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Devono tornare in Grecia i “marmi” del Partenone

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Riflettori dei media accesi sull’Acropolis Museum di Atene che, fra l’altro, chiede al British Museum di Londra la restituzione dei “Parthenon Marbles” trafugati “legalmente” dal sito archeologico ateniese dell’Acropoli da lord Thomas Bruce conte di Elgin all’inizio del XIX secolo

[ The Acropolis of Athens  – © Carole Raddato (Wikimedia CC BY-SA 2.0) ]

di GianAngelo Pistoia

NordEst – In un articolo pubblicato su “Il Giornale dell’Architettura.com”, l’architetto-giornalista Michele Roda così discettava su uno dei più importanti musei ellenici: «Esattamente 10 anni fa – era l’estate del 2009 – veniva inaugurato, ai piedi della collina più importante della cultura classica, il Museo dell’Acropoli: un edificio la cui vicenda è tanto complessa quanto le forme architettoniche, vagamente decostruttiviste, disegnate da Bernard Tschumi insieme a Michalis Photiadis.

È il concretizzarsi di un’ambizione, tutta greca, collegata all’annosa e legittima rivendicazione dei marmi del Partenone, sottratti da lord Elgin ad inizio Ottocento. Il progetto si concretizza al termine di un (terzo) concorso, bandito nel 2001 e vinto appunto da uno Tschumi all’apice della carriera. L’edificio – imponente (ampio 14.000 mq, dieci volte il vecchio museo) – sorge nel cuore del quartiere di Makriyannis, alle spalle del volume di un ottocentesco ospedale militare. Le prime pendici dell’Acropoli sono a pochi metri; il Partenone – in linea d’aria – a mezzo chilometro. Tschumi dispone una grande piastra in cemento a galleggiare sopra i resti archeologici che gli scavi svelano nel sottosuolo.

Questo basamento è il primo dei tre livelli, didascalicamente composti in sequenza: le gallerie espositive principali (con gli accessi e la muscolosa pensilina proiettata verso l’Acropoli) nella sequenza centrale, la sala del Partenone nel volume di coronamento, disassato a riprendere, sia come orientamento che come dimensioni, proprio la pianta del capolavoro di Fidia. Il tre sembra essere il numero magico di questo progetto. Tre i materiali usati: vetro, cemento e marmo. Tre gli elementi che i progettisti definiscono come identitari: la successione delle parti in sezione, il ruolo della luce naturale che filtra abbondantemente dalle ampie vetrate e i percorsi interni che incentivano un movimento continuo tra i diversi ambienti.

È, da subito, un progetto che divide: da un lato chi elogia la grande macchina per esposizioni e le sue stupefacenti trasparenze verso l’Acropoli (riferimento fisico e virtuale continuamente, quasi ossessivamente, presente). Sul fronte opposto le critiche si concentrano su un linguaggio architettonico omologante, adatto secondo alcuni più ad un centro commerciale o ad un aeroporto che ad uno spazio di cultura, come tradizionalmente inteso.

[ External view of the Acropolis Museum – © courtesy of the Acropolis Museum / Nikos Daniilidis ]
C’è del vero in entrambe le posizioni, e il primo decennio di vita lo dimostra in maniera chiara. Quello dell’Acropoli è un museo straordinariamente efficiente: dall’apertura è stato visitato da 15 milioni di persone; in alcune giornate si superano abbondantemente le 10.000 presenze. Nonostante il grande afflusso – e le code alla biglietteria, specialmente nel periodo estivo – visitarlo è un’esperienza sorprendentemente positiva: organizzazione, pulizia, precisione. Quello che ti aspetti da un museo svizzero (come l’architetto, in effetti), non greco. I percorsi ti accompagnano in una progressiva scoperta delle migliaia di reperti (in tutto 4.000, recitano opuscoli e guide): una salita che allude a quella che si percorre per raggiungere la cima dell’Acropoli, scandita da un’articolata sequenza di statue e fregi.

[ Youthful portrait of Alexander the Great, possibly a work of the sculptor Leochares / Bust of a ruler, perhaps Sauromates II, king of Cimmerian Bosporus / The “Blonde Boy” – © courtesy of the Acropolis Museum / Yiannis Koulelis – Socratis Mavrommatis ]
Molti di questi sono esposti – e in questo sta probabilmente una delle più grandi intuizioni – in un’atmosfera sospesa e decontestualizzata. Siamo lontani anni luce dal modello – archetipico, verrebbe da dire – del polveroso museo archeologico, che anche ad Atene vanta ancora oggi esempi paradigmatici. Qui il reperto assume una sua presenza scenica autonoma, grazie alle scelte allestitive e alla luce che inonda gli spazi interni. La sala del Partenone è il climax di questa ricerca, con gli sguardi che corrono, in un gioco quasi straniante di corrispondenze, dagli originali e dalle riproduzioni dei fregi al luogo fisico – oltre le vetrate – che li ha ospitati.

[ View of the Acropolis monument from the Parthenon Gallery – © courtesy of the Acropolis Museum ]
È paradossalmente proprio l’egregio invecchiare della struttura a rafforzare, sul fronte opposto, le critiche all’edificio, nate fin dalla sua apertura. Non c’è patina della storia, non c’è ostentata ricerca di una continuità con il luogo, non c’è alcun tentativo di mimetismo. Il Museo dell’Acropoli era, è e sarà un corpo estraneo, alieno e disturbante. Che delega la qualità compositiva e costruttiva ad una logica tutta interna, e riuscita, di scelte tecnologiche e di accostamenti materici. Potrebbe rinunciare al sito, per certi versi. Potrebbe benissimo collocarsi altrove. E in questo senso siamo lontanissimi dalla lezione che, a pochi metri di distanza, ci ha offerto Dimitris Pikionis quando fu chiamato ad intervenire sui percorsi dell’Acropoli: un lavoro nel luogo, sul luogo, con il luogo e i suoi elementi costitutivi.

[ Five from the original six Karyatids, in the Acropolis Museum – © courtesy of the Acropolis Museum / Nikos Daniilidis ]
Il futuro è iniziato a fine giugno 2019: la celebrazione del decimo compleanno è coincisa con l’apertura di un percorso che enfatizza una delle dimensioni del progetto originale. Il volume del museo si colloca infatti in un’area che ha rivelato notevolissimi valori archeologici, con i resti di una porzione di città abitata ininterrottamente per circa cinquemila anni, dal quarto millennio avanti Cristo fino all’epoca bizantina. Il progetto Tschumi già si era confrontato – grazie anche alla collaborazione di un team di archeologi – con questa presenza, tanto ingombrante quanto suggestiva. I circa cento pilastri in cemento armato che sostengono strutturalmente l’edificio erano stati collocati in modo da non impattare eccessivamente su questo suolo denso di significati. I reperti, studiati e catalogati, erano poi stati in gran parte ricoperti con uno strato di ghiaia: di fatto non accessibili né visitabili, pur avendo il primo piano dell’edificio lasciato una distanza critica rispetto al suolo. Oggi quel vuoto viene riempito con una sequenza di passerelle metalliche (abbastanza banali nelle scelte materiche e di dettaglio) che permettono di avvicinarsi ai frammenti di muro, ai tratti di strade, alle piccole e grandi infrastrutture del quartiere di Makriyannis.

[ The archaeological excavation of the Museum – © courtesy of the Acropolis Museum / Giorgos Vitsaropoulos ]
Quello che era soltanto lo sfondo per affascinanti e contrastanti vedute dall’alto (con la mole dell’edificio moderno che sembra galleggiare su un pattern disordinato di ruderi) viene ritrovato come spazio da esplorare. Un po’ claustrofobico, a dire il vero, schiacciato appunto dalla solettona di una struttura imponente e dalla presenza dei massicci pilastri tondi in cemento. Ma riscattato dai giochi di trasparenza e di luce che, anche nel piano interrato, riescono a restituire una spazialità non banale. È il “vedere da vicino” a caratterizzare questo nuovo percorso espositivo che – tornando alla sezione originaria – pare voler chiudere il cerchio: dalla terra al cielo, in una sequenza non cronologica ma altamente complessa. Il Museo dell’Acropoli, a dieci anni dall’apertura, sembra infatti ancora indicare un punto di vista non banale dell’oggetto archeologico: non elemento da osservare da distanza critica, ma da scoprire (o ri-scoprire) in un contesto modificato, e con lenti multiformi».
Queste circostanziate considerazioni del 2019 di Michele Roda sono tuttora valide e condivisibili. Il museo ubicato ai piedi dell’Acropoli è una delle istituzioni culturali elleniche più importanti e figura da diversi anni nel novero dei musei più visitati al mondo. Il Museo dell’Acropoli in questi ultimi mesi ha acceso su di sé i riflettori della stampa internazionale per l’annosa “querelle” tra la Grecia e la Gran Bretagna riguardante i “marmi del Partenone” ora esposti al British Museum di Londra che ne rivendica la proprietà.

[ The room containing the Elgin Marbles in the British Museum – © Andrew Dunn (Wikimedia CC BY-SA 2.0) ]
Per comprendere appieno la questione credo sia interessante leggere un articolo del giornalista Graziano Tavan pubblicato nel febbraio del 2015 sul blog “archeologiavocidalpassato” che riprende un appello di due uomini di cultura – Dusan Sidjanski e Louis Godart – lanciato per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla doverosa restituzione dei “marmi di Fidia” al Museo dell’Acropoli di Atene. Articolo ancora oggi attuale e che di seguito ripropongo per ampli stralci. «“I marmi del Partenone è tempo che tornino in Grecia: il capolavoro di Fidia è un unicum, non si può disgiungere disaggregare dividere. È ora che anche dall’Italia si alzi forte la voce per la restituzione dei marmi creando un movimento d’opinione che porti a soluzione un caso e un problema che non è solo della Grecia ma di tutta l’Europa”. È un appello deciso quello che due grandi studiosi, Dusan Sidjanski (presidente del comitato svizzero per la restituzione dei marmi del Partenone) e Louis Godart (accademico dei Lincei e consigliere culturale del Presidente della Repubblica), hanno lanciato da TourismA, il primo salone internazionale di archeologia, promosso dalla rivista Archeologia Viva a Firenze. “Intanto non parliamo più di marmi Elgin, ma di marmi del Partenone, come fa dal 2008, anno della sua fondazione, il comitato svizzero che presiedo” chiarisce subito Sidjanski.

[ West Front of the Parthenon – © Edward Dodwell ]
Si dice che fu una regolare compravendita quella avvenuta tra lord Thomas Bruce conte di Elgin, ambasciatore britannico a Costantinopoli, e il sultano nel 1801. Ma sono molti i dubbi che gli esperti sollevano sulla sua effettiva legalità. E Sidjanski lo spiega bene: “Nell’Ottocento, quando ci fu la spoliazione del Partenone, la Grecia era una provincia dell’impero ottomano. Era quindi il sultano, e solo lui, che decideva e nessuno poteva opporvisi, neppure i diretti interessati, i greci”. Elgin nel 1800 si fece rilasciare dalle autorità turche di Atene il permesso di effettuare sopralluoghi sull’Acropoli unicamente per effettuare rilievi, disegni e calchi. Ma il diplomatico britannico però riuscì ad andare ben oltre i limiti imposti dall’autorizzazione del governatore militare, ottenendo l’anno dopo dal Sultano stesso un ‘firmano’, ossia un decreto che lo autorizzava a prelevare qualsiasi scultura o iscrizione, il cui asporto non mettesse a rischio le strutture della rocca: così tra il 1801 e il 1805, quando l’autorizzazione venne revocata, schiere di operai guidate dal pittore italiano Giovan Battista Lusieri si dedicarono a una vasta opera di smontaggio delle decorazioni architettoniche che colpì l’acropoli in più punti, infierendo in particolare sul Partenone e sull’Eretteo.

[ Removal of marbles from the Parthenon in 1801 – © Edward Dodwell ]
La Grecia non poté contrastare il ‘firmano’ con cui il sultano autorizzava l’asportazione dei marmi del Partenone. “Peccato che di questo ‘firmano’ non ci sia traccia”, nota amaro Sidjanski, “ci rimane solo una traduzione fatta da un italiano che probabilmente era al servizio dell’ambasciatore. Ma sono molti quelli che ritengono che quella autorizzazione non abbia seguito tutti i crismi della legalità. Se è vero – continua – che già all’epoca il sultanato non dava più il permesso per spostare grandi reperti, come potevano essere i marmi del Partenone, allora vien da pensare che lord Elgin abbia abusato del potere che gli derivava dal Paese che rappresentava nei confronti del sultano”. È vero che lord Elgin aveva assicurato la massima attenzione per il capolavoro di Fidia, e che anzi quell’operazione andava proprio nella direzione della sua salvaguardia, ma basta seguire proprio quello che in realtà fece per capire che le intenzioni del britannico erano di tutt’altra natura. Nel sultanato ottomano c’era molta corruzione, così fu facile ottenere tutte le ‘agevolazioni’ logistiche che permettessero di raggiungere lo scopo più facilmente. Così lord Elgin fece tagliare i marmi strappati dal Partenone per trasportarli con meno problemi in Inghilterra. Già a partire dal 26 dicembre 1801, temendo intrighi da parte dei francesi, Elgin aveva noleggiato una nave, la Mentor, su cui iniziò a imbarcare i reperti. Nel gennaio del 1804 arrivarono in Inghilterra le prime 65 casse contenenti i materiali sottratti all’Acropoli, che rimasero fino al 1816 in un padiglione temporaneo fatto costruire appositamente nella casa di Elgin, il quale si vide rifiutato l’acquisto da parte del British Museum per l’alto prezzo richiesto.

[ Thomas Bruce 7th Earl of Elgin and 11th Earl of Kincardine ( around 1788 ) – © Anton Graff / The Trustees in the Temporary Elgin Room, 1819 – © Archibald Archer ]
Solo nel 1816 si arrivò a un accordo tra le parti e i marmi, divenuti di proprietà statale, furono trasferiti al British Museum, in una galleria appositamente allestita dove sono tuttora. “Il più importante monumento della Grecia antica, il Partenone, capolavoro di Fidia e non di Elgin, deve subire lo scempio di essere menomato dei suoi marmi, il cui nucleo principale non è ad Atene ma a Londra” chiosa Dusan Sidjanski. Perché i marmi devono tornare ad Atene? “Tutti noi, tutta l’Europa, abbiamo un debito culturale con la Grecia classica. E ora che ai piedi dell’Acropoli è stato aperto il nuovo museo dell’Acropoli, dedicato proprio ai monumenti e ai tesori dell’area più sacra di Atene, e in special modo al Partenone, con cui dialoga anche fisicamente attraverso scorci e prospettive, è venuto il tempo di riunire tutti i marmi di Fidia: è assurdo che più della metà dei rilievi esposti siano delle copie in gesso, perché gli originali sono a Londra!”. La luce calda dell’Egeo dà linfa vitale ai marmi esposti nel nuovo museo, ma le linee armoniose del Partenone dialogano con delle copie e non con i rilievi originali. “Credo che il Partenone rappresenti uno dei monumenti più importanti della cultura europea. Ma, come tutti i monumenti, va letto e considerato nella sua unitarietà oltre che unicità. E perciò non si può tagliare in due”.

[ East pediment. The exhibition combines original sculptures with plaster copies of those now in the British Museum – © courtesy of the Acropolis Museum / Nikos Daniilidis ]
“La restituzione dei marmi del Partenone alla Grecia è un problema che tocca l’Europa intera”, gli fa eco Louis Godart. “Perciò si deve mobilitare per riportare queste mirabili sculture ad Atene da dove sono state strappate da un barbaro assetato di denaro”. Atene era appena uscita vittoriosa dalle guerre persiane, ricorda Godart, guerre che avevano lasciato dietro di sé tanta distruzione, e avevano colpito il cuore più sacro della città: l’Acropoli. Il Partenone di Fidia rientrò in questa grande opera di restituzione e ricostruzione dei grandi monumenti dell’Acropoli. “Perché il Partenone non è il simbolo solo di Atene e della Grecia? Perché – sottolinea Godart – rappresenta i valori fondanti della nostra Europa. Il Partenone celebra quanti hanno lottato per difendere i valori conquistati dai padri: la democrazia e il dovere a ribellarsi all’ingiustizia. Tutti noi siamo figli della Grecia. E questo monito a difendere i valori dei padri ce lo ha lasciato per sempre la stessa Atena, dea della guerra e della saggezza, in una stele del 460 a.C. – nota come Atene pensosa – posta a pochi passi dal Partenone. La stele raffigura appunto Atena che, pensosa, posate le armi, guarda a sua volta una stele che, forse, riporta i nomi dei caduti a Maratona e Salamina. Quel gesto di riflessione fa pensare anche noi ai caduti per la libertà, un valore che va sempre difeso”.

[ Pediments of the Parthenon at British Museum – © Yair Hakli (Wikimedia CC BY-SA 3.0) ]
Già nel 1982 l’allora ministro greco della Cultura, Melina Mercuri, aveva lanciato una campagna internazionale per riportare a casa i marmi, arrivando perfino a una risoluzione dell’Unesco che a maggioranza votò a favore della restituzione dei marmi. “Ma a esaminare bene il voto – interviene Sidjanski – si vede subito che a favore c’erano solo Paesi del terzo mondo, mentre contrari erano i Paesi che contano nell’Occidente, i quali motivarono il loro no: la Grecia non aveva gli spazi adatti ad esporli, non era in grado di restaurarli/salvaguardarli, non poteva permettersi la vasta platea di pubblico che offriva il British Museum. Tutte motivazioni che già all’epoca erano manifestamente capziose, ma che oggi – dal 2009 è aperto il nuovo Museo dell’Acropoli – risultano addirittura ridicole”. La Grecia non chiede – e non ha mai chiesto – la restituzione di singole opere, come la Nike di Samotracia o la Venere di Milo, ma i marmi sì perché sono un tutt’uno col monumento. “Questa è una causa europea, perché in Grecia ci sono le radici della nostra cultura” ribadisce Sidjanski. “È comunque meglio negoziare con il governo britannico contando anche su una vasta porzione dell’opinione pubblica, compresa quella inglese, favorevole alla restituzione, piuttosto che intraprendere una via legale che, se dovesse andar male, precluderebbe per sempre ogni azione futura”. E allora, conclude Godart con un auspicio: “Attiviamo anche in Italia un comitato pro rientro dei marmi del Partenone”».

[ The Parthenon sculptures at British Museum – © Carole Raddato (Wikimedia CC BY-SA 2.0) ]
Son passati sette anni da questo accorato appello e la situazione è finora rimasta immutata. Come riportato dalla prestigiosa rivista online e cartacea “The Art Newspaper” alcuni mesi fa: «Il dibattito sul destino dei marmi del Partenone non mostra segni di cedimento dopo che membri della comunità greca e classicisti di tutto il Regno Unito si sono riuniti al British Museum di Londra il 18 giugno scorso per chiedere la riunificazione delle opere d’arte classiche. La protesta, organizzata dal gruppo di advocacy noto come British Committee for the Reunification of the Parthenon Marbles (BCRPM), è coincisa anche con il 13° anniversario dell’apertura del Museo dell’Acropoli di Atene. I manifestanti hanno srotolato uno striscione blu con scritto: ‘Riunificare i marmi!’. Un portavoce del BCRPM ha contestato la dichiarazione rilasciata da George Osborne, il presidente del British Museum, che ha affermato: “un accordo forse si può fare se raccontiamo la storia antica, sia ad Atene ma anche a Londra senza porre delle precondizioni e veti pregiudizievoli ed insuperabili simili a delle linee rosse”. Il professor Andrew Wallace-Hadrill, ex direttore della ricerca presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Cambridge e membro del BCRPM, ha contestato l’affermazione di Osborne secondo cui ad Atene, a differenza di Londra, i marmi del Partenone raccontano la storia solo della civiltà greca. Andrew Wallace-Hadrill afferma in una nota: “Quali altre storie raccontano a Londra? Della volontà di una potenza imperiale di servirsi dei monumenti di un’altra civiltà? Forse si potrebbe raccontare una storia più nobile ad Atene, sulla volontà della Gran Bretagna post-imperiale di annullare l’hybris del passato restituendo alla Grecia una delle sue più grandi glorie?”».

[ A protest at the British Museum in London organized by the advocacy group, British Committee
for the Reunification of the Parthenon Marbles (BCRPM) – © Courtesy of the BCRPM ]
È realistico pensare che in tempi ragionevolmente brevi i marmi contesi possano essere esposti al Museo dell’Acropoli ad Atene o forse che siano addirittura restituiti definitivamente alla Grecia? Non proprio. Incalzato sui dettagli della proposta di partnership, il British Museum è stato inequivocabile: «Presteremo le sculture, come facciamo con molte altre opere d’arte, a coloro che desiderano esporle nei loro musei, a condizione che se ne occupino e le restituiscano integre». L’opinione pubblica britannica è però favorevole alla restituzione dei “marmi di Elgin” (quindici metope, diciassette sculture figurali e parte di un fregio dell’antico tempio del Partenone) al Museo dell’Acropoli di Atene. In un recente sondaggio promosso tra i lettori del Times e del Sunday Times la maggioranza degli intervistati – oltre il 78% – si è dichiarata favorevole al rientro in Grecia dei marmi “legalmente trafugati” e solo il 22% si è espressa invece per la loro permanenza al British Museum di Londra. L’indagine demoscopica arriva dopo i crescenti sforzi della Grecia, della comunità internazionale e dell’UNESCO di far ritornare nella capitale ellenica le opere contese.
Forse questo “pressing mediatico” sulle istituzioni britanniche coinvolte sta dando i primi frutti. Intervistato alcuni mesi fa sempre dal Sunday Times il vicedirettore del British Museum, Jonathan Williams, ha dichiarato: «Quello che chiediamo è un attivo partenariato sui marmi contesi con i nostri amici e colleghi greci. Credo fermamente che ci sia spazio per una conversazione davvero dinamica e positiva su questa spinosa questione e che si possano trovare nuovi modi per lavorare insieme».

[ Professor Nikolaos Stampolidis at the site of Eleutherna – © Makisantypas (Wikimedia CC BY-SA 4.0) ]
In risposta a Williams, l’archeologo greco Nikolaos Stampolidis, direttore del Museo dell’Acropoli, dove le autorità greche sperano di ospitare le preziose sculture al loro ritorno, ha ribadito: «la disponibilità a trattare è già una buona base per dei colloqui costruttivi. Nei giorni difficili in cui stiamo vivendo, ottenere la restituzione dalla Gran Bretagna dei marmi al centro della diatriba sarebbe un atto storico. Come se gli inglesi volessero ripristinare la democrazia stessa. Auspico che questa “querelle” si avvii a soluzione».

Nikolaos Stampolidis invita nel frattempo i suoi connazionali e i molti turisti provenienti da tutto il mondo che scelgono la Grecia per le loro vacanze di visitare anche il Museo dell’Acropoli che offre molti altri importanti reperti storici, provenienti appunto dall’attigua Acropoli.


Per scoprire tutte le mostre permanenti e temporanee allestite e per programmare in anticipo un tour nel museo ateniese è consigliabile visitare il sito: www.theacropolismuseum.gr/en.

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