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REPORTAGE/Dolomiti, ghiacciai verso la scomparsa e crisi idrica: soffrono anche le Pale di San Martino (FOTO)

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Nei giorni scorsi, prima escursione e relativo reportage sull’Altipiano delle Pale, con una situazione davvero preoccupante per la crisi idrica in quota, ma anche per gli evidenti cambiamenti in corso

Pale di San Martino, Rifugio Rosetta. In alto fine giugno 2022 e in basso fine giugno 2021

 

di Ervino Filippi Gilli

NordEst – Normalmente a fine giugno la zona del rifugio Rosetta sulle Pale di San Martino è bianco/grigia, ovvero spuntano delle rocce, ma si registra comunque la presenza di neve. Quest’anno siamo a zero ed il panorama è grigio/verde. Mai in quasi trent’anni che salgo sull’Altopiano in questo periodo per monitorare il ghiacciaio della Fradusta, mi era capitato di vedere una cosa del genere, nemmeno nel 2003 quando si verificò un’estate particolarmente torrida.

Perché ci troviamo in questa situazione?

I motivi sono piuttosto semplici: inverno con precipitazioni molto scarse, primavera poco piovosa con deficit elevato in maggio, temperature alte.
E giusto per confermare quanto scritto, alcuni numeri:

A Passo Rolle tra inizio novembre e fine aprile si sono verificate 7 nevicate di uno o più giorni con una media di meno di 20 cm al giorno per un totale annuo di 270 cm (mentre la media annuale tra il 1921 e l’anno scorso è di media 461 cm); a San Martino nello stesso periodo le nevicate sono state 4 con un accumulo stagionale di 137 cm (ed anche qui la media era di 270 cm).

Se poi guardiamo le piogge cadute a San Martino di Castroza da aprile in poi osserviamo che soprattutto in maggio si ha un deficit rispetto alla media di quasi il 50% (85.4 mm contro i 164 mm).

Quanto alle temperature notiamo che da Aprile in poi ai piedi delle Pale, si sono verificati solo 4 giorni con temperatura media sotto zero (anche se la massima era comunque positiva), mentre a Passo Rolle rileviamo da aprile 6 giorni di ghiaccio (temperatura per tutto il giorno inferiore allo 0°C), 11 giorni con temperatura media sotto zero, ma anche una temperatura media delle minime di 7,3°C nel mese di giugno. Il che vuol dire che anche sull’Altipiano eravamo quasi sempre sopra lo 0°C.

Gli effetti

Detto di un Altipiano praticamente privo di neve e pertanto delle ripercussioni che si stanno già verificando sulle sorgenti che dalla fusione della neve accumulata sono alimentate (se non altro per ricaricare le falde), uno degli effetti macroscopicamente più evidente è la scopertura di quello che resta del “fu ghiacciaio della Fradusta”. L’area in cui il ghiaccio è già in vista è prossima a quasi la metà dell’intera superficie, fatto questo che si verificava normalmente dopo la metà di agosto (questo vuol dire che la stagione è anticipata di quasi due mesi).

Con la riga rossa è stato evidenziato il settore ormai scoperto

 

Rifugi in crisi per la carenza d’acqua

Un secondo effetto da non sottovalutare è l’alimentazione idrica dei rifugi: se come al Pedrotti alla Rosetta, solo per citarne uno ad esempio, ma la situazione è generalizzata, l’alimentazione idrica è legata allo scioglimento dei nevai, la condizione non è assolutamente rosea e credo che il rifugio avrà problemi nell’alimentare i bagni esterni già verso l’inizio del mese di luglio.

Quello dei bagni è sicuramente un problema rilevante e non va sottovalutato: se si considera che uno sciacquone consuma almeno 6 litri ad ogni scarico (quelli vecchi anche di più), l’afflusso di centinaia di turisti nei periodi di punta comporta per i rifugi l’utilizzo di qualche metro cubo d’acqua al giorno solo per i servizi. Dove prenderla?

Si può accumulare acqua piovana proveniente dai tetti in serbatoi come attualmente viene fatto al Pedrotti ed utilizzare quest’acqua “grigia” per i servizi, ma se non piove o si verificano scrosci intensi ma poco prolungati (ovvero quello che sta succedendo adesso) la capacità di accumulo viene ridotta.
Si può sempre sperare che quella di quest’estate sia una anomalia passeggera, ma chi vive sperando va poco lontano dato che un andamento climatico come quello che stiamo vivendo rappresenterà in futuro più la norma che l’eccezione.

I serbatoi “gonfiabili” posti sul retro della struttura per usare i quali, però, sono indispensabili aree idonee per dislivello, superficie, morfologia.

Scartata l’ipotesi di portare in quota l’acqua necessaria con l’elicottero o con la funivia, o di pomparla in salita per quasi 1000 metri di dislivello, non resta come ultima soluzione che quella di ritardare lo scioglimento della neve presente. Come fare? Tante alternative non ci sono: l’unica è quella di coprire in primavera con teli l’area in cui attualmente viene raccolto il deflusso per immagazzinare temporaneamente acqua allo stato solido da utilizzare dopo la metà di luglio, ovvero posticipare di circa un mese lo scioglimento di una massa naturalmente accumulata che comunque si scioglierebbe lo stesso.

Questa ipotesi ha un impatto? Certamente sul paesaggio anche se i teloni bianchi non si dovrebbero vedere più di tanto. Sull’idrologia locale? No in quanto i volumi in gioco, pur importanti per il rifugio, sono comunque minimi in rapporto a quelli accumulati in questa parte dell’altipiano. Sulla produzione di microplastiche? Bisogna capire che tipo di teli si usano ed evitare tipologie degradabili facilmente dai reggi UV.

E’ una idea che farà storcere il naso a qualcuno? Probabile, ma questa proposta non vuole assolutamente ricalcare l’ipotesi paventata l’anno passato di impachettare i ghiacciai con i teli per “salvarli”, ma tamponare una situazione che di emergenziale non ha più nulla da alcuni anni, ma anzi sta diventando tragicamente la normalità di una montagna, che proprio in questi giorni si interroga sul suo futuro.

 

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