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Crisi: allarme money dirtying, 1,5 mld ripuliti in economia sporca

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​I capitali sani si mescolano a quelli illegali

euro

NordEst – Oggi osserviamo un’ulteriore e ancora più pericolosa evoluzione del fenomeno criminale con il money dirtying che è esattamente speculare al riciclaggio nel quale i capitali sporchi affluiscono nell’economia sana; per contro, nel money dirtying sono i capitali puliti ad indirizzarsi verso l’economia sporca. E’ quanto emerge dal terzo Rapporto Agromafie elaborato da Coldiretti, Eurispes, e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare dal quale si evidenzia che attraverso meccanismi di money dirtying, almeno un miliardo e mezzo di euro transitano sotto forma di investimento dall’economia sana a quella illegale ovvero circa 120 milioni di euro al mese, 4 milioni di euro al giorno.

La crisi economica; le regole imposte da Basilea 2 e 3 che limitano fortemente l’erogazione del credito; l’incertezza e, spesso, la paura che spingono i privati a tenere immobilizzate presso le banche quote sempre più consistenti di risparmio sottratte, di fatto, all’investimento; la possibilità per le stesse banche di approvvigionarsi presso la Bce a tassi vicini allo zero, con la conseguenza che diminuisce sempre più l’interesse alla raccolta, che viene ormai remunerata in maniera simbolica. Sono questi gli ingredienti che definiscono la condizione all’interno della quale vanno ricercate le origini del money dirtying.

In buona sostanza, molti tra coloro che dispongono di liquidità prodotta all’interno dei settori attivi nonostante la crisi, trovano convenienti e pertanto decidono di perseguire forme di investimento non ortodosso, con l’obiettivo del massimo vantaggio possibile affidandosi a soggetti borderline o ad organizzazioni in grado di operare sul territorio nazionale e all’estero in condizioni di relativa sicurezza. Il settore agroalimentare, che ha dimostrato in questi anni non solo di poter resistere alla crisi ma di poter crescere e rafforzarsi anche in un quadro congiunturale complessivamente difficile, è diventato – di conseguenza – ancor più appetibile sul piano dell’investimento. Ora, dal punto di vista strettamente logico, le organizzazioni criminali, che già dispongono di ingenti risorse proprie da ripulire sul mercato legale, non dovrebbero essere interessate a prendere in carico altro denaro, questa volta pulito, da investire nelle loro attività apparentemente lecite o illecite.

E, invece, esse considerano particolarmente interessante e vantaggioso questo tipo di operazioni per alcuni fondamentali motivi. Il primo è quello “relazionale”: che consiste nella possibilità di entrare in contatto con quello che, parafrasando la recente inchiesta che ha riguardato la Capitale, potremmo definire “il mondo di sopra”, cioè imprenditori rispettabili, uomini d’affari, esponenti della politica e del mondo istituzionale centrale e locale, operatori del sistema creditizio. Insomma, la possibilità di entrare in contatto e frequentare salotti e ambienti più o meno buoni. Il secondo è di “natura estetica”: l’afflusso di moneta buona migliora l’aspetto e copre l’odore di quella cattiva. Le due monete finiscono per confondersi e ibridarsi, rendendo sempre più sfumati ed incerti, fino a cancellarli, i confini tra l’economia sana e quella malata.

E l’operatore al servizio delle consorterie mafiose ne ricava, almeno sul piano esteriore, la rispettabilità e la credibilità necessarie per poter operare in taluni, qualificati ambienti economici e sociali. Il terzo è di “natura strumentale”: essere utili, garantire guadagni e assicurare nello stesso tempo protezione, stabilire in sostanza un patto di complicità con operatori rispettabili e con aziende e società anche rinomate può risultare molto proficuo e vantaggioso.

In effetti, una volta abbattuto il muro di separazione tra i due mondi, niente impedisce di sviluppare nuove iniziative di interesse comune, nuovi business. Finché l’uomo d’affari, l’imprenditore che ha cercato o accettato il contatto e ha affidato ad organizzazioni illegali o mafiose propri capitali, diventa esso stesso oggetto e soggetto del riciclaggio, e – da finanziatore – complice. Allora, il processo di infezione – concludono Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità agroalimentare – diventa irreversibile.

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