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Fiat ed Electrolux, problemi strutturali dell’Italia

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Italia fanalino di coda in Europa per gli investimenti diretti esteri, a causa della sua scarsa competitività e ai tanti ostacoli che frappone a chi vuole fare impresa

cgia

Mestre (Venezia) – Bortolussi, direttore della CGIA di Mestre, commenta l’ultimo problema denunciato qualche giorno fa dal Commissario per l’Agenda digitale, Francesco Caio. Secondo l’ex manager di Telecom e di Indesit: l’Italia presenta un ritardo spaventoso in merito alla diffusione della banda larga di nuova generazione. Se a questo deficit infrastrutturale di natura immateriale aggiungiamo anche quelli materiali, non c’è nulla da meravigliarsi se la nuova holding della Fiat ha deciso di trasferire la sede legale in Olanda e quella fiscale nel Regno Unito.

Come giustamente ricordava nei giorni scorsi il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, in Europa c’è la libera circolazione dei capitali e nessuno può impedire a chicchessia di fare le scelte necessarie per mantenere in vita la propria attività produttiva. Se questa opzione è praticabile per alcuni, per molti altri questa strada non è percorribile. Coloro che possiedono un bar, un’edicola, una macelleria, un’autofficina, un’attività di parrucchiera o un negozio di riparazione non hanno nessuna possibilità di delocalizzare.

Il settore dei servizi e del turismo, che ormai costituisce oltre il 65/70 per cento della ricchezza prodotta, ha solo due alternative. O resistere, nonostante la congiuntura e gli ostacoli quotidiani, o chiudere definitivamente la saracinesca, lasciando a casa anche i propri dipendenti. In realtà, una terza via la sta “esplorando” l’Electrolux. In buona sostanza il gruppo svedese sembra intenzionato a mantenere almeno la gran parte degli stabilimenti in Italia, solo se in cambio otterrà una forte riduzione del costo del lavoro.

Insomma, in un Paese che funziona poco e male, dove l’energia elettrica costa quasi il 30 per cento in più della media dell’area dell’Euro, il contributo delle imprese all’ammontare del gettito fiscale nazionale è superiore di oltre 4 punti alla media degli altri Paesi, la burocrazia è sempre più asfissiante e costa al sistema delle imprese oltre 30 miliardi di euro l’anno, la giustizia presenta dei tempi biblici e il deficit infrastrutturale è spaventoso, nella vertenza Electrolux gli unici a pagare, probabilmente, saranno gli operai, sui quali incombe una drastica riduzione delle retribuzioni.

Eppure, in Italia il costo del lavoro risulta essere ben al di sotto di Paesi come la Francia e la Germania e superiore alla media dell’area dell’euro solo del 7,3 per cento. Certo, se la comparazione viene realizzata con i Paesi dell’ex blocco sovietico, allora non c’è partita. Ma è altrettanto vero che il livello di produttività delle nostre maestranze non è minimamente paragonabile a quello dei Paesi emergenti.

Inoltre, non va nemmeno dimenticato che l’Electrolux può contare su una schiera di piccole imprese subfornitrici di altissima qualità e di grande affidabilità nelle consegne. Una specificità, quest’ultima, che ha fatto la fortuna di molte medie e grandi aziende che continuano a operare nel Nordest e di quelle che negli ultimi anni hanno deciso, dopo una breve parentesi all’estero, di ritornare a produrre nel nostro territorio.

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