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Bob Dylan con “Retrospectrum” al MAXXI di Roma (VIDEO)

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Rimarrà aperta fino al 30 aprile al “museo nazionale delle arti del XXI secolo” (MAXXI) di Roma la prima e più completa retrospettiva allestita in Europa dedicata alle opere di arte visiva – disegni, dipinti, sculture e installazioni multimediali – dell’evergreen Bob Dylan, artista fra i più creativi degli ultimi sessant’anni ed emblema della cultura contemporanea mondiale

[ MAXXI Museum in Rome – © courtesy of the Loema Holding Srl ]

di GianAngelo Pistoia

NordEst – È visitabile fino al 30 aprile 2023 al MAXXI di Roma la mostra “Bob Dylan. Retrospectrum”, a cura di Shai Baitel, prima retrospettiva in Europa dedicata alle opere di arte visiva di una delle più importanti icone della cultura contemporanea mondiale.

Dopo essere stata al MAM di Shanghai e al Patricia & Phillip Frost Art Museum di Miami, la mostra è approdata a Roma in una versione completamente ripensata per interagire con gli spazi dinamici e avveniristici del MAXXI progettati dall’archistar Zaha Hadid, prematuramente scomparsa nel 2016.

[ Exhibition banner “Bob Dylan. Retrospectrum” at the MAXXI in Rome – © UniCredit / Bob Dylan – © Ken Regan ]
Esposte oltre 100 opere tra dipinti, acquerelli, disegni a inchiostro e grafite, sculture in metallo, materiale video, che esplorano oltre cinquant’anni di attività creativa di Bob Dylan. Chiosa lo stesso artista: «È molto gratificante sapere che le mie opere visive sono esposte al MAXXI, a Roma: un museo davvero speciale in una delle città più belle e stimolanti del mondo. Questa mostra vuole offrire punti di vista diversi, che esaminano la condizione umana ed esplorano quei misteri della vita che continuano a lasciarci perplessi. È molto diversa dalla mia musica, naturalmente, ma ha lo stesso intento».

[ Vernissage of the exhibition “Bob Dylan. Retrospectrum” – © courtesy of the MAXXI Foundation in Rome ]
I lavori esposti mettono in luce quei motivi che da sempre fanno parte dell’immaginario di musicista di Dylan e che tornano, sotto forma di disegno e di colore, anche nei suoi dipinti. Come scrive lui stesso nel catalogo della mostra (a cura di Shai Baitel e pubblicato da Skira), le sue opere d’arte visiva raccontano «il paesaggio americano come lo si vede attraversando il paese, osservandolo per quello che è. Restando fuori dalle grandi arterie e percorrendo solo strade secondarie, in totale libertà». Grandi metropoli, paesaggi brulli e sterminati, binari ferroviari, strade aperte, automobili, camion, pompe di benzina, motel, baracche, bar, negozi, cortili, cartelloni pubblicitari, insegne al neon: come nelle sue canzoni e nelle sue poesie, anche nei suoi dipinti Dylan rende poetica l’America più profonda. «Scelgo le immagini per ciò che significano per me – annota Bob Dylan – questi dipinti hanno il realismo dell’istante, arcaico, statico perlopiù, ma comunque percorso da un fremito. Sono il mondo che vedo o che scelgo di vedere, di cui faccio parte o in cui entro. Ad ogni modo, questo è il mio lavoro».

[ “Endless Highway 2” by Bob Dylan – © courtesy of the MAXXI Foundation in Rome ]
Chiarisce il curatore della mostra Shai Baitel: «questa esposizione, che abbraccia tutta la carriera di Bob Dylan, presenta il suo approccio unico all’arte visiva e la sua padronanza della pittura, del disegno e della scultura. Offre l’opportunità unica di vedere il viaggio creativo di Dylan attraverso il tempo e i luoghi, tra cui la scalinata di Piazza di Spagna, immortalata nell’opera “When I Paint My Masterpiece”.

[ “When I Paint My Masterpiece” by Bob Dylan – © courtesy of the MAXXI Foundation in Rome ]
Bob Dylan – che in un’intervista del 1965 affermò: “Tutto quello che posso fare è essere me stesso: chiunque io sia” – è un’artista che travalica le generazioni e vi spiego il perché. Dalla “Silent Generation” ai “Baby Boomers” fino ai “Millennials”, ogni generazione è costretta a confrontarsi con l’essenza della propria identità. E ogni generazione arriva all’età adulta come l’ombra di chi l’ha preceduta. Per formarsi ha dovuto contrapporsi ai valori dei genitori che l’hanno plasmata, insieme alla onnipresente tecnologia e agli inevitabili fattori economici. Su questa tensione generazionale fra rispecchiamento genitori/figli e impulso a definire sé stessi in opposizione alla famiglia hanno riflettuto molti scrittori e intellettuali. Sostenitore della natura ciclica della storia, Mark Twain scrisse che “la storia non si ripete, ma spesso fa rima”. Con accenti più minacciosi, Walter Benjamin sviluppò la celebre metafora dell’“angelo della storia”: una figura sospinta da tumulti e agitazioni “nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui fino al cielo. Ciò che chiamiamo ‘progresso’ è questa tempesta”. La storia è volubile, turbolenta, raramente ordinata, spesso poetica. Nel momento storico incerto e complesso in cui viviamo, sentiamo il bisogno di artisti in grado di collegarci al passato e al presente, rinnovando la promessa di una continuità e di un futuro pieno di speranza. Bob Dylan è una di queste voci.

[ Two voices from a “Silent Generation”: Bob Dylan and Joan Baez at Newport Folk Festival in 1963
© Rowland Scherman / U.S. National Archives and Records Administration at College Park in Maryland ]
Dylan è cresciuto a Duluth, Minnesota, ascoltando alla radio musica blues e country, più tardi rock and roll. Appartenente alla cosiddetta “Silent Generation”, è diventato un simbolo della cultura americana e uno degli artisti più stimati del nostro tempo. Le sue canzoni intramontabili hanno parlato alle generazioni passate e continuano a parlare, con crescente autorevolezza, a quella presente. Schierandosi contro i valori della generazione precedente che esaltava il conformismo, l’unità e la coesione, Dylan ha preferito concentrarsi sugli aspetti imperfetti, complicati e provocatori della vita: una scelta che si riflette anche nella sua pratica artistica, che lo vede spesso improvvisare, creando qualcosa di completamente nuovo da un concerto all’altro. Perché solo abbracciando l’incertezza della vita si può vivere per davvero. Ai tempi del liceo suonava le cover di Elvis Presley e Little Richard: per lui la musica era la vita. Il rock and roll gli parlava, ma non parlava la sua lingua: doveva ancora trovare il genere che avrebbe reso unicamente suo. Anche se rinchiudere il talento di Dylan in un genere è impossibile. Combinando il linguaggio della musica folk e il rock and roll della sua giovinezza con il mondo della poesia e dell’arte, Dylan ha inventato una musica che sfida le categorizzazioni. Ed è anche diventato un prolifico artista visivo.

[ Bob Dylan Mural in Minneapolis by Eduardo Kobra – © Sharon Mollerus (Wikimedia CC BY 2.0) ]
Con mezzo secolo di carriera alle spalle, in che modo l’ottantaduenne cantante, performer, pittore e scultore parla alle nuove generazioni? La “Z Generation” è composta dai nati fra la fine degli anni Novanta e l’inizio del secondo decennio del secolo seguente. Come i giovani della “Silent Generation”, anche loro sono cresciuti in un mondo di complesse vicende globali, politiche ed economiche: dall’11 settembre alle guerre infinite in Medio Oriente, fino alla recessione del 2008. Inoltre, gli effetti persistenti e acuti della pandemia da Covid-19 continuano ad avere un impatto enorme sulle vite dei più giovani, provocando una formazione tumultuosa che rispecchia quella della “Silent Generation”. Entrambe sono state indotte a essere stanche del mondo e scettiche nei confronti delle nuove opportunità. La “Silent Generation” ha trovato la sua vocazione primaria nel movimento per i diritti civili, esortando il mondo a rifiutare il razzismo e la discriminazione. Dylan, ad esempio, ha esordito con la sua prima canzone di protesta, “The Death of Emmett Till”, al Congress of Racial Equality del 1962; e “The Times, They Are A-Changin”, scritta nel 1964, è sempre rimasta viva fra tutti coloro che nel mondo si trovano ad affrontare confusione e conflitti. La figura di un uomo che annega disegnata da Dylan dà un’urgenza esplicita e viscerale al destino di chi rifiuta di stare al passo coi tempi, di cambiare con essi, mescolando testo e metafora: “È meglio che inizi a nuotare o affonderai come una pietra”.

[ The Rev. Martin Luther King Jr., center with arms raised, marches along Constitution Avenue with other civil
rights protesters to the Lincoln Memorial during the March on Washington on August 28, 1963 – © A.P. Archive ]
Alla “Z Generation” non mancano le cause per cui unirsi, dall’uguaglianza di genere al cambiamento climatico: tutte istanze che riecheggiano gli imperativi del movimento per i diritti civili degli anni Sessanta. Eppure, i ragazzi della “Z Generation” dimostrano in certa misura un senso del progresso e uno slancio che rivela una qualche speranza per il futuro. Nativi digitali, sono cresciuti con internet e smartphone, strumenti che permettono di organizzarsi e attivarsi in modo estemporaneo. Invece la “Silent Generation”, non avendo i mezzi, le infrastrutture o i precedenti per cambiare lo status quo, si è accontentata per troppo tempo di agire all’interno del sistema. “Chimes of Freedom”, che Dylan scrive nel 1964, si ribella a questa idea ed esprime la meraviglia dell’autore di fronte a una natura straripante, metafora che celebra la libertà d’identità e di percezione: il brano è un inno ai cuori nobili, ai miti, ai maltrattati. Nel frattempo, la diffusione della tecnologia ha dato alla “Z Generation” la possibilità di scegliere e di sfruttare il suo potere collettivo; in particolare, di suonare allarmi per gli oppressi del mondo. Oggi le masse armate di smartphone possono essere altrettanto potenti nei confronti dei politici e delle autorità quanto le generazioni precedenti lo sono state con le loro armi e tattiche di guerriglia. La “Z Generation” non è solo cresciuta in un mondo digitale. Questi giovani cercano la verità e valorizzano l’espressione individuale; sono pragmatici e analitici; credono nel potere del dialogo per risolvere problemi grandi e piccoli, locali e globali.

[ “Z Generation”: demonstration for the climate and student strike in Geneva
on Septembre 27, 2019 – © MHM55 (Wikimedia CC BY-SA 4.0) ]
La loro capacità di connettersi con il mondo circostante e l’accesso istantaneo alle informazioni hanno dato luogo a una prospettiva globale, grazie alla quale sono più aperti e disposti non solo a riconoscere, ma anche ad accettare pienamente la differenza, “l’altro” (nel senso accademico del termine). Guardano alla storia, sanno comparare il passato e il presente in campi diversi, dalla politica all’arte. Come Dylan, rifiutano di essere etichettati o confinati in un unico mezzo artistico. È una generazione che sposa anche l’etica dylaniana di non dover necessariamente separare il “lavoro” dalla “vita”: vogliono trarre piacere da ciò che fanno e tendono a scegliere la realizzazione personale anziché il compenso. Con un’opera che trascende generazioni, luoghi e circostanze, Dylan parla al nucleo più stabile della nostra umanità. Per questo forse non sorprende che continui a dare prova di una potente forza creativa. Nella sua carriera ha pubblicato otto libri di disegni e dipinti e ha venduto oltre 125 milioni di dischi. Ha vinto premi Grammy, Golden Globe, Oscar, e il suo nome è nella Rock and Roll Hall of Fame. Nel 2008 gli è stato assegnato il Pulitzer per “il suo profondo impatto sulla musica popolare e sulla cultura americana, segnato da composizioni liriche di straordinaria potenza poetica”. Il premio avrebbe anche potuto essergli assegnato come riconoscimento per la prosa del brillante e acclamato “Chronicles: Volume One”, pubblicato quattro anni prima.

[ President Barack Obama presents American musician Bob Dylan with the Medal of Freedom – © Bill Ingalls / NASA.gov.
Bob Dylan: 2016 Nobel Prize in Literature – © Illustration by Niklas Elmehed – The Nobel Foundation ]
Nel 2012 il presidente Obama gli ha conferito la Presidential Medal of Freedom e nell’ottobre 2016 ha vinto il Nobel per la Letteratura “per aver creato nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione della canzone americana”. Se Dylan è nato nell’epoca della “Silent Generation”, di certo non ha permesso che questa definisse la sua persona o il suo lavoro. Lui quel silenzio l’ha infranto, in una sorta di boato sonico di cui anche i giovani di oggi sentono profondamente gli effetti. Le sue parole, la sua musica e la sua arte sono qui per restare. E su questo non abbiamo dubbi: “La vita non è trovare sé stessi o trovare qualcosa in generale. La vita è creare sé stessi” come ribadisce tuttora Bob Dylan».
Dopo questa interessante ed esaustiva prolusione – sui “gap generazionali” con specifico riferimento all’opera omnia di Bob Dylan – del curatore della mostra Shai Baitel ci avvaliamo ancora della sua disponibilità per comprendere in che modo l’esposizione “Bob Dylan. Retrospectrum” è stata allestita al MAXXI di Roma.
«Il percorso della mostra si articola in otto sezioni che ripercorrono il viaggio di Dylan nelle arti visive e, al contempo, ci fanno entrare in contatto con la sua creatività di musicista, poeta e artista: “Early Works”, “The Beaten Path”, “Mondo Scripto”, “Revisionist”, “The Drawn Blank”, “New Orleans”, “Deep Focus” e “Ironworks”.

[ “Red Sunset” by Bob Dylan – © courtesy of the MAXXI Foundation in Rome ]
“Early Works” presenta una serie di disegni degli anni Settanta nei quali Dylan prende nota della realtà che lo circonda, di ogni immagine che ha a portata di mano, disegnando a piena pagina figure e oggetti. Queste illustrazioni anticipano i lavori del 2018 quando, con “Mondo Scripto”, l’artista torna a far dialogare musica e arte visiva realizzando una serie nella quale i testi scritti a mano delle sue canzoni sono accompagnati da disegni originali che richiamano i titoli o i momenti chiave dei brani stessi.

[ Exhibition “Bob Dylan. Retrospectrum” – © courtesy of the MAXXI / Musacchio, Ianniello, Pasqualini & Fucilla ]
“The Beaten Path” è un ritratto del paesaggio americano, un viaggio visivo attraverso gli Stati Uniti per intravedere la bellezza in quei luoghi dimenticati che fanno da sfondo alla vita quotidiana. Le opere mostrano scorci di motel e tavole calde sempre aperte, di luna park abbandonati e di auto d’epoca, di grandi palazzi illuminati dai lampioni.

[ “Corner Café” by Bob Dylan – © courtesy of the MAXXI Foundation in Rome ]
In molti casi la strada scandisce la scena con lunghe autostrade che sembrano dispiegarsi all’infinito verso l’orizzonte. “Mondo Scripto” presenta alcuni dei testi più noti di Dylan, trascritti personalmente dall’artista e accompagnati da suoi disegni a grafite. Queste combinazioni di parole e immagini sottolineano il nesso profondo e diretto tra la sua arte visiva e le sue composizioni scritte. I disegni a matita illustrano quel dialogo fra immagine e testo, passato e presente, che – grazie al continuo flusso creativo che alimenta l’arte di Dylan – ha cambiato il rapporto tra musica e parole. Di questa serie fa parte “Subterranean Homesick Blues Series”, che entrerà in collezione al MAXXI. “Revisionist” è una serie in cui Dylan rielabora la grafica, le parole e il contenuto cromatico delle copertine di celebri giornali, da “Rolling Stone” a “Playboy”, per trasformarle in nuove immagini serigrafate di grandi dimensioni.

[ “Marlboro Man” by Bob Dylan – © courtesy of the MAXXI Foundation in Rome ]
“The Drawn Blank” è una sorta di diario illustrato nel quale sono raffigurate istantanee della vita in strada: ritratti, luoghi storici, panorami e angoli nascosti. La serie nasce da una raccolta di schizzi a matita carboncino e penna realizzati tra l’89 e il 92 durante le tournèe in America, Europa e Asia. Negli anni, Dylan ha più volte modificato i disegni, aggiungendovi dettagli, colore e profondità. “New Orleans” è la serie che immortala il legame tra Dylan e New Orleans, città natale del jazz, situata all’estremità meridionale della “Route 61”, una delle strade più famose d’America, nota anche come “The Blues Highway”, la strada del blues, che attraversa da nord a sud la sezione centrale degli Stati Uniti, passando per i luoghi dell’infanzia di Dylan. In ogni angolo di New Orleans, l’occhio dell’artista individua infiniti spunti per le sue opere; i gesti e le abitudini dei suoi cittadini sono per Dylan fonte di ispirazione che si traduce, sulla tela, in scene di vita quotidiana dove viene privilegiato uno sguardo ravvicinato, capace di creare una certa intimità tra i soggetti ritratti e chi li osserva.

[ “Spectator Sport” by Bob Dylan – © courtesy of the MAXXI Foundation in Rome ]
“Deep Focus” sono dipinti con particolari inquadrature e tagli dell’immagine, composizioni suggestive e spesso misteriose, sospese tra vita e teatro, che si ispirano allo spirito documentaristico della fotografia e del cinema. Il titolo fa riferimento a una tecnica cinematografica in cui la narrazione è il risultato della combinazione di primo piano, secondo piano e sfondo, tutti contemporaneamente a fuoco per poterne distinguere i dettagli a ogni profondità.

[ Exhibition “Bob Dylan. Retrospectrum” – © courtesy of the MAXXI / Musacchio, Ianniello, Pasqualini & Fucilla ]
Infine “Ironworks”. Il percorso di mostra si chiude con una serie di sculture in ferro, strutture funzionali composte da oggetti e attrezzi convertiti a nuovo uso che richiamano, insieme al ricordo dell’infanzia di Dylan nella zona mineraria del Nord del Minnesota, anche l’iconico passato industriale degli Stati Uniti».
Apprendiamo sempre da Shai Baitel, il curatore della mostra, che a conclusione dell’evento culturale verrà donata al museo un’opera di Dylan che arricchirà quindi la collezione pubblica nazionale del MAXXI. Un lavoro che nasce intorno alla celebre canzone del 1965 “Subterranean Homesick Blues”, che vanta il primo (e forse più celebre) video musicale della storia. Nel video, Dylan fa cadere al ritmo della musica una serie di fogli con il testo della canzone, scritti la sera prima da un gruppo di amici fra cui Allen Ginsberg, riconoscibile nel film. Nel 2018, Dylan ha riscritto questi testi su 64 cartelli, allestiti a comporre una parete di fianco allo schermo. “Subterranean Homesick Blues Series” unisce così arti visive, parole e musica.

[ Exhibition“Bob Dylan. Retrospectrum” – © courtesy of the MAXXI / Musacchio, Ianniello, Pasqualini & Fucilla ]
La mostra è accompagnata da un catalogo in doppia edizione italiano e inglese, 224 pagine, edito da Skira. Nel volume la vasta produzione artistica di Bob Dylan viene raccontata attraverso le immagini e il contributo di importanti scrittori, critici e artisti, tra cui Shai Baitel, Alain Elkann, Anne-Marie Mai, Greg Tate, Richard Prince, Bob Dylan, Caterina Caselli.

[ Shai Baitel, curator of the exhibition “Bob Dylan. Retrospectrum” – © courtesy of the MAXXI Foundation in Rome
Exhibition catalogue “Bob Dylan. Retrospectrum” by Skira – © courtesy of the MAXXI Foundation in Rome ]
E’ inoltre accompagnata da un programma di incontri che ne approfondiscono i temi e da un film screening per scoprire il rapporto di Dylan con il cinema. Main sponsor dell’esposizione sono Ferrovie dello Stato e UniCredit mentre Vivenda è media partner.

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