessun protocollo funziona – ha detto rivolto al professor Marchini – senza l’intelligenza, l’applicazione ed il coraggio di andare sempre oltre il già noto, come è stato fatto in questo caso”. “Gli occhi di questo paziente – ha spiegato Marchini – erano talmente danneggiati da rendere impossibile un reinnesto di cellule staminali autologhe e un trapianto di cornea. A questo punto, l’unica via per ripristinare un uso accettabile della vista era quella della cheratoprotesi, una protesi oculare costituita da un cilindro ottico in polimetilmetacrilato e da una flangia di sostegno in dacron che abbiamo impiantato nella parte anteriore del bulbo oculare”. Il problema principale che i clinici veronesi hanno dovuto superare è stato quello dell’integrazione della protesi artificiale con i tessuti biologici umani.

Risultato raggiunto con due separati interventi chirurgici in anestesia generale, effettuati a due mesi di distanza l’uno dall’altro. Nel primo è stata prelevata della mucosa dalla bocca innestandola sull’occhio a ricoprire tutta la sua superficie, eseguendo poi una sutura delle palpebre per permettere l’attecchimento e la vascolarizzazione della mucosa.

Quindi la cheratoprotesi è stata alloggiata nel tessuto sottocutaneo. Il secondo intervento, altrettanto complesso, è servito, di fatto, ad attivare la funzione visiva garantita dalla protesi. Al termine di un “calvario” durato tre anni dal giorno dell’incidente che lo ha reso cieco, oggi il paziente ha una vista valutata tra 2 e 3 decimi, quanto basta – è stato rimarcato oggi – per consentirgli di riacquistare la sua autonomia di vita. Risultato tutto italiano, in quanto la protesi utilizzata è denominata “Cheratoprotesi di Pintucci”, dal nome del clinico, prematuramente scomparso all’età di 48 anni, che l’ha ideata.

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