Domenica 1 dicembre nel pomeriggio processione pontificale solenne a Trento
Trento – Sarà il momento principale delle manifestazioni con cui la città ricorda i 450 anni dalla fine del Concilio che l’ha resa famosa nella storia. Previsti anche mostre (Museo Diocesano), concerti, conferenze e convegni.
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Il Concilio di Trento
(Wikipedia) – Il Concilio di Trento o Concilio Tridentino fu il XIX concilio ecumenico della Chiesa cattolica, aperto da papa Paolo III nel 1545 e chiuso, dopo numerose interruzioni, nel 1563. Con questo concilio venne definita la riforma della Chiesa cattolica (Controriforma) e la reazione alle dottrine del calvinismo e del luteranesimo (Riforma protestante).
Fu un concilio importante per la storia della Chiesa cattolica, tanto che l’aggettivo “tridentino” viene usato ancora oggi per definire alcuni aspetti caratteristici della Chiesa cattolica ereditati da questo concilio e mantenuti per i successivi tre secoli, fino ai concili Vaticano I e Vaticano II.
La necessità di un Concilio
Il primo ad appellarsi ad un concilio che dirimesse il suo contrasto con il Papa fu Martin Lutero, già nel 1517: la sua richiesta incontrò subito il sostegno di numerosi tedeschi, soprattutto di Carlo V, che in esso vedeva un formidabile strumento non solo per la riforma della Chiesa, ma anche per accrescere il potere imperiale. Tra i primi fautori bisogna ricordare anche il vescovo di Trento Bernardo Clesio ed il cardinale agostiniano Egidio da Viterbo.
A tale idea si oppose invece fermamente papa Clemente VII che, oltre a perseguire una politica filo-francese e ostile a Carlo V, da un lato vi vedeva i rischi di una ripresa delle dottrine conciliariste, dall’altro temeva di poter essere deposto (in quanto figlio illegittimo). L’idea di un Concilio riprese quota sotto il pontificato del successore di Clemente VII, papa Paolo III (1534 – 1549).
Egli in primo luogo allargò il collegio cardinalizio, con l’inserimento di figure che, in modo diverso, erano favorevoli ad una riforma (come Reginald Pole, Giovanni Gerolamo Morone o i più moderati Gasparo Contarini e Giovanni Pietro Carafa); nel 1536 convocò quindi prima a Mantova e poi a Vicenza un’assemblea di tutti i vescovi, abati e di numerosi principi dell’Impero, ma senza ottenere alcun effetto (a causa del conflitto tra Francesco I e Carlo V). Vi erano inoltre differenze di vedute riguardo alle motivazioni e agli scopi del concilio: se Carlo V auspicava la ricomposizione dello scisma protestante, per il papato l’obiettivo era un chiarimento in materia di dogmi e di dottrina, mentre per i riformati era l’attacco dell’autorità del papa stesso.
Il fallimento dei colloqui di Ratisbona (1541) segnò un ulteriore passo per la rottura con i protestanti e la convocazione di un concilio fu giudicata improrogabile, per cui con la bollaInitio nostri del 22 maggio 1542, Paolo III indisse il concilio per il 1º ottobre dello stesso anno (Kalendas octobris) a Trento, sede poi confermata nella bolla Etsi cunctis del 6 luglio 1543, con cui si prorogava l’inizio del Concilio a dopo la cessazione delle ostilità ancora in atto. Trento era stata scelta poiché, pur essendo una città italiana, era entro i confini dell’Impero ed era retta da un principe-vescovo; fu con la pace di Crepy che Paolo III poté finalmente emanare la bolla di convocazione, la Laetare Jerusalem (novembre 1544) e il Concilio si aprì solennemente a Trento il 13 dicembre 1545, III domenica di Avvento, nella cattedrale di San Vigilio, a fare gli onori di casa il principe-vescovo Cristoforo Madruzzo.
La prima fase del Concilio
Lato orientale della cattedrale di San Vigilio a Trento in una stampa del XIX secolo, cioè di tre secoli successiva al momento del Concilio, ma sostanzialmente fedele a quella originale dell’epoca.
Il primo periodo del concilio si svolse in 8 sessioni solenni a Trento (dal 1545 al 1547) e in altre due a Bologna (dal 1547 al1549), dove si decise di trasferire il concilio per il timore della peste e per sottrarsi alle ingerenze imperiali. Il Concilio contò inizialmente pochi prelati, quasi tutti italiani, e fu quasi sempre controllato dai delegati pontifici. Furono presenti anche alcuni prelati legati al cosiddetto evangelismo, come il cardinale Reginald Pole.
Nelle prime sessioni vennero approvati i regolamenti e l’ordine di discussione degli argomenti; venne inoltre deciso, in seguito ad un compromesso fra le istanze imperiali e quelle papali, di affiancare decreti di natura dogmatica a quelli riguardanti questioni disciplinari. Venne inoltre riaffermato il simbolo niceno-costantinopolitano. Nella IV sessione vennero fissati i canoni della Sacra Scrittura e si ribadì la loro ispirazione; viene poi accettata come ufficiale la versione della Bibbia detta Vulgata e si respinse la dottrina del libero esame delle Scritture, ribadendo che la loro interpretazione spettava alla Chiesa.
Nella V sessione venne trattata la dottrina sul peccato originale, che portò al decreto del 17-6-1546. Nella VI sessione fu trattata la giustificazione, da cui il decreto del 13-1-1547. Si afferma che il battesimo lava da tale peccato ma nel battezzato rimane una concupiscenza, fomite (causa, tentazione) del peccato. Nonostante il permanere della concupiscenza, si ripropone la tesi tomista dello “stato di grazia” inteso come una qualità che, quando ricevuta, diviene propria dell’uomo, e non quindi una sorte conferita sempre da Dio ma ‘aliena’ ad esso; anche se si abbandonano le categorie della Scolastica medievale nell’esporre questo concetto (la “grazia creata” di S.Tommaso quale dono soprannaturale infuso da Dio nell’uomo, nella modalità di qualità accidentale dell’anima). La persona che riceve la grazia quindi cambia realmente, sia in sé sia in un nuovo comportamento, con atti meritori che a loro volta confermano ed incrementano la grazia. Gli atti sono una conseguenza della grazia, ma sono necessari.
La cooperazione dell’uomo è comunque necessaria anche prima dello “stato di grazia” (ovvero, l’abbraccio della fede, ovvero l’abbandono fiduciale in Cristo); il documento elenca la sequenza degli atti che portano un adulto alla giustificazione: dal volgere l’attenzione alle verità di fede, a dare loro un assenso interiore, riconoscere di conseguenza il proprio peccato e detestarlo, amare Dio con tutto il cuore. Tutti atti compiuti per volontà umana, che si differenziano dall’esercizio delle virtù teologali (fede, speranza, carità) possibili solo dopo il battesimo e tramite l’infusione dello Spirito Santo. Sono dunque condannate le tesi luterane sulla giustificazione: sia per quanto riguarda ciò che è necessario a conseguirla (Lutero affermava che bastava la sola fede, e le opere non avevano alcun valore) sia per quanto riguarda le conseguenze sul giustificato (secondo Lutero non vi era alcun cambiamento nella persona, che rimaneva nei suoi peccati: l’unica differenza è che Dio non glieli imputa più, e lo fa con un atto puramente unilaterale).
Venne inoltre condannata la teoria calvinista della predestinazione degli Eletti e venne evidenziato il ruolo della libertà umana nella propria salvezza. Non venne trattata in modo esteso la questione dell’Immacolata concezione: il concilio si limitò a dire che le affermazioni sul peccato originale espresse negli stessi documenti non riguardavano la «beata ed immacolata vergine Maria» e che venivano soltanto riprese le indicazioni di Sisto IV (già istitutore della festa dell’Immacolata) in merito alla questione, secondo le quali non era possibile indicare come eretica né l’affermazione contraria né quella favorevole dell’Immacolata concezione di Maria, in quanto la Chiesa non aveva ancora espresso un parere definitivo.
Si stabilirono alcuni decreti di riforma, tra i quali il divieto di predicazione ai questuanti, il dovere di residenza come condizione per la rendita dei benefici ecclesiastici e l’obbligo di residenza dei vescovi nelle loro diocesi. Avveniva infatti che i benefici ecclesiastici e i vescovati venissero assegnati generalmente ai nobili, senza che corrispondesse effettivamente l’obbligo di residenza e lo svolgimento dell’incarico.
Nella VII sessione venne infine ribadita la dottrina generale dei sette sacramenti, ritenuti istituiti da Gesù Cristo e efficaci indipendentemente dalla loro esecuzione (ex opere operato). Vennero quindi esaminati nel dettaglio i sacramenti del battesimo e della confermazione. Di rilievo la figura del vescovo Luigi Bardone, teologo pavese, che presentò i nuovi dogmi a Carlo V. I lavori vennero quindi interrotti per via dei contrasti tra Paolo III e l’imperatore Carlo V.
La seconda fase del Concilio
Il Concilio di Trento tenutosi nella Chiesa di Santa Maria Maggiore, in una antica stampa.
La morte di Paolo III e l’elezione, dopo tre mesi di conclave, di Giulio III a papa portarono nel maggio 1551 ad una riapertura del concilio che vide una maggioranza di vescovi imperiali, l’astensione della Francia e la presenza di 13 inviati protestanti. Fallì tuttavia la trattativa con questi ultimi, a causa delle loro richieste di scioglimento del giuramento di fedeltà al papa e di ridiscussione dei decreti già approvati: non fu pertanto possibile risolvere il problema dell’accordo con la religione riformata, la quale nel frattempo era stata tollerata nell’impero con l’Interim di Augusta.
Vennero quindi riprese le discussioni sui sacramenti: nella XIII sessione venne ribadita la presenza reale di Cristonell’eucarestia, la sua istituzione nell’Ultima cena e la dottrina della transustanziazione; si affermò quindi l’importanza del sacramento e vennero confermate le pratiche di culto e di adorazione ad esso collegate (come l’adorazione eucaristica e la festa del Corpus Domini). Nelle sessioni successive si riaffermò poi l’importanza dei sacramenti dellapenitenza (o confessione) e dell’unzione degli infermi, rifiutati da Lutero ma considerati dalla Chiesa cattolica istituiti direttamente da Cristo. Nell’aprile del 1552 il concilio venne di nuovo sospeso a causa delle guerre che vedevano coinvolte le truppe imperiali e i principi protestanti.
La fase conclusiva del Concilio
Il Concilio di Trento tenutosi nella Chiesa di Santa Maria Maggiore, in un dipinto conservato presso il Museo diocesano tridentino, che trae spunto da una stampa precedente.
Alla morte di Giulio III nel 1555 si susseguirono i pontefici Marcello II (al soglio pontificio per solo 23 giorni) e Paolo IV il quale, riponendo poca fiducia nell’assise conciliare, tentò di effettuare una riforma con altri metodi, potenziando il Sant’Uffizio e pubblicando nel 1557 l’Indice dei libri proibiti (Index librorum prohibitorum), un elenco di testi la cui lettura veniva proibita ai fedeli per via di contenuti eretici o moralmente sconsigliabili.
Nel 1559 divenne quindi papa Pio IV, il quale con l’aiuto del nipote cardinale Carlo Borromeo, futuro arcivescovo di Milano, riaprì, nel 1562, i lavori conciliari. Venne affrontata la questione del sacrificio della Messa, considerato memoriale e “ripresentazione” in maniera reale dell’unico sacrificio di Gesù sulla croce, sacerdote e vittima perfetta, condannando con ciò le idee luterane e calviniste della Messa come semplice “ricordo” dell’ultima cena e del sacrificio di Cristo.
Nella XXIII sessione si riaffermò il valore del sacramento dell’ordine, considerato istituito da Gesù, e la legittimità della struttura gerarchica della Chiesa, costituita in primo luogo dal pontefice romano, successore di Pietro, e daivescovi, successori degli apostoli. Vennero quindi approvati i decreti di riforma sulla presenza di seminari in ogni diocesi e sull’ammissione dei candidati al sacerdozio.
La XXIV sessione si soffermò invece sul sacramento del matrimonio, considerato indissolubile secondo l’insegnamento di Cristo, e stabilì le norme per un eventuale suo annullamento; venne poi confermata e resa vincolante l’usanza del celibato ecclesiastico. Si decise inoltre che ogni parroco dovesse tenere un registro dei battesimi, delle cresime, dei matrimoni e delle sepolture. Ai vescovi fu imposto di compiere la visita pastorale ogni anno, completandola ogni due anni.
Nella XXV e ultima sessione venne infine riaffermata la dottrina cattolica sul Purgatorio e sul culto dei santi, delle reliquie e delle immagini sacre; venne approvata quindi la pratica delle indulgenze. Vennero infine affidate al pontefice e alla curia romana alcune questioni rimaste in sospeso per la mancanza di tempo: la revisione del breviario e del messale, delcatechismo e dell’Indice dei libri proibiti. Con la bolla Benedictus Deus, emanata il 30 giugno 1564, Pio IV approvò tutti i decreti conciliari e incaricò una commissione di vigilare sulla corretta interpretazione e attuazione degli stessi.
L’opera del Concilio
Il concilio non riuscì nel compito di ricomporre lo scisma protestante e di ripristinare l’unità della Chiesa, ma fornì una risposta dottrinale in ambito cattolico alle questioni sollevate da Lutero e dai riformatori. Venne fornita una dottrina organica e completa suisacramenti e si specificò l’importanza della cooperazione umana e del libero arbitrio nel disegno di salvezza.
Rimasero insolute alcune importanti questioni nel campo della fede: non si trattò ad esempio in modo esaustivo il problema, sollevato dai protestanti, della natura e del ruolo del papato e del suo rapporto con l’episcopato (il quale sarà trattato dal Concilio Vaticano I); rimase anche in sospeso la questione del rapporto e della convivenza nella Chiesa tra aspetto istituzionale e misterico (per il quale bisognerà aspettare l’ecclesiologia del Concilio Vaticano II). Sul piano istituzionale, rimasero insolute inoltre le questioni dei privilegi e dei diritti attribuiti a sovrani e principi cattolici nell’intervenire nelle questioni interne alla Chiesa.
Dal punto di vista disciplinare, vennero affrontati problemi come la preminenza della cura pastorale (cura animarum, cura delle anime) nell’operato del vescovo o la riforma della vita religiosa. Fu dato grande impulso alle diocesi imponendo ai vescovi la presenza nelle loro sedi, la celebrazione dei sinodi e le visite pastorali e prevedendo in ogni diocesi l’istituzione di un seminario.
Lo storico contemporaneo Hubert Jedin sintetizzò così gli esiti del concilio:
« Esso ha rigorosamente delimitato il patrimonio della fede cattolica nei confronti dei protestanti, anche se non su tutta la linea delle controversie […] Esso ha contrapposto alla “riforma” protestante una riforma cattolica, che pur non essendo una reformatio in capite et membris nel senso del tardo Medioevo […] eliminò certamente gli inconvenienti più gravi sul piano diocesano e parrocchiale e negli ordini religiosi, rafforzò di fatto il potere dei vescovi e portò in primo piano le esigenze della pastorale » |
(E. Iserloh – J. Glazik – H. Jedin, op. cit., p. 596) |
Conseguenze e risultati del Concilio
Il nuovo attivismo che derivò nei confronti del protestantesimo viene indicato in ambito storiografico col termine di Controriforma o, più raramente, Riforma cattolica. Furono in particolare i pontefici successivi al concilio ad attuare e portare a compimento il processo di riorganizzazione della Chiesa. Il primo di essi è Pio V, papa dal 1566, il quale promulgò il Catechismo Romano (pensato come strumento per i parroci e i predicatori); a lui si deve anche la revisione del breviario e del messale, con la conseguente uniformità liturgica dellachiesa occidentale e l’adozione universale del rito romano nella sua forma tridentina (adottata con poche variazioni fino al Concilio Vaticano II e oggi celebrata come forma extraordinaria del rito romano); vennero aboliti molti riti locali e particolari, con l’eccezione del rito ambrosiano per l’arcidiocesi di Milano e di pochi altri riti.
San Carlo Borromeo comunica gli appestati, in un dipinto del 1616.
Nel 1571 Pio V istituì inoltre la Congregazione dell’Indice, con il compito di mantenere aggiornato l’Indice dei libri proibiti e la facoltà di effettuare speciali dispense. Papa Gregorio XIII, eletto nel 1572, diede notevole impulso al processo di accentramento di potere nelle mani del papato, sviluppando la nunziatura (una sorta di “ambasceria” dipendente direttamente dal papa e non dalla Chiesa locale) e promuovendo l’erezione in Roma di seminari e collegi per stranieri. Il successore, Sisto V, stabilì inoltre che i vescovi delle Chiese locali dovessero periodicamente effettuare le cosiddette visite ad limina, ovvero delle visite obbligatorie a Romacon relazione scritta sulla situazione delle proprie diocesi; riorganizzò inoltre la curia romana, istituendo 15 congregazioni al servizio del papa.
Grande attuatore della riforma cattolica fu Carlo Borromeo, figura dominante del terzo periodo conciliare, arcivescovo di Milano dal 1565 e principale curatore del catechismo tridentino. Dedicò la sua attività di vescovo prevalentemente alla pastorale, distanziandosì dalla visione medievale del vescovo come uomo di potere; fondò il primo seminario a Milano e si impegnò nelle visite pastorali e nella stesura di norme importanti per il rinnovamento dei costumi ecclesiastici.
Dalla fine del Cinquecento questo processo riformatore trova tuttavia un rallentamento e assume una direzione conservatrice: molti decreti sono disattesi e nella vita ecclesiale si arriva ad un prevalere degli aspetti giuridico-istituzionali rispetto a quelli sociali e al ruolo dei laici.
L’influsso sull’arte
L’influsso sulla musica
Il Concilio ebbe un notevole influsso anche sulla musica, nella fattispecie sul Canto gregoriano. Si cercò infatti di riportarlo alla purezza originale, eliminando ogni artificio aggiunto nel corso dei secoli. Vennero così aboliti i tropi e quasi tutte le sequenze; venne inoltre eliminata ogni traccia di musica profana, come ogni cantus firmus non ricavato dal gregoriano. Anche qui da segnalare l’eccezione (come per il resto della liturgia) per il canto ambrosiano, nell’arcidiocesi di Milano.
Si affidò infine a Giovanni Pierluigi da Palestrina e a Annibale Zoilo il compito di redigere una nuova edizione della musica liturgica che rispettasse le decisioni del Concilio. Tuttavia la musica che accompagnava le cerimonie religiose non fu mai limitata al solo gregoriano o ambrosiano. Molti tra i maggiori compositori come Monteverdi, Händel, Bach, Vivaldi, Charpentier, Cherubini, Haydn, Mozart, Verdi,Rossini scrissero messe, vespri, salmi, inni e altro, nello stile della propria epoca, e tutti questi vennero eseguiti regolarmente sia come musica liturgica sia in forma di semplice concerto.
Giudizi critici sul Concilio
Sull’assise conciliare non mancarono, già tra i contemporanei, i giudizi critici, non soltanto tra le file dei protestanti. In ambito cattolico, ad esempio, particolarmente esplicita fu la valutazione espressa da Paolo Sarpi, teologo ed erudito appartenente all’Ordine dei Servi di Maria, nonché influente consigliere della Repubblica di Venezia in occasione della complessa questione dell’interdetto (1604–1607). Nella sua Istoria del Concilio Tridentino, Sarpi affermò che il Tridentino ebbe effetti opposti rispetto a quelli auspicati da quanti ne caldeggiarono la convocazione, fallendo nel tentativo di ricomposizione dello scisma protestante e favorendo un’ulteriore centralizzazione della Chiesa cattolica attorno al papato e alla Curia romana, che videro enormemente rafforzato il proprio potere a discapito dell’autorità dei vescovi:
« Questo concilio, desiderato e procurato dagli uomini pii per riunire la Chiesa che comminciava a dividersi, ha così stabilito lo schisma et ostinate le parti, che ha fatto le discordie irreconciliabili; e maneggiando da li prencipi per riforma dell’ordine ecclesiastico, ha causato la maggior deformazione che sia mai stata da che vive il nome cristiano, e dalli vescovi sperato per racquistar l’autorità episcopale, passata in gran parte nel sol pontefice romano, l’ha fatta loro perdere tutta interamente, riducendoli a maggior servitù: nel contrario temuto e sfuggito dalla corte di Roma come efficace mezzo per moderare l’esorbitante potenza, da piccioli principii pervenuta con vari progressi ad un eccesso illimitato… » |
Frontespizio dell’opera Istoria del Concilio tridentino di Paolo Sarpi
Sul Concilio si dibatté a lungo anche nei secoli successivi, come testimonia l’abbondante letteratura controversistica sul tema. Nell’Ottocento, inoltre, la questione si spostò su un terreno più propriamente storiografico, quando si definirono in modo compiuto due tesi, tra di loro contrapposte, ma entrambe destinate ad una duratura fortuna e ad un ampio seguito, soprattutto in ragione del prestigio degli studiosi che le formularono: Leopold von Ranke (1795–1886) e Ludwig von Pastor (1854–1928). Il primo sosteneva che vi furono vari movimenti di riforma fin dal XV secolo, e che questo Concilio ebbe il ruolo di una restaurazione contro i tentativi che andavano in tale direzione, uno dei quali si realizzò nella riforma protestante; il secondo sosteneva che il protestantesimo fu una rivoluzione e che il Concilio di Trento rappresentò la vera riforma. La differente valutazione espressa sui due movimenti e la questione terminologica ad essa collegata (riforma protestante e controriforma cattolica oppure rivoluzione protestante e riforma cattolica) ha avuto degli echi fino al giorno d’oggi, sebbene non siano mancati, soprattutto in ambito anglosassone, tentativi interpretativi miranti al superamento di questa impostazione generale della querelle.
Gran parte dei pensatori agnostici o anticlericali italiani dell’Otto–Novecento (Croce, Gentile, De Sanctis e altri) fu molto critica nei confronti della stagione della vita religiosa, sociale e politica apertasi con il Concilio, valutata come un’epoca di decadenza dell’artee dei costumi, effetto di un clima di “chiusura” mentale in netta controtendenza con l'”apertura” della fase rinascimentale. Per giunta, con la Riforma cattolica, vi fu un fiorire di nuove devozioni, ordini religiosi (camilliani, oratoriani, gesuiti), confraternite ed associazioni (anche laicali) e un nuovo slancio evangelizzatore che allontanarono ulteriormente l’attenzione dai problemi sostanziali posti dalla Riforma, compiendo un’azione diversiva per salvaguardare il ruolo della Chiesa cattolica.[senza fonte]
Le fonti storiche sul Concilio di Trento
Sono molto rare le fonti storiche riferite agli anni precisi del Concilio, sia nei testi che nell’iconografia. Molte fonti sono successive, anche di secoli, all’evento, e, per quanto riguarda le fonti iconografiche, spesso sono evidenti le influenze di alcune opere su quelle realizzate in epoche successive, come le immagini qui riportate testimoniano. Tutta la documentazione originale, racchiusa in un diario di 7 volumi, oggi si trova a Roma, nella Santa Sede, nell’Archivio Segreto Vaticano.[1] Il Diario del Concilio di Trento fu redatto dal vescovo Angelo Massarelli, ed è ricchissimo di descrizioni minuziose degli ambienti e delle persone che parteciparono all’evento.
Appare interessante, a livello iconografico, il dipinto della Sessione Solenne del Concilio di Trento tenuta nella Cattedrale di San Vigilio nel luglio del 1563, qui a fianco riprodotto. Prima di tutto perché è una rarissima fonte originale, poi perché ritrae il probabile committente del dipinto, il vescovo di Parigi (oggi il quadro è conservato al museo del Louvre, ed a Trento è presente solo una sua copia). Inoltre per il fatto curioso che i vescovi, invece di riunirsi nell’aula conciliare, visibile sullo sfondo dietro il Cristo ligneo, decisero, a causa del caldo, di riunirsi nella navata centrale del Duomo.
L’immagine della riunione in Santa Maria Maggiore qui riportata è interessante per le personalità che vi sono raffigurate. Prime tra tutte i cardinali, sulla sinistra, ambasciatori del Papa. Sotto di essi i generali degli ordini religiosi. Al centro, l’ambasciatore dell’imperatore e, alle sue spalle, il segretario del Concilio, Angelo Massarelli. Di fronte gli ambasciatori accreditati. In rosso cardinalizio spicca l’ambasciatore di Venezia. Alle loro spalle il relatore della riunione. Attorno, a semicerchio, i vescovi ed i frati.