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In queste settimane diverse persone mi hanno dichiarato che non vogliono tornare a fare la vita che facevano prima…

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di Annalisa Borghese

Inizialmente pensavo fosse un pensiero solo mio, ma in queste settimane diverse persone mi hanno dichiarato che non vogliono tornare a fare la vita che facevano prima. Fare, appunto. Fare troppo, fare sempre. Siamo dentro un ritmo insano di corse dalla mattina alla sera, di lunghe code all’entrata in città, di presenzialismo eccessivo, di un monte ore in cattedra e alla scrivania esagerato. Ce lo richiedono il profitto, il mercato, i consumi.

Così gira il mondo e così giriamo noi immersi nella cultura del lavoro, che spesso è sfruttamento, senza un tempo da dedicare a noi stessi, a quello che ci piace davvero e magari non lo sappiamo neppure ma potremmo scoprirlo. Un tempo in cui semplicemente stare. L’otium dei latini, quel momento creativo per contemplare l’albero che abbiamo di fronte alla finestra o sedersi con un libro in mano senza alcuno scopo concretamente visibile che per il mercato corrisponda ad un utile. Nutrire l’animo non produce un utile immediato ma genera crescita umana, è una cosa vitale, ci fa stare bene.

L’uomo è fatto per creare e quando crei la più piccola cosa mettendo in gioco la parte più profonda di te raggiungi una pienezza che sul lavoro non sfiori neppure, assuefatti come siamo ad essere sfruttati o a sgomitare per stare sempre un passo avanti.

Certo, c’è anche il problema opposto: il lavoro manca e bisogna inventarselo. Un altro paradosso del modello liberista che mette al centro il profitto e l’uomo-macchina ne è al servizio. Già negli anni Trenta l’economista Keynes si augurava che i suoi nipoti potessero un giorno riavere il tempo per essere umani . Non sta andando proprio così, ma dentro la crisi si può immaginare un tempo diverso in cui ritrovarsi…


Ce lo racconta in modo mirabile Paola Mastrocola nel romanzo “Non so nulla di te”, Einaudi, 2013. Da sorseggiare con una tisana primaverile a base di ortica, bardana e tarassaco.

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