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IL DIBATTITO/”Primiero San Martino di Castrozza”: lettera aperta da Torino di Gianluigi Pasqualetto a Giacomo Simion

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L’intervento di Giacomo Simion riaccende il dibattito locale in vista del referendum del prossimo 7 giugno

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Pasqualetto replica a Simion: “Primiero San Martino di Castrozza mi pare un gran buon argomento per continuare a essere come siamo”

“Caro Giacomo

ho letto la tua nota sul progetto di fusione di Fiera – insieme a Transacqua, Tonadico e Siror – nel comune di Primiero San Martino di CastrozzaE vorrei dirti alcune cose: con una lettera aperta, come hai ben fatto tu in quella nota e nel relativo videoChiaramente, queste cose vengono da Torino (e quindi non più dalla casa di fianco alla tua, dove ho abitato per tanto tempo): e però sono cose dette da chi pensa ancora in dialetto, anche quando si parla in italiano o in altre lingue.

Perché, appunto, certe cose non sono come l’acqua.

Ecco, vorrei partire da qua. Cioè, da una dimensione che non è più né comunale (come le storiche divisioni comunali per “acque”, di cui stiamo parlando), né italiana (come la lingua in cui ci stiamo scrivendo), ma – appunto – è un po’ più larga. Ossia, vorrei partire dalla dimensione in cui noi comperiamo ciò che ci serve e di cui ormai facciamo economicamente parte: fammi dire, per essere pratici, dalla dimensione nella quale ormai si lavora, ci si paga, ci si informa, insomma si vive. In effetti, chi come noi è abituato ad aver a che fare – per tanti mesi all’anno – con persone che vengono, per turismo, da altri posti (d’Italia e d’Europa) dovrebbe essere già ben allenato a gestire le situazioni con una mente aperta.

Ora, permettimi, non so se si stiano proprio “barattando secoli di storia”, come tu scrivi, chiamando l’insieme dei nostri paesi con il semplice nome di Primiero San Martino di Castrozza.
Per la verità, io direi che questo sia un tema che ha a più che fare con il presente (e con il futuro), che non con la storia: ma, se proprio vogliamo guardare all’indietro, e cominciando dalla storia più vicina a noi, allora dovremmo dirci che tanti genitori di chi ha la mia età sono già nati nel comune di “Primiero”, composto dai paesi di Fiera, Transacqua, Tonadico e Siror (più Sagron). Anzi, scusa ma, verosimilmente, a “Primiero” ci sei nato anche tu: come tanti tuoi coetanei, inclusi i miei familiari.

In effetti, non è una stravagante e pericolosa novità, questa di chiamare i nostri posti con il semplice e chiaro nome di “Primiero”: infatti, non tanto tempo fa, da noi si nasceva e si viveva già proprio a “Primiero”. E se chiamare così i nostri paesi è “un rischio troppo elevato”, come tu scrivi, allora si deve anche dire che questo rischio l’abbiamo già affrontato e superato serenamente già tempo fa (e cioè, con tutti quelli tra noi che sono vissuti o nati entro il 1946): e direi, a tutt’oggi, senza dannosi sconquassi.

Invece io, come tanti miei coetanei, risulto essere nato a Transacqua (cioè a Pieve, al san Giuseppe), pur abitando a Fiera: e peraltro credo che noi non ci siamo mai sentiti né di essere nati altrove, né che quella nascita fuori da Fiera, come tu scrivi, abbia “intaccato il cuore stesso della identità”, mia o di altri miei coetanei.

In sintesi, credo, a farla breve, che tutti noi ci siamo sempre ritenuti sostanzialmente di uno stesso posto, e cioè primierotti, senza troppa storia, fosse scritto Fiera o Pieve o Transacqua (come, se vuoi, è socialmente ben dimostrato anche dal nome del numeroso gruppo Facebook, nel quale – senza porci troppi dubbi – ci identifichiamo tra noi come utenti “di Primiero”).

In ogni caso, sempre per la storia, dovremmo anche tener conto di chi siamo, noi primierotti: e, come tu ben dici, ormai da “secoli”.
In questo senso, se si guarda al nostro passato, noi dovremmo essere tra i primi a non restare chiusi entro dei confini: infatti, i nostri progenitori non soltanto sono nati nei diversi paesi della valle, ma – e siamo un caso speciale nello stesso Trentino ex asburgico – essi provengono non di rado da ben oltre.

Infatti, i nostri familiari, soprattutto grazie alle miniere, in molti casi sono di area tedesca: per dire, il mio cognome materno Trotter è di Fiera, ma i miei progenitori fanno di nome Pressieren (morta nel 1930, appunto a “Primiero”, tra l’altro), e prima ancora Frankhauser, Kochall, e così via, come si legge facilmente nei loro “cartellini”, che sono tenuti anche presso i servizi demografici di Fiera.
D’altra parte, in pochi anni, si sa, più di tremila nostri antenati sono arrivati a Primiero da zone dove tuttora si parla tedesco (e poi tanti altri nel corso dei secoli), e lo fecero senza porre attenzione a confini comunali o alle “acque”: in effetti, anche allora, le priorità erano altre.

Del resto, la casa dove ho abitato per anni aveva il giardino che confinava da un lato con il tuo e dall’altro lato con Transacqua: ma non abbiamo mai avuto l’impressione che da una parte del giardino ci fosse una diversa “identità”. Così come, quando passavamo dalla chiesa alla canonica di Pieve, non avevamo l’idea di varcare un’ “acqua” (peraltro, interrata) e quindi un confine: come invece succedeva formalmente, dato che – se non sembrasse da ridere – io sono cresciuto in un posto dove la chiesa è a Fiera e la canonica di fronte è a Transacqua, così come lo sono il tennis e il relativo bar del tennis, oppure dove c’è chi ha una stanza sotto Tonadico e l’altra stanza sotto Siror.

Insomma, io credo che la mia famiglia primierotta farebbe fatica a capire, se il suo DNA dovesse restare ancora amministrativamente confinato nelle 500 anime di un piccolo comune. Infatti, dal punto di vista storico, sappiamo bene che non è questo “il cuore stesso della nostra identità”: e tanto meno della nostra realtà.

In effetti, a dire il vero, molte persone fanno fatica a capire questi complicati confini comunali: per dire, quando ero all’ASL non era semplice far intendere (anche ai paesani) che l’edificio della “cassa malati” sarebbe sotto Tonadico, ma la casa di fronte coi portici (quella delle Obber) è invece ancora Fiera.

E anche oggi quando mi chiedono di dove sono, con questo nostro accento, non mi capiscono bene se rispondo Transacqua (o se rispondessi, per dire, Siror), benché sulla carta di identità sia scritto così.
Invece, se dico Primiero, o meglio San Martino, capiscono quasi tutti subito.
Anzi, mi guardano positivamente, come se a quei nomi geografici ben identificabili fosse connessa una serie di valori positivi (ambientali, culturali, etici, turistici: va’ a sapere).
E, soprattutto, quando mi raccontano di essere stati a San Martino, noto che non sanno bene se si trovavano nel comune di Siror o in quello di Tonadico.

Ecco, per concludere, io vorrei che continuassero in tanti a guardarci così.
Anzi, farei in modo che potessimo avere un argomento in più per continuare a essere guardati così.
E quel nome “Primiero San Martino di Castrozza” mi pare un gran buon argomento per continuare a essere come siamo: e se ci sei anche tu, credo che ne saremmo contenti.

Un saluto.

PS ho lasciato volutamente da parte sia le tematiche giuridiche, sia quelle economiche, pur essendo i miei studi e il mio lavoro.
Su quelle economiche, però, che tu citi più volte, credo che dovremmo tener conto di chi ha più esperienza di noi su confini (e muri): voglio dire, quando non molto tempo fa le due Germanie si sono riunite, pur avendo indicatori economici e monetari molto differenti tra loro, si disse che “eine Mark ist eine Mark”. E quindi si decise, in nome della comune appartenenza sociale e politica, che il marco doveva avere un uguale valore di cambio per tutta la Germania. Mi sembrerebbe un buon esempio, per tante ragioni”.

Gianluigi Pasqualetto (TORINO) 
gianluigi.pasqualetto@gmail.com

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7 Replies to “IL DIBATTITO/”Primiero San Martino di Castrozza”: lettera aperta da Torino di Gianluigi Pasqualetto a Giacomo Simion

  1. No e vero ma Tra mettere d accordo 8 sindaci su un determinato progetto e metterne d accordo 5 a parere mio si decide qual cosa

  2. Al di là di ogni considerazione sul sì o sul no, non ci si illuda che il comparto turistico avrebbe una spinta fenomenale dalla fusione. Ci vuole ben altro per risollevare la disastrata economia locale.

  3. Parole giustissime e sensate quelle di Pasqualetto da Torino. La fusione dei quattro comuni – poi seguiranno gli altri – deve procedere spedita per decine di motivazioni, ampiamente evidenziate in questi mesi : risparmio, peso politico, speditezza amministrativa e gestionale, migliore scelta della classe dirigente/amministrativa (non la chiamo classe politica che la lascio a livello nazionale). Che classe dirigente abbiamo in un comune dove si presenta una sola lista e dove si fa difficoltà pure a trovare i candidati? Uno dei non molti esempi di unitarietà di intenti tra i comuni di Primiero realizzatasi ancora negli anni ’30, quando i comuni subentrarono ai privati nelle quote, è stata l’ACSM (allora AECM – azienda elettrica). Se fosse stata un’ aziendina comunale (ed al tempo c’erano anche aziende elettriche comunali, oggi assolutamente scomparse) non avrebbe certamente fatto i passi che ha fatto, anzi sarebbe certamente stata assorbita. Solo un comune unico avrà la forza e la consapevolezza di una “VISIONE” per un futuro di Primiero! Basta che ogni comune si ritagli le convenienze e cerchi furbescamente di scaricare le rogne o gli oneri sul comune vicino. Cosi non si va da nessuna parte. E così, mente gli altri territori turistici avanzano Primiero è quello che arranca di più.

  4. I tempi sono cambiati a parere mio giusto unire i comuni,anche per avere più peso politico in provincia e per decidere qualcosa a livello turistico in valle.

  5. E’ un peccato sentire ancora la frase “Adesso viviamo ognuno per conto proprio”: che significa? Cosa ha portato fino ad oggi questa presunzione di superiorità nei confronti dei primi vicini?

  6. Bravo Giacomo!Preservare il proprio comune,la sua storia,tradizione e la consapevolezza trentina della propria Heimat (modo di essere intraducibile in italiano),è una scelta coraggiosa in questi tempi di oscurantismo dove l’accordo politico vuole cancellare la storia secolare dei vari comuni locali quindi le basi dell’autonomia…
    Perchè i nostri vicini:Badia,Gardena,Fassa,Fiemme non pensano minimamente ad unirsi?E’difficile Salire,creare. Più semplice è scendere quindi unire prendendo come riferimento Quero,Feltre.
    No,perché se il referendum non passa i comuni restano,la provincia ci dà la libertà di scelta da uomini liberi.Bisogna preservare i comuni e la loro storia non è vero che verremo unificati lo stesso!Sicuramente dovremmo ripensare alla gestione per condividere ruoli istituzionali. Basta essere ipnotizzati dai Si facili!Adesso viviamo ognuno per conto proprio..Vogliamo veramente diventare un condominio?Sono le teste da cambiare non i comuni…il cambiamento inizia tra noi valligiani nella condivisione di esperienze!No,anche perché mettendo una mela marcia vicino a una sana non si pensi di sanarla:attenzione al contrario..

  7. Davvero delle parole ben dette. Probabilmente serve qualcuno che da fuori riesca a mettere sotto la giusta luce quello che sta succedendo. Grazie Gianluigi

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