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Primiero, Centrale idroelettrica dei ‘Boaletti’: 115 anni fa il collaudo dei lavori

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Nel 1902 venne costituita sotto la spinta dell’allora Podestà di Fiera, dottor Carlo Ben, una società tra imprenditori privati e pubblici per la costruzione di una centrale idroelettrica sul torrente Canali

La storica Centrale dei Boaletti (Archivio E. Filippi Gilli)

di Ervino Filippi Gilli

Primiero (Trento) – Se all’inizio si era pensato di costruire un impianto per dare la corrente elettrica solo a Fiera, con il passare dei mesi anche gli altri comuni vollero allacciarsi alla rete.

Secondo l’articolista de La Voce Cattolica (16-17/03/1902) “la forza viene tolta dal torrente Canali, da cui possonsi avere circa 490 cavalli. Per ora se ne costruiscono appena 100. I lavori verranno incominciati quanto prima fornendosi per la parte macchinaria dalla fabbrica di macchine elettriche Oelikon in Isvizzera”.

La realizzazione dell’impianto causò non poche polemiche sulla stampa (che continuarono anche nel 1903): mi piace riportare integralmente quanto si scrisse sulla Voce Cattolica del 18 settembre 1902 perché ben sintetizza il clima di scontro.

E’ da notarsi come dopo molte pratiche l’impianto elettrico venne esteso a tutti i paesi della Parrocchia di Primiero, cioè a Siror, Tonadico, Transacqua, Fiera, Mezzano, Imèr avendo i relativi comuni assunto la maggior parte delle azioni di fondazione.

Venne scelto un comitato presieduto dall’avvocato D.r. Orbelli di Fiera e l’impianto fu affidato all’ingegnere Tommasini di Fonzaso.

Come ognun sa, in ogni impianto elettrico è da distinguersi la parte elettrica e la parte idraulica. In quanto alla prima le cose procedettero senza notevoli rimarchi. Il preventivo venne sorpassato di poco. Quanto poi all’impianto idraulico è un altro paio di maniche. Prima di tutto, invece di accontentarsi di un impianto solido e massiccio bensì, ma privo di quel certo lusso inutile, si volle avere anche un lusso tale, che a detta degli stessi tecnici addetti all’impianto, supera quello dell’impianto elettrico di Milano.

In secondo luogo fu un continuo fare, disfare e rifare. Ecco alcuni esempi.

Si costruisce il canale di condotta dell’acqua in un modo, poi si crede non vada; da qualche parte si cambia e si costruisce in un’altra. Si getta un ponte di legno sopra il torrente; ma è di legno, non dura tanto, non è tanto bello; sarebbe meglio se fosse di ferro o di pietra; si demolisce il ponte in legno e se ne comincia uno di pietra.  E così avanti di questo passo ed intanto … intanto paga, popolo zuccone.  E il comitato? Il comitato, o meglio il presidente del comitato, muove qualche protesta, ma poi, alle osservazioni dell’ingegnere, ammutolisce … e intanto … intanto paga, popolo zuccone. E i comuni? I comuni, o bella! L’han voluta la luce elettrica, la spesa era preventivata con corone 90.000; ora si dice che la superi di gran lunga, e intanto … intanto, paga, popolo zuccone. La popolazione di tutti i paesi è furibonda contro questa maniera di agire e contro questa enorme spesa del pubblico denaro; intanto le azioni di fondazione restano per anni ed anni infruttuose, intanto parecchi privati cercano di venderle col ribasso del 40 p.c. e persino del 60 p.c. ed il corrispondente fa nell’interesse dei comuni questa.

Comunque siano andate le cose i giorni 2 e 3 dicembre 1902 venne effettuato il collaudo (denominato anche commissorio politico) alla presenza “del distinto elettrotecnico ing. Domenico Oss, di Trento ed altri periti.

Tutti indistintamente i signori intervenuti al commissorio si convinsero, che tutto l’impianto come è progettato con molta praticità e sani criteri, altrettanto è eseguito con grande solidità, non privo di una certa eleganza, ed anche in pari tempo corrisponde pure debitamente a quanto prescrive la legge onde garantire la sicurezza pubblica”.

Muoveva così i primi passi quella che sarebbe diventata più tardi ACSM: il quattro gennaio ebbe luogo l’inaugurazione ufficiale dell’impianto.

Peccato che con la disfatta di Caporetto l’esercito italiano in ritirata fece saltare in aria la centrale obbligando i Comuni a sobbarcarsi le spese di ricostruzione dell’impianto a fine guerra.

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