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Eluana Englaro dieci anni dopo: legge sul Biotestamento non decolla

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Manca ancora Banca dati nazionale. 23mila i moduli scaricati

Il padre di Eluana Englaro con la foto della figlia. Un caso simbolo in Italia dopo 10 anni

 

NordEst –  Il nome di Eluana Englaro, a dieci anni dalla scomparsa, resta il simbolo della lunga battaglia per ottenere il riconoscimento del diritto ad una “fine dignitosa”. Un diritto sancito ufficialmente con l’approvazione nel 2017 della legge sul Biotestamento (o Disposizioni anticipate di trattamento Dat) che tuttavia, dopo due anni, non decolla: all’appello, infatti, manca ancora il Registro o Banca dati nazionale delle Dat, che di quella norma rappresenta il fulcro che serve a garantirne la piena operatività.

Ma la vicenda di Eluana, alla quale ne sono seguite altre analoghe, ha aumentato la consapevolezza degli italiani sulla questione del fine-vita: ad oggi non sono ancora presenti dati ufficiali su quante siano le Dat depositate nel nostro Paese, ma solo i moduli per il Biotestamento scaricati dal sito della Associazione Luca Coscioni sono 22.700.

La legge sul Biotestamento – prima della quale l’ultima parola in materia di fine-vita è spettata ai tribunali – regolamenta le scelte del cittadino stabilendo che in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi ci sia la possibilità per ogni persona di esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonchè il consenso o il rifiuto su accertamenti diagnostici, scelte terapeutiche e singoli trattamenti sanitari, inclusi l’alimentazione e l’idratazione artificiali. Possono fare le Dat tutte le persone maggiorenni capaci di intendere e volere e la loro redazione può avvenire in diverse forme: atto pubblico, scrittura privata autenticata e scrittura privata consegnata personalmente presso l’ufficio dello stato civile del proprio Comune.

Le Dat sono rinnovabili, modificabili e revocabili in ogni momento. Attualmente, in mancanza della Banca dati, ricordano dall’Associazione Coscioni, tutti gli 8mila Comuni italiani – sulla base di una circolare del 2018 del ministero dell’Interno – sono tenuti a recepire le Dat dei cittadini anche se non hanno attivato un Registro comunale per le Dat. Quanto al numero dei Biotestamenti, i dati ufficiali da parte del Ministro della Salute saranno trasmessi alle Camere entro il 30 aprile 2019 attraverso una relazione sull’applicazione della legge. Ma la maggiore criticità resta appunto la Banca dati, per il cui decreto istitutivo la scadenza prevista dalla legge era il 30 giugno 2018.

“Con la finanziaria 2017 – sottolinea il segretario dell’Associazione Coscioni Filomena Gallo – sono stati stanziati 2 milioni di euro per la creazione della Banca dati nazionale e ulteriori 400 mila euro l’anno sono stati stanziati con la finanziaria 2018, eppure della Banca dati, nonostante i ripetuti proclami del ministro Grillo, ancora non vi è traccia”. Da qui l’appello al ministro: “E’ sua competenza attivare il Registro nazionale. I dati devono essere infatti disponibili ai sanitari su tutto il territorio. Ogni ritardo – conclude Gallo – è un ritardo che lede diritti fondamentali di cittadini italiani che per legge hanno il diritto di scegliere”. Non solo Banca dati: la prima scadenza prevista dalla legge era quella dell’1 aprile 2018, data entro la quale ministero, Regioni e Aziende sanitarie dovevano provvedere a informare della possibilità di redigere le Dat. Questa prima scadenza, conclude l’associazione Coscioni, “è stata rispettata dal ministero guidato da Grillo con la semplice pubblicazione della notizia sul sito internet. Non abbiamo cioè assistito ad alcuna vera campagna di informazione”.

Il primo a porre il tema dell’autodeterminazione del malato e della scelta sul fine-vita fu PIERGIORGIO WELBY, attivista e co-presidente dell’Associazione Coscioni. Colpito da anni dalla distrofia muscolare inviò al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano una lettera in cui chiedeva l’eutanasia. Il 16 dicembre 2006 il tribunale di Roma respinse la richiesta dei legali di Welby di porre fine all'”accanimento terapeutico”, dichiarandola “inammissibile” a causa del vuoto legislativo su questa materia. Pochi giorni dopo, Welby chiese al medico Mario Riccio di porre fine al suo calvario. Riccio staccò dunque il respiratore a Welby sotto sedazione, venendo poi assolto dall’accusa di omicidio del consenziente. Nel 2007 fu poi il caso di GIOVANNI NUVOLI, malato di Sla di Alghero, che chiedeva anch’egli il distacco del respiratore: questa volta, pero’, il tribunale di Sassari respinse la richiesta ed i carabinieri bloccarono il medico che voleva aiutarlo. Nuvoli iniziò allora uno sciopero della fame e della sete lasciandosi morire. Ma è nel 2009 con il caso di ELUANA ENGLARO, la giovane di Lecco rimasta in stato vegetativo per 17 anni, che il Paese si è diviso tra i favorevoli alla volontà del padre Beppino di far rispettare il desiderio della figlia quando era ancora in vita di porre fine alla sua esistenza se si fosse trovata in simili condizioni, ed i contrari. Varie le sentenze di rigetto delle richieste dei familiari, finchè la Cassazione, per ben due volte, non si è pronunciata a favore della sospensione della nutrizione e idratazione artificiale. Anche MARIO FANELLI, malato di Sla morto per cause naturali nel 2016, chiedeva una legge sull’eutanasia. E sempre nel 2016, WALTER PILUDU, ex presidente della provincia di Cagliari malato di Sla, è morto ottenendo il distacco del respiratore: il tribunale di Cagliari ha infatti autorizzato la struttura sanitaria dove si trovava a cessare i trattamenti. Nel 2017 esplode il caso di Dj Fabo, morto in Svizzera nella struttura dove si è recato accompagnato da Marco Cappato dell’Associazione Luca Coscioni per ottenere il suicidio assistito. Dj FABO (FABIANO ANTONIANI) si era rivolto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella affinchè intervenisse sul fine vita. A 39 anni, cieco e tetraplegico a seguito di un grave incidente stradale, chiedeva di “essere libero di morire” e giudicava “scandaloso che i parlamentari non abbiano il coraggio di prendere la situazione in mano per tanti cittadini che vivono come me”. PATRIZIA COCCO, invece, ha combattuto per 5 anni la sua battaglia contro la Sla, poi ha scelto di dire basta. Nuorese di 49 anni, è stata la prima in Italia ad ottenere di ‘staccare la spina’ dopo l’entrata in vigore della legge sul Biotestamento.

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