NordEst

AMBIENTE/’Invasioni aliene’ e cambiamenti climatici a Primiero

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"No direttore, rilassati, non sono atterrati gli omini verdi.

Ti voglio invece parlare di ciò che dal punto di vista ambientale da tempo sta succedendo a livello globale e che comincia rendersi manifesto anche qui in Primiero: mi sto riferendo a quello che i cambiamenti climatici in atto stanno provocando anche da noi. Si tratta certamente di un fenomeno estremamente complesso, che per forza di cose è necessario semplificare, ma di cui è importante si parli.

Come sai faccio parte da quasi vent’anni del Comitato Glaciologico della SAT e come tale assieme ad altri colleghi seguo i ghiacciai delle Pale di San Martino con particolare riguardo alla Fradusta. Questo nostro ghiacciaio, che veniva un tempo definito come il principale ammasso delle Pale, si è ora “ristretto” a tal punto (dal 1994 ad oggi la superficie è passata da 22 a 8 ettari scindendosi in due parti) che tecnicamente parlando non può che essere definito un glacio-nevato e non più un ghiacciaio; questo è forse il fenomeno più macroscopico e, pensando ai nostri acquedotti, anche quello più inquietante a breve termine (è probabile infatti che le acque di scioglimento della Fradusta raggiungano la sorgente Acque Nere che alimenta il nostro principale acquedotto, con le ripercussioni immaginabili in caso di scomparsa della principale fonte alimentatrice – ma questo è un ulteriore aspetto del fenomeno su cui un giorno o l’altro ti manderò due righe).

Non è però sull’innalzamento delle temperature che voglio che il lettore focalizzi l’attenzione, ma di quello che sta succedendo negli ecosistemi urbani ed extraurbani della valle.

Il problema dell’ingresso in habitat non propri di specie straniere è noto da tempo, nell’archivio del Comune di Fiera esiste una lettera-circolare inviata dal Capitanato di Innsbruck nel 1875 in cui si raccomandava attenzione in quanto era in atto un attacco da parte di un parassita americano alle patate sia in Germania che in alta Austria, ma sta ora assumendo dimensioni preoccupanti: facciamo solo pochi esempi partendo anche dall’articolo copertina del Tuo giornale “Feltre: arriva la zanzara coreana”.

Tutti abbiamo potuto assistere questa primavera alla fioritura sul versante sopra Imer della Robinia, specie arborea importata dall’America ed assolutamente aggressiva ed invadente, o stiamo vedendo proprio in questi giorni un’altra fioritura – quella della Buddleja o albero delle farfalle – una pianta arbustiva che produce delle belle spighe violette e che, originaria dell’Asia, è stata importata in Europa nel 1700; nei nostri cieli non è raro notare in volo l’Airone cinerino, originario delle zone temperate, che si sta espandendo sempre più verso nord ed è comparso da alcuni anni anche da noi; ogni tanto sentiamo parlare di specie ittiche che sono “scappate” a qualche pescatore e che sono andate ad inserirsi in ecosistemi non loro (non siamo chiaramente a livelli del fiume Po dove pullula il pesce siluro ed in questo le dighe sul Cismon un effetto positivo nel fare da barriera lo hanno).

Per quanto riguarda gli habitat urbani la situazione è ancora più evidente: basta solo aprire la finestra di casa per vedere Cipressi dell’Arizona, Cedri del Libano, Aceri giapponesi, abeti argentati per non parlare poi dei papaveri, dei lupini e di tutte quelle specie che addobbano le nostre aiuole e giardini.

Era sul giornale di domenica 7 agosto che a Strembo e Campiglio alcuni prati sono stati messi in quarantena in quanto infestati dalla Penace gigante una pianta ombrellifera la cui altezza può superare il metro e mezzo e che assomiglia molto a quelle che in dialetto vengono definite caponere; questa pianta estremamente tossica e pericolosa, è stata importata dal Caucaso per fini ornamentali. Per fortuna la pianta non è stata ancora individuata da noi ma, prendendo questa come esempio, è possibile fare qualche considerazione sulle invasioni di specie non locali (e da qui il nome di invasioni aliene) negli ecosistemi del Primiero.

Anche da noi si sta verificando una variazione nella composizione dei popolamenti vegetali anche perché le specie aliene entrano in ecosistemi per loro vergini in cui non trovano competitori; ritornando alla Buddleja prima citata è visibile da tutti che questa pianta sta lentamente per noi, ma velocemente per i normali ritmi naturali, soppiantando i boschetti di ontano e salice lungo le sponde dei torrenti.

Questa invasione è chiaramente favorita anche dai cambiamenti climatici che rendono disponibili per specie estranee aree prima climaticamente inaccessibili.

Quali le conseguenze di questi fenomeni: sicuramente una perdita di biodiversità con conseguente decremento nel valore ecologico e paesaggistico della valle. Ritengo infatti che abbia una valenza maggiore un bosco di faggio e abete rosso piuttosto che uno di robinia, un popolamento arbustivo di salice e ontano piuttosto che uno di Buddleja, una fauna ittica composta da trote piuttosto che, paradossalmente, da orate.

Di chi la colpa: di tutti, nessuno escluso. E’ colpa di chi queste specie le importa, di chi permette che ciò possa essere fatto, di chi non mette in atto le giuste contromisure, di chi ritiene che questo sia un argomento banale e, rispetto agli attuali problemi, di poco conto (e qui mi piacerebbe ad esempio fare il conto economico di quanto costa la lotta alla zanzara tigre o di che incesti manti hanno dovuto fare gli allevamenti ittici per “difendersi” dall’airone cinerino).

Quali le contromisure? Mah! Dice il proverbio che una volta che i buoi sono scappati dalla stalla … ma almeno proviamo ad andare a cercarli nei pascoli per provare e riportarli nella stalla. Il come fare è sicuramente cosa molto complicata e delicata anche dal punto di vista normativo.

La prima cosa che mi viene in mente è, ad esempio, l’introduzione nel futuro Piano Territoriale della Comunità di Valle di una qualche norma che vieti, se non in qualche caso specifico, l’introduzione di specie non autoctone nei viali, nei giardini, nei rinverdimenti, ma anche nei torrenti, nei pascoli, ecc. e che richieda una sorta di valutazione preventiva degli effetti dei progetti che si mettono in atto.

E’ certo che tutti dobbiamo cominciare a ragionare di causa/effetto, dobbiamo pensare che quello che stiamo facendo può forse non avere ripercussioni su di noi, ma sicuramente le avrà sui nostri figli. Dobbiamo pensare a che valle vogliamo lasciare alle prossime generazioni e se sia meglio, paradossalmente, che nei pascoli delle nostre malghe possiamo un domani veder brucare l’erba (ma quale) da parte delle mucche o delle giraffe".

Erwin Filippi Gilli
è Dottore Forestale ed
esperto di Ecologia e Ambiente

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