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Diritto di voto alle donne: 76 anni fa l’Italia cambiò volto (VIDEO)

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Il primo febbraio 1945, con decreto del Governo dei Comitati di liberazione nazionale, veniva riconosciuto alla donna italiana il diritto di voto. Il riconoscimento, che riaffermava giuridicamente l’uguaglianza morale, intellettuale e civile dei cittadini, senza alcuna discriminazione per motivi di sesso, costituì la prima e fondamentale rivendicazione femminile in materia di diritti politici

di Ervino Filippi Gilli

NordEst –  In questi giorni in cui l’attenzione politica è rivolta alla nascita del nuovo governo Draghi, passa quasi inosservato un anniversario importante in Italia. Sono infatti passati 76 anni da quando le donne possono votare in Italia.

Guarda le immagini dell’epoca (LUCE)

Ripercorriamo le tappe di questa importante vicenda. Nel 1945, quando l’Italia era ancora in guerra e il Nord era occupato dai nazifascisti mentre il Sud era liberato, qualche Statista con la S maiuscola (non certamente come quelli che abbiamo ora che litigano sulla spartizione delle poltrone mentre il paese affonda) pensava e poi attuava l’idea di far votare anche le donne.

La prima volta in Italia

Questi Statisti hanno nomi importanti: Alcide Degasperi e Palmiro Togliatti. L’idea, proposta ed il 24 gennaio, venne esaminata in quel Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi. Il 30 dello stesso mese il testo fu approvato e la decisione venne ratificata con il decreto legislativo luogotenenziale n.23 del 1 febbraio titolato “Estensione del diritto di voto alle donne” emanato da Umberto di Savoia Principe di Piemonte. Il decreto entrerà in vigore il 21 febbraio 1945.
Questo decreto era formato da quattro articoli di cui il primo è riportato sotto.

Art. 1. Il diritto di voto esteso alle donne che si trovino nelle condizioni previste dagli articoli 1 e 2 del testo unico della legge elettorale politica, approvato con R. decreto 2 settembre 1919, n.1495.

Il decreto stabiliva la possibilità di votare per tutte le donne ad esclusione di quelle ricadenti nell’art.354 del decreto regio 635 del 1940 ovvero le prostitute “schedate” che esercitavano al di fuori delle “case chiuse”.

Questo decreto conteneva anche un’altra lacuna: permetteva alle donne votare ma non di essere elette. Un altro provvedimento più generale che riguardava le modalità di elezione della Costituente, riparò all’errore: si trattava del Decreto legislativo Luogotenenziale 10 marzo 1946, n. 74. Degli 11 articoli che formano il decreto, l’Articolo 7 è quello che stabilisce l’eleggibilità anche per le donne: “Sono eleggibili all’Assemblea Costituente i cittadini e cittadine italiani che, al giorno delle elezioni, abbiano compiuto il 25° anno di età, eccettuati i casi previsti dagli articoli 5, 6, 8, 9, 10, 11 del presente decreto”.

Tra i primi impegni per le nuove elettrici vi furono le elezioni amministrative locali di marzo (10 turni) ma è con il referendum tra Monarchia e Repubblica del 2 giugno e con le elezioni politiche che le donne poterono mettere il pratica appieno il loro diritto di eleggere ma anche di essere elette: ventuno furono le donne che entrarono nel nuovo parlamento, 9 democristiane, 9 comuniste, 2 nel PSIUP ed una in quello denominato Uomo Qualunque. Nel Referendum risultarono votanti circa 13 milioni di donne e 12 milioni di uomini, ovvero l’89% degli aventi diritto.

Come per fortuna finì la votazione per il referendum è noto: non tutti sanno però non si votò in Alto Adige e nemmeno a Trieste e che il Trentino fu una delle province in cui la Repubblica ottenne più voti.

L’Italia suddivisa tra monarchici (nelle varie sfumature di rosso) e repubblicani (sfumature di azzurro)

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