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La sensazione è che siano in molti a volersi lasciare alle spalle una primavera da dimenticare…

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A distanza di poco meno di due mesi dalla riapertura di alcuni esercizi commerciali mentre le scuole restavano indiscutibilmente chiuse, la sensazione è che siano in molti a volersi lasciare alle spalle una primavera da dimenticare.

Tuttavia sarebbe più opportuno riflettere su quanto accaduto non per dimenticare, ma per fare in modo che non accada più.

Fare il possibile per dimenticare di solito non genera comportamenti virtuosi, ma anzi il rischio è di ritrovarsi dentro le stesse orme interrotte dalla quarantena. Orme che calpestiamo senza neppure pensarci che tanto il cammino è quello.
Probabilmente le lunghe code ai fast food di quel primo giorno di riapertura sono state il risultato di un bisogno di evasione largamente condiviso, una reazione al lungo periodo di divieti in cui il perimetro di casa era l’unico percorribile.

Ma si poteva “ricominciare” in un modo diverso anche nei gesti quotidiani. Se, ad esempio, l’auto non è proprio necessaria magari non la uso. Invece tutti in coda. Comodi, in macchina a seguire quelle orme. Dimenticare e andare avanti che un hamburger aiuta.

E per un hamburger, disposti a stare in coda tre quarti d’ora e percorrere quattro chilometri a singhiozzo seguendo l’auto davanti, e così via, dentro un rito che di distanziamento mi sembra non abbia nulla. Si continua, infatti, a parlare di distanziamento sociale, ma in realtà quello che ci hanno inculcato è il distanziamento fisico e il conseguente isolamento.

Distanziamento sociale non dovrebbe forse significare prendere le distanze dall’attuale modello socio-economico, dal capitalismo diventato persino “terapeutico”? Dal pensiero che lo ha generato? Avvolti come la gramigna di cui sembra che siamo ghiotti. A tal punto da accettare supinamente come cosa ovvia una chilometrica coda in macchina per un panino e Coca mentre imperversa il caos e l’inacccettabile diventa inevitabile.
Ghiotti o ipnotizzati?

A proposito di pensiero, ascoltate Marco Guzzi in “Uscire dal totalitarismo” (3’50’’). E per una volta una tazza di tè, verde, bianco o nero, ma che sia forte.

 

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