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Scoperte le onde gravitazionali ipotizzate da Einstein /Foto

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Onde gravitazionali, Renzi: “Bravissimi ricercatori Cascina e Infn”

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Roma (Adnkronos) – È ufficiale: Albert Einstein aveva ragione e finalmente ne abbiamo le prove. Le onde gravitazionali, di cui lo scienziato aveva teorizzato l’esistenza nel 1916 come integrazione della sua teoria generale della relatività, esistono davvero. Per la prima volta, infatti, gli scienziati sono riusciti a catturare il loro segnale. Messaggero ideale per osservare l’universo, le onde gravitazionali sono increspature nello spazio tempo, generate da potentissimi eventi cosmici, come la collisione di buchi neri e di stelle di neutroni o l’implosione di una stella avvenuti in qualche punto dell’universo, lontano dalla Terra.

Il loro rilevamento dà il via a una nuova era nella fisica perché apre una finestra di osservazione finora inaccessibile sull’universo, il suo presente e la sua storia. La notizia, attesa da tempo dai fisici di tutto il mondo, è stata annunciata in una affollata conferenza stampa che si è tenuta, in contemporanea con Washington, a Cascina di Pisa nella sede dello European Gravitational Observatory (EGO).

Le onde gravitazionali sono state rilevate lo scorso 14 settembre alle 11.51 del mattino (ora italiana) da entrambi gli interferometri laser LIGO per l’osservazione di onde gravitazionali negli Stati Uniti a Livingston (Louisiana) e Hanford (Washington), ideati e guidati dal Caltech e dall’MIT. La notizia della scoperta con i dati rilevati dai due interferometri è stata resa nota in un articolo, (firmato da ben 1040 scienziati) pubblicato pochi minuti fa dalla rivista scientifica Physical Review Letters, congiuntamente ad opera del consorzi americano LIGO e di quello europeo Virgo. Una doppia scoperta perché non solo si sono rilevate per la prima volta le onde gravitazionali, ma si è anche potuto captare, nelle stesse, la collisione e successiva fusione di due buchi neri, un eventualità già predetta ma finora mai documentata. Un evento durato due decimi di secondo.

La notizia è stata accolta con entusiasmo e orgoglio anche a Trento, al Dipartimento di Fisica dell’Università e al Tifpa (Trento Institute for Fundamental Physics Applications), dove lavora un gruppo di ricerca che da più di vent’anni è impegnato nella caccia alle onde gravitazionali e ha preso parte attivamente anche alla scoperta di questi giorni. Il team, coordinato dal fisico sperimentale Giovanni Andrea Prodi, comprende per la sola parte di analisi dati, ricercatori dell’INFN di Padova (come Gabriele Vedovato e la post-doc Claudia Lazzaro) e giovani dottorandi di Trento (Maria Concetta Tringali, Shubhunshu Tiwari e Matteo Di Giovanni). Collaborano al gruppo anche l’Albert Einstein Institute di Hannover (con Marco Drago e Francesco Salemi) e la University of Florida (con Sergey Klimenko). Il gruppo è attivo anche sugli sviluppi sperimentali per migliorare la sensibilità dei rilevatori con i ricercatori Livia Conti e Jean Pierre Zendri (INFN Padova e i dottorandi Matteo Leonardi (Trento) e Marco Vardaro (Padova).

Trento, infatti, insieme ai colleghi di Padova e alle unità di ricerca di Hannover e della Florida, ha messo a punto un algoritmo di analisi (la pipeline, in termine tecnico), un programma informatico che setaccia i dati prodotti dai rilevatori alla ricerca di segnali dalla forma sconosciuta: le onde gravitazionali. E lo scorso 14 settembre dopo solo tre minuti dal rilevamento, è stato proprio il gruppo di Prodi con Hannover a certificare per primo i dati, a classificarli come probabili onde gravitazionali e a segnalare agli altri scienziati questa importante osservazione. Un team di ricerca che si è trovato pronto al momento giusto per validare l’osservazione.

La prima ‘sentinella’ attiva già dopo qualche giorno dall’avvio delle attività di rilevazione degli interferometri statunitensi LIGO, ha reagito prontamente e dato l’allarme a tutti gli scienziati coinvolti nel progetto. «Il nostro è stato un segnale di avviso prezioso – commenta Giovanni Prodi – che ha permesso di confermare l’assetto dei rilevatori, evitando di cambiarne prestazioni e caratteristiche. In un secondo tempo il nostro algoritmo è stato anche in grado di certificare la confidenza della lettura, vale a dire il grado di certezza della scoperta (oltre il 99,999%). Il segnale è stato confrontato infatti con una miriade di segnali di disturbo che sono inevitabilmente captati dal rilevatore. Ma ogni altra ipotesi è stata scartata: si è trattato proprio di onde gravitazionali e noi l’abbiamo per primi certificato».

“Sono almeno 50 anni che gli scienziati lavorano per captare questi segnali. È come cercare di ascoltare un bisbiglio in un mare di rumore di fondo», prosegue Prodi. “Per farlo impieghiamo strumenti di rilevazione dalle caratteristiche diverse e sempre più sofisticati. La nostra sfida è azzerare gli effetti dei disturbi ambientali, come gli eventi sismici, i fulmini e persino le onde del mare o i rumori di fondo dovuti all’attività umana. Ma anche la stessa attrazione della gravità degli oggetti vicini o i rumori termici e quantistici connessi ai processi stessi di misurazione, che possono interferire. La scoperta è eccezionale anche perché questo primo segnale che abbiamo intercettato porta già con sé informazioni preziose dal punto di vista scientifico. Ci ha detto che i buchi neri esistono davvero, non solo in teoria, e che questi possono fondersi tra loro”.

“Questo risultato – aggiunge Lorenzo Pavesi, direttore del Dipartimento di Fisica – è figlio di un ventennio di lavoro che si è svolto qui a Trento nell’ambito dell’analisi dei dati sulle onde gravitazionali. Siamo partiti, con il gruppo del professor Prodi, con la precedente generazione di rivelatori e abbiamo maturato esperienza e soddisfazioni con varie pubblicazioni negli ultimi anni. Una linea di ricerca che si è rafforzata con il sodalizio scientifico con l’INFN di Padova e l’adesione nel 2007 al consorzio Virgo.

Siamo orgogliosi dei risultati raggiunti dai tanti ricercatori che hanno lavorato con noi, tra cui anche molti giovani. Come Marco Drago già post doc nel nostro Dipartimento, che ora lavora all’Albert Einstein Institute di Hannover e che ha avuto una parte importante in questa scoperta. Vogliamo ora continuare a dare energia a questa sfida scientifica, investendo in questi giovani ricercatori e coltivando le reti di ricerca internazionali che oggi hanno portato Trento alla ribalta sulla scena scientifica mondiale”.

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