Ricorre quest’anno il quinto anniversario della scomparsa dell’eclettico ambasciatore e uomo di cultura italiano, Luigi Vittorio Ferraris, convinto fautore che l’Italia non potesse sopravvivere senza o contro l’Europa nel mondo sempre più globalizzato del XXI secolo, e che non fosse possibile un’efficace e forte politica estera italiana senza una stretta collaborazione con gli altri Stati Europei, in primis Germania e Francia
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di GianAngelo Pistoia
NordEst – Risale al lontano 1987 la mia prima esclusiva ed ebbe quale protagonista Oriana Fallaci. Fu realizzata a Colonia in Germania presso l’“Historisches Rathaus” e l’Istituto Italiano di Cultura della città renana in occasione della presentazione alla stampa della versione tedesca del libro “Un uomo” dell’intellettuale fiorentina. Questo evento culturale era stato organizzato dal Comune di Colonia d’intesa con l’Ambasciata d’Italia nella Germania Ovest. Ad accogliere gli invitati, provenienti anche dall’estero, furono quindi Norbert Burger “bürgermeister” di Colonia e Luigi Vittorio Ferraris ambasciatore d’Italia nella Repubblica Federale di Germania.
Scriveva Luciano Monzali nel suo articolo: «Con la scomparsa di Luigi Vittorio Ferraris, avvenuta il 13 novembre 2018, l’Italia ha perso una personalità che con la sua energia, intelligenza e inesauribile attività ha segnato in maniera significativa la vita politica e culturale del nostro Paese negli ultimi settant’anni.
Per capire alcuni aspetti della sua personalità ci sembra importante ricordare le sue origini familiari.
I Ferraris erano una famiglia piemontese borghese originaria della provincia di Novara che si era trapiantata a Torino nell’Ottocento. Figura di spicco della famiglia, e importante personalità della storia di Torino, fu l’avvocato Luigi Ferraris, nato a Sostegno nel 1813, che fu fra gli animatori del movimento liberale costituzionale torinese, divenendo deputato nel primo Parlamento subalpino nel 1848. Nei decenni successivi Luigi Ferraris si affermò come uno dei principali avvocati torinesi continuando contemporaneamente a svolgere attività politica. Ciò lo portò a essere sindaco di Torino, deputato alla Camera del Regno d’Italia, ministro dell’interno nel 1869 e di grazia e giustizia e dei culti nel 1891. Per i suoi meriti verso la Corona e i Savoia fu nominato senatore nel 1871 e gli fu concesso il titolo di conte, trasmissibile agli eredi, nel 1882.
Dopo alcuni anni di formazione al Ministero degli Affari Esteri, a partire dal 1955 Ferraris passò quasi quindici anni in missioni all’estero: fu Vice Console a Newark, New Jersey (Stati Uniti) dal 1955 al 1957; Secondo Segretario presso l’Ambasciata in Ankara dal 1957 al 1959; Primo Segretario presso la Legazione a Sofia in Bulgaria dal 1959 al 1962; Consigliere e poi primo Consigliere presso l’Ambasciata in Caracas, Venezuela, dal 1963 al 1967; infine Primo Consigliere presso l’Ambasciata italiana in Varsavia dal 1967 al 1969.
Nel corso di questi anni in giro per il mondo, accompagnato dalla moglie Giovanna e dai due figli nel frattempo nati, Luigi Vittorio ebbe la fortuna di lavorare con alcuni diplomatici di grande talento e capacità, che lo influenzarono profondamente nella sua formazione: Luca Pietromarchi ad Ankara, Enrico Aillaud a Varsavia e soprattutto Roberto Gaja a Sofia. Da diplomatici come Pietromarchi e Gaja, così come successivamente dal suo capo alla Direzione degli Affari Politici, Roberto Ducci, Ferraris trasse un modello ben preciso su come essere e fare il diplomatico: il rifiuto di una concezione riduttiva dell’azione diplomatica come pura attività di relazioni mondane e semplice pratica burocratica; l’idea che il diplomatico appartenesse alla classe dirigente del Paese e che come tale dovesse partecipare attivamente anche alla vita politica, culturale e sociale italiana; la visione del diplomatico come colui che interpretava e analizzava la realtà internazionale proponendo alla classe politica strategie e visioni relative al ruolo dell’Italia nel mondo; la consapevolezza dell’importanza della cultura nella politica estera di una media Potenza come l’Italia.
Nel 1969 con il rafforzarsi del peso e dell’influenza di Gaja al Ministero degli Affari Esteri, che da direttore degli affari politici diventò segretario generale per scelta di Moro nel 1970, Ferraris venne chiamato a Roma a lavorare alla Farnesina. Iniziò un lungo periodo di attività del diplomatico romano presso le strutture centrali del Ministero degli Affari Esteri, che sarebbe durato fino al gennaio 1980, quando Ferraris divenne ambasciatore italiano presso la Repubblica Federale di Germania. Fino al 1975 Ferraris lavorò alla Direzione generale degli Affari Politici come Capo Ufficio VI (Europa orientale) e Capo ufficio III della Conferenza sulla sicurezza e sulla cooperazione in Europa (CSCE), occupandosi di Unione Sovietica, questione tedesca e Stati dell’Europa orientale. In questi anni si creò uno stretto rapporto di collaborazione e amicizia fra Ferraris e il suo capo Roberto Ducci, un diplomatico intellettuale e scrittore come lui, che Luigi Vittorio ammirava fortemente per la forte personalità e l’energia individuale.
La sostituzione di Gaja e Ducci ai vertici del Ministero degli Affari Esteri nel 1975 non danneggiò la carriera di Ferraris. I successori di Gaja alla segreteria generale, Raimondo Manzini e Francesco Malfatti di Montetretto, avevano stima delle qualità professionali di Luigi Vittorio e lo nominarono Vice-Direttore Generale delle Relazioni Culturali nel 1975 e poi Direttore Generale del Personale nel 1977, incarico questo di grande peso e potere alla Farnesina, che Ferraris svolse con determinazione e anche necessaria determinazione fino al 1979. Proprio alla fine di quell’anno – quando, dopo anni di difficoltà nelle relazioni fra Italia e Germania Federale, provocate dall’ostilità dei partiti e dell’esecutivo tedesco verso la politica morotea della solidarietà nazionale e l’inclusione dei comunisti nell’area governativa, il governo di Roma cercava di rilanciare i rapporti con Bonn – la Farnesina decise d’inviare a Bonn Luigi Vittorio Ferraris come ambasciatore.
Questa intensa cooperazione fu testimoniata dall’impegno dei due governi a rilanciare il processo d’integrazione europea con la dichiarazione Colombo-Genscher del novembre 1981, punto di partenza di un processo diplomatico e politico che avrebbe portato all’Atto Unico del 1986. Vi fu poi una frequente collaborazione italo-tedesca nell’ambito dell’alleanza atlantica, sia nella controversia sullo stanziamento degli euromissili che nella ricerca di posizioni comuni nei negoziati sul disarmo. Il continuo sforzo di Ferraris fu di spiegare al meglio ai governanti italiani le esigenze politiche e i punti di vista tedeschi sui principali problemi di politica internazionale.
L’Ambasciata in Germania Federale fu sicuramente l’apice della carriera diplomatica di Ferraris. Egli dimostrò grande capacità di svolgere il ruolo di ambasciatore in maniera moderna ed eclettica, sapendosi ritagliare un ruolo importante di connettore fra le classi dirigenti dei due Paesi e di propositore di strategie e linee d’azione. Egli era un ambasciatore estremamente attivo e molto esigente riguardo alla disciplina e ai doveri dei funzionari, ma anche una personalità atipica nell’ambiente diplomatico italiano per l’apertura e curiosità verso il mondo extra-diplomatico e per la versatilità dei suoi talenti.
In realtà Ferraris continuò per vari anni a svolgere un ruolo nella politica estera italiana. Rimase e divenne sempre più un influente commentatore e analista politico su varie riviste italiane come “Affari Esteri”, “Politica Internazionale” e “Limes”, nonché a livello europeo e internazionale. Fu anche direttore di un’importate collana di studi di storia politica internazionale (“Studi internazionali”), presso Rubbettino che è destinata a sopravvivere alla sua scomparsa, grazie alle cure Luca Riccardi, Eugenio Di Rienzo e di chi scrive. Indimenticabile è stata poi la sua instancabile attività di animatore di convegni e incontri di studi sempre aperti alle più giovani leve. Ricevette vari incarichi speciali dal Ministero degli Affari Esteri italiano, fra i quali ricordiamo solo le sue missioni in Albania e Bosnia nel 1996 e la nomina a Capo delegazione italiana nel quadro delle riunioni OSCE a Varsavia, Berlino, Bruxelles, Parigi fra il 2003 e 2004. Il prestigio personale di cui godeva gli fruttò la nomina a Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri nel governo presieduto da Lamberto Dini dal febbraio al maggio 1996.
A partire dalla fine degli anni Ottanta forte e intenso fu l’impegno di Ferraris nel contribuire a tenere vive le relazioni culturali italo-tedesche. Ciò fece di lui uno dei maggiori esperti italiani sul mondo tedesco. Da qui la sua intensa attività di conferenziere, di scrittore e analista dei rapporti italo-tedeschi, di organizzatore di convegni, stimolatore di ricerche, nonché condirettore, insieme a Günter Trautmann e Hartmut Ullrich, di una collana editoriale presso la Peter Lang intitolata “Italien in Geschichte und Gegenwart” dedicata ai rapporti fra Italia e Germania.
Questo attivismo derivava dalla sua convinzione della centralità per l’Italia di un rapporto forte e intenso con la Germania, che riunificata aveva conquistato un ruolo dominante non solo sul piano economico, ma anche su quello politico e diplomatico nel continente europeo. L’Italia, secondo Ferraris, aveva bisogno di un forte ancoraggio all’Europa settentrionale per soddisfare le sue esigenze economiche e sociali, per ovviare alla fragilità della sua posizione geopolitica e per la sua stabilizzazione politica interna.
Gli ultimi anni della vita di Ferraris furono segnati da una crescente amarezza e tristezza per la crisi politica e culturale dell’Italia contemporanea. Egli constatava sconsolato il declino del livello culturale della classe dirigente italiana nelle sue varie componenti (politici, intellettuali, giornalisti, funzionari dello Stato, imprenditori, …), sempre meno selezionata su criteri meritocratici e di capacità, e il crescente degrado della vita sociale, politica e culturale del nostro Paese. Era fortemente critico verso la tendenza della nostra società a rinchiudersi in illusori isolazionismi e verso il crescente rifiuto del processo di integrazione europea, per il cui sviluppo lui e tanti diplomatici italiani si erano fortemente impegnati per decenni.