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Il monte Ararat e la tragedia di un popolo: il racconto degli ultimi scalatori sulla vetta

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La conferenza “Dagli Armeni all’Arca” è stata la prima tappa del progetto di “Casa della Cultura di Montagna” che il nuovo direttivo della locale sezione della SAT di Primiero vuole portare avanti. occasione anche per ricordare l’avventura di un gruppo di primierotti proprio sul monte Ararat

Durante la serata a Primiero, Azad Vartanian, con profonde radici famigliari armene, ha spiegato molto bene quale intreccio politico complichi la vita nella regione dell’Ararat

Primiero (Trento) – La conferenza alla sede SAT di Primiero si è svolta considerando un duplice aspetto che caratterizza queste popolazioni: da una parte la tragedia del popolo Armeno, argomento tabù in Turchia e di cui solo da poco alcune diplomazie occidentali hanno iniziato a parlare – Papa Francesco in primis – e la misteriosa ricerca dell’Arca.

La conferenza è stata preceduta dal racconto di Luciano Scalet che, assieme ad alcuni altri membri del Soccorso Alpino Trentino, è stato se non l’ultimo uno degli ultimi scalatori dell’Ararat: la montagna è infatti stata chiusa anche alle popolazioni locali per i noti problemi tra l’Etnia Curda ed il Governo di Ancara e nessuno può ora salirci né per motivi alpinistico-esplorativi né tanto meno di sussistenza (ovvero neanche i pastori che un tempo pascolavano le greggi fino ad oltre quota 3000).

Il racconto dell’ultima scalata

“Con Luciano Scalet eravamo in 4 Primierotti – racconta Duilio Boninsegna (Aquile di S.Martino e Primiero) – in quella spedizione del 2008, Fabrizio, Luca ed io. Mai avremmo pensato di essere tra gli ultimi, se non proprio gli ultimi in assoluto a salire quella storica e mitica montagna. Sono stati giorni intensi e indimenticabili in quello strano angolo di mondo, tutto per noi era strano, strana l’aria, strani i colori, strano l’ambiente, strano il comportamento degli amici “local” che pur cercando di farci sembrare tutto normale non ci lasciavano mai soli come per proteggerci da qualcosa per noi incomprensibile, anche se la presenza di carri armati ovunque, lasciava intuire di essere in un territorio di frontiera dagli equilibri molto delicati. Come base nell’antica cittadina curda di Doğubeyazıt eravamo alloggiati in un hotel di cui si intuivano i fasti del passato ma buio e freddo con porte e finestre chiuse, tutto l’albergo solo per noi 7, strano anche il comportamento della giovane guida locale che all’alba dell’ultimo giorno, poche centinaia di metri sotto la vetta sembrava facesse di tutto per convincerci a non arrivare in cima. Si percepiva che non era la cima di una montagna normale, l’Ararat non è una montagna qualsiasi, era come varcare la soglia del mito, della leggenda, in un luogo che è crocevia della storia, della politica, simbolo religioso di amore, di odio, di morte ma anche di vita (l’Arca di Noè è un grande simbolo di vita).
Eravamo partiti da casa con in mente un obiettivo alpinistico, salire e scendere il monte Ararat con gli sci, siamo tornati con una grande esperienza di vita, l’ho capito dopo che avrei dovuto studiare di più, approfondire le vicende storiche di quella montagna, e non tanto il fatto di essere secondo la Bibbia il luogo di approdo dell’Arca di Noè dopo il Diluvio Universale, quello lo sapevo. Come sapevo delle ricerche archeologiche dei resti dell’Arca stessa, non conoscevo però abbastanza le vicende umane, le persecuzioni subìte dai fieri e orgogliosi donne e uomini Curdi che hanno vissuto e tuttora vivono ai piedi del grande vulcano, sapevo poco del genocidio del popolo Armeno, vera e propria pulizia etnica perpetrata poco più di un secolo fa e gran parte dei poveri resti sono sepolti sulle pendici della montagna. Non ne sapevo abbastanza, molte cose le ho sapute dopo, ma forse è stato meglio così sennò non credo, avrei avuto lo spirito giusto per salire fin sulla cima del Sacro monte Ararat”.

Una popolazione divisa

Azad Vartanian, di formazione e residenza veneta ma con radici famigliari armene, ha spiegato molto bene quale intreccio politico complichi la vita nella regione dell’Ararat: il partito dei lavoratori curdi, il PKK, che si oppone al governo di Ancara e contemporaneamente combatte l’ISIS in Siria, gli americani che sono alleati di Ancara ma che contemporaneamente aiutano i curdi contro l’ISIS, il governo turco che non tanto velatamente appoggia l’ISIS, bombardando i curdi, ma che è alleato agli americani. Tutto questo senza contare l’influenza russa e quella iraniana. In questa polveriera politica un problema su tutti: l’indipendenza del popolo curdo la cui regione di residenza è divisa tra Turchia, Siria ed Iran.

La tragedia del popolo armeno

Ritornando al popolo armeno, definito da entrambi i relatori un Popolo fiero ed orgoglioso, è bene non dimenticare che anch’esso, seppur oggi più o meno colpevolmente lo abbiamo dimenticato, entrò a pieno titolo in quell’immane carneficina che passa sotto il nome di Prima Guerra Mondiale. L’impero Ottomano, in cui si era affermato il governo dei «Giovani Turchi», aveva iniziato a perseguitare gli Armeni fin dal 1909 quando nella regione della Cilicia erano state sterminate 30.000 persone: ma è con l’entrata in guerra a fianco degli Imperi Centrali che la situazione esplode.

Molti armeni disertarono e battaglioni armeni dell’esercito russo cominciarono a reclutarli fra le loro; la città di Van venne conquistata da queste truppe mentre l’esercito francese (cercando di aprire un fronte interno all’Impero Ottomano) finanziava e armava a sua volta gli armeni incitandoli alla rivolta contro il Governo dei Giovani Turchi. Fu in questa generale confusione che nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915 vennero eseguiti i primi arresti tra l’élite armena di Costantinopoli; in un solo mese più di mille intellettuali armeni tra cui giornalisti, scrittori, poeti e perfino delegati al parlamento furono deportati verso l’interno dell’Anatolia e massacrati lungo la strada. Ma la pulizia etnica, perché di questo si tratta, non finì lì: nelle così chiamate marce della morte che coinvolsero 1.200.000 armeni, centinaia di migliaia morirono per fame, malattia o sfinimento. I miseri resti furono sepolti anche nella zona dell’Ararat e nelle sue ricerche Azad Vartanian ha svelato l’esistenza di numerose fosse comuni.

La ricerca dell’Arca

La seconda parte del racconto di Azad Vartanian è stata la sua personale ricerca dell’Arca sul monte Ararat, la grande montagna già protagonista del racconto biblico che dovrebbe ospitare sui propri fianchi oltre a vestigia storiche di popoli antichissimi, anche i resti dell’Arca di Noè. Ora si può credere o meno ai racconti biblici, ma il fatto che Azad abbia rinvenuto sul ghiacciaio ad una quota prossima ai 4000 metri alcuni pezzi di legno lavorati, legni che appartengono a specie vegetali non presenti in loco, qualche dubbio lo fa sorgere anche nei più scettici.
L’incontro con Azad Vartanian è stato un successo: la concomitanza con altri appuntamenti importanti non ha comunque evitato che la sala della sede fosse gremita e ciò, devo essere sincero, è motivo d’orgoglio per la sezione.

Bibliografia di Azad Vartanian
I fiori santi dell’Ararat – L’isola segreta di Lord Byron – Armenia misteriosa. Masis, la madre degli armeni – Teva’h il mistero delle due arche – Il soave suono del Duduk. Racconti di curdi delle montagne

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One Reply to “Il monte Ararat e la tragedia di un popolo: il racconto degli ultimi scalatori sulla vetta

  1. Con Luciano Scalet eravamo in 4 Primierotti in quella spedizione del 2008, Fabrizio, Luca e il sottoscritto e mai avremmo pensato di essere tra gli ultimi, se non proprio gli ultimi in assoluto a salire quella storica e mitica montagna. Sono stati giorni intensi e indimenticabili in quello strano angolo di mondo, tutto per noi era strano, strana l’aria, strani i colori, strano l’ambiente, strano il comportamento degli amici “local” che pur cercando di farci sembrare tutto normale non ci lasciavano mai soli come per proteggerci da qualcosa per noi incomprensibile, anche se la presenza di carri armati dappetutto lasciava intuire di essere in un territorio di frontiera dagli equilibri molto delicati. Come base nell’antica cittadina curda di Dugubeyazit eravamo alloggiati in un hotel di cui si intuivano i fasti del passato ma buio e freddo con porte e finestre chiuse, tutto l’albergo solo per noi 7, strano anche il comportamento della giovane guida locale che all’alba dell’ultimo giorno, poche centinaia di metri sotto la vetta sembrava facesse di tutto per convincerci a non arrivare in cima.
    Si percepiva che non era la cima di una montagna normale, l’Ararat non è una montagna qualsiasi, era come varcare la soglia del mito, della leggenda, in un luogo che è crocevia della storia, della politica, simbolo religioso di amore, di odio, di morte ma anche di vita (l’Arca di Noè è un grande simbolo di vita).
    Eravamo partiti da casa con in mente un obbiettivo alpinistico, salire e scendere il monte Ararat con gli sci, siamo tornati con una grande esperienza di vita, l’ho capito dopo che avrei dovuto studiare di più, approfondire le vicende storiche di quella montagna, e non tanto il fatto di essere secondo la Bibbia il luogo di approdo dell’Arca di Noè dopo il Diluvio Universale, quello lo sapevo, come sapevo delle ricerche archeologiche dei resti dell’Arca stessa, non conoscevo però abbastanza le vicende umane, le persecuzioni subite dai fieri e orgogliosi donne e uomini Curdi che hanno vissuto e tuttora vivono ai piedi del grande vulcano, sapevo poco del genocidio del popolo Armeno, vera e propria pulizia etnica perpetrata poco più di un secolo fa e gran parte dei poveri resti sono sepolti sulle pendici della montagna.
    Non ne sapevo abbastanza, molte cose le ho sapute dopo, ma forse è stato meglio così sennò non credo che avuto lo spirito giusto per salire fin sulla cima del Sacro monte Ararat.

    Duilio Boninsegna Aquile di S.Martino e Primiero

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