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Green pass falsi in Trentino: altri 42 indagati

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Avrebbero pagato un infermiere per falsi test nasali positivi in Trentino. Indagini in corso

Trento – Ci sono altre 42 persone indagate in Trentino nell’ambito dell’inchiesta sui Green pass falsi che lo scorso gennaio ha portato i carabinieri e la finanza ad indagare anche un infermiere libero professionista di 46 anni e altre quattro persone che – secondo le accuse – si prestavano a falsificare gli esiti dei test per la diagnosi dell’infezione da Covid-19 eseguiti presso due centri – da loro gestiti – a Pergine Valsugana e a Trento. A gennaio erano stati sequestrati anche 120.000 euro.

i carabinieri della Compagnia di Trento hanno notificato ai nuovi indagati gli avvisi di garanzia per concorso in corruzione, falso ideologico e accesso abusivo a sistema informatico. Contestualmente c’è stato anche il sequestro preventivo di 48 Green pass rafforzati. Gli odierni destinatari dell’avviso di garanzia sono indagati poiché ritenuti colpevoli aver dato denaro all’infermiere, per fargli dare falsamente atto di aver eseguito test nasali rapidi con risultato positivo, così da ricevere per sé e per i loro familiari il Green pass rafforzato.

Gli avvisi di garanzia di questa mattina costituiscono, come detto, una ulteriore tranche rispetto ai 44 notificati a febbraio scorso, in quella circostanza, per la prima volta in Italia, erano stati sottoposti a sequestro preventivo i Green pass (50 in quella circostanza) agli indagati e ai loro familiari, poiché ritenuti illecitamente conseguiti.

Il coinvolgimento nell’inchiesta di queste persone (86 in totale) costituisce il naturale seguito dell’attività d’indagine avviata all’inizio dell’anno. La fama del centro si è diffusa ben oltre il Trentino, numerosi sono infatti gli indagati residenti in Alto Adige e addirittura c’è chi, avvalendosi della intermediazione di un’altra persona, ha fatto ricorso alle prestazioni del famigerato centro direttamente dal Piemonte, ovviamente senza mettere mai piede a Pergine Valsugana. In numerosi casi – hanno verificato gli investigatori – l’infermiere ha provveduto a certificare la positività al Covid-19 senza effettuare il tampone, bensì limitandosi a inserire i dati del cliente, rilevabili dalle fotografie delle tessere sanitarie inviate tramite Whatsapp.

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