NordEst

Arte estrema a Bolzano, cadaveri sono opere

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Per il quotidiano Dolomiten si tratta di una "commercializzazione delle vittime" e di una iniziativa di "cattivo gusto", mentre per la direttrice del Museion Letizia Ragaglia l’intento è stato quello di "dar voce al disagio" della città, che con 3.000 vittime all’anno è considerata una delle città più pericolose al mondo. Dopo la rana in croce del tedesco Martin Kippenberger, il Museion di Bolzano si trova così nuovamente al centro di polemiche.
 
"Barbarie al Museion", titola oggi il Dolomiten che già tre anni fa aveva chiesto a gran voce la rimozione della rana in croce dal museo d’arte contemporanea. "Il messaggio della mostra – scrive il giornale – è quello che nelle città di confine in Messico ci sono troppi omicidi, ma per lanciarlo viene disturbato il riposo dei defunti".

Pochi giorni fa La Repubblica, intervistando l’artista in occasione della mostra bolzanina, l’ha definita "un manifesto lirico e intimo sul fenomeno del narcotraffico e sugli assassini-sparizioni che aleggiano su Ciudad Juarez". Il giornale cita come esempio due muri, infestati di fori, reliquie di pallottole sparate durante le esecuzioni.

Per Margolles, che nel 2009 aveva firmato il padiglione messicano alla Biennale, "l’arte è una fine riflessione sulla crudezza della realtà messicana, con lucidità caustica".

 
E proprio dalla Biennale che la direttrice del Museion replica oggi alle polemiche. "Teresa Margolles – afferma – lavora con le tracce concrete della sofferenza: la trasposizione di un oggetto in un contesto espositivo e il coinvolgimento della collettività fanno parte dei linguaggi dell’arte contemporanea".

Ragaglia ricorda in merito "la performance ‘Balkan Baroque’ di Marina Abramovich, Leone d’Oro alla Biennale di Venezia 1997, in cui la Abramovich lavava scheletri su una pila di ossa animali come atto di purificazione per la guerra dei Balcani. O l’artista Ai Weiwei che ha portato 1001 cinesi a Documenta 12 a Kassel".

Il lavoro di Teresa Margolles non si esaurisce con l’opera esposta, "ma è un processo che lascia segni di speranza", sottolinea la direttrice. "Dar voce al dolore – aggiunge – è quello che Teresa Margolles fa ogni giorno con il suo lavoro, che vede il coinvolgimento della collettività. Sono infatti gli stessi familiari delle vittime a cercare l’artista, a raccontarle le storie, a portarle le testimonianze delle morti".

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