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“La mia Africa”, Padre Bruno rientra dal Madagascar e si racconta con i volontari primierotti

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A pochi giorni dal rientro dei volontari primierotti dalla Costa d’Avorio e di un secondo gruppo dal Congo (guidato dal decano don Giuseppe Daprà), l’associazione Amici dell’Africa racconta la sua esperienza e i molti progetti realizzati in questi anni. Sostenendo anche la missione di padre Bruno dall’Acqua in Madagascar. Ecco come aiutarli concretamente

I progetti in corso nella missione in Madagascar

 

di Liliana Cerqueni

Da sinistra Bruno Brunet, Vigilio Dallasega, Padre Bruno Dall’Acqua ed Eugenio Zugliani, sostenitori dei progetti in Africa con molti altri amici

(Trento) – Magadascar: uno Stato insulare con 25 milioni di abitanti, ben 18 gruppi etnici, una popolazione per il 45% cristiana (cattolici e protestanti).

Proprio in questa terra, padre Bruno dall’Acqua, dei padri Carmelitani, opera per la costruzione di un grande polo ospedaliero, un progetto già tradotto nei primi interventi con l’aiuto di molti volontari tra cui Amici per l’Africa di Primiero e il sostegno finanziario di tutti coloro che hanno creduto e credono nell’iniziativa.

Padre Bruno, com’è cominciata la sua vita di religioso missionario e l’avventura Magadascar?

Ho avuto la grazia di essere cresciuto in una famiglia molto religiosa di Oderzo (Treviso); mio padre ogni mattina iniziava la giornata pregando in ginocchio nella stalla e mia mamma era molto sensibile ai bisogni degli altri, caritatevole. Eravamo cinque fratelli, tre dei quali diventati sacerdoti. Una famiglia cristiana come c’erano dalle nostre parti nel Veneto, ma anche in altre zone.

Negli Anni Settanta andai a Vittorio Veneto a frequentare il Seminario Minore: erano gli anni della contestazione e si sentiva anche noi la necessità di uscire, di stare più vicini alla gente per comprenderne i problemi. Ho proseguito quindi per sette anni con il servizio civile a Cinisello B. (Milano) in una comunità per persone in difficoltà come alcolisti, ragazze madri, ex prostitute, e tanti altri casi. Sono stato poi nella comunità di Sedico (Belluno), appena avviata.

Terminati gli studi al Seminario sono diventato Carmelitano religioso e sono subito partito per il Magadascar perché proprio là operava la nostra congregazione. Era successo che avevano ucciso un nostro confratello in circostanze poco chiare (si parla anche di uno scambio di persona) e mi venne chiesto di raggiungerli cominciando così l’avventura in quell’isola, dove ho pronunciato i miei voti solenni. Sono già 31 anni di vita in quel territorio.

Quali sono le prime difficoltà che ha incontrato in quel cambiamento di vita così drastico?

Ero un po’ abituato ai problemi, avendo operato in ambienti socialmente critici come le periferie urbane, a contatto con senzatetto e persone in difficoltà. Si viveva anche in quei contesti, di provvidenza e tutto ciò che arrivava. Non è stato molto diverso in Africa: tanta povertà, tanti bisogni, mancanza di diritti. Ho dovuto imparare la lingua del posto per comprenderne la cultura, la mentalità, le usanze, per meglio entrare in contatto con la popolazione e mettermi in atteggiamento di ascolto. La gente è comunque molto accogliente e se tu accogli, sarai accolto.

Lo Stato, pur essendo poco presente, ci lascia fare, è tollerante della nostra presenza. Ci vuole moltissimo spirito di adattamento nella quotidianità perché le differenze rispetto il nostro mondo sono profonde: il cibo, le abitudini, la mobilità, i rapporti, le mentalità. Importante è formare la popolazione, aiutarla a prendere in mano la sua realtà e metterla in grado di crescere, preparare le persone ad affrontare un’esistenza migliore.

Come nasce e si evolve il progetto a cui sta lavorando ora, che riguarda la costruzione di un grande ospedale a Mazanga, città a 600 km dalla capitale?

Il progetto dell’ospedale nasce dal bisogno di occuparsi in modo concreto ed efficiente del problema della salute: la sanità è tutta a pagamento, non esiste un’offerta sanitaria per tutti e in tutte le specializzazioni, ci sono alti dati di diffusione della malaria, peste, febbre tifoidea, tubercolosi e si muore spesso di parto e sottonutrizione. Ci siamo messi al lavoro, collaborando con la Commissione della sanità della Diocesi, con medici e personale paramedico pensando a una struttura ospedaliera completa.

Abbiamo iniziato con le generose donazioni di una famiglia di Treviso, il prezioso aiuto di tecnici e lavoratori volontari (è arrivato un bravo ingegnere, muratori, piastrellisti, installatori, soprattutto elettricisti di cui c’è tanto bisogno) e un gruppo medico già impegnato sul posto, un insieme di competenze che hanno permesso l’avvio del progetto. Abbiamo fatto richiesta di aiuto alla CEI vaticana e dopo due anni abbiamo ricevuto consenso, fiducia e sostegno economico che copre la metà dei costi previsti (Euro 1.500.000 in tre rate, provenienti dalla destinazione della donazione Otto per Mille).

Con questo contributo abbiamo potuto vedere un futuro più chiaro davanti a noi e programmare con più sicurezza. Quest’anno ci siamo occupati anche della costruzione dei nuovi locali della scuola che dovrebbe formare nuovo personale paramedico, infermieri e ostetriche. Ci chiedono anche di avviare in futuro l’Università ma per questo c’è tempo. Intanto abbiamo attivato delle convenzioni con lo Stato per il funzionamento dell’ospedale; abbiamo mandato medici a specializzarsi fuori per Pediatria, Ostetricia e Chirurgia, Laboratorio analisi e TAC. Stiamo mettendo assieme tutte le risorse possibili con lo scopo di dare un servizio per il bene della gente.

La sfida che ci attende nel futuro è anche quella di riuscire a coprire i costi di gestione dell’ospedale: moltissima gente non può pagare e per affrontare un’operazione deve vendere una mucca o un pezzo di risaia, oppure si affida totalmente allo stregone in mancanza di denaro.

Vedremo come gestire al meglio le situazioni, dando il via a piccoli progetti di sostegno e a una valutazione equilibrata delle attività redditizie all’interno dell’ospedale (laboratori ecc.) in modo da coprire i costi per coloro che non hanno nulla con i proventi di chi può pagare i servizi. Arriveranno dei carichi di attrezzature smesse nei vari ospedali, rimesse a nuovo e pronte per l’uso. Si vorrebbe offrire il più ampio spettro di spazi specialistici con visite bisettimanali, medici itineranti e un gruppetto stabile.

Un ponte tra Primiero e Africa

Mercato di Offa in Costa d’Avorio

Un apprezzabile contributo in termini di collaborazione al progetto lo sta dando anche l’Associazione Amici dell’Africa, un’associazione primierotta di circa 60 volontari nata nel 2000, ci spiega Bruno Brunet, cresciuta negli ultimi anni e operante con progetti esterni in appoggio a interventi ampi, come quello dell’ospedale di Mazanga (costruzione strada di accesso, pozzo acqua potabile, allestimento aula informatica per la scuola del costo di circa 20.000 euro, sistema di insegne), oppure progetti autonomi dell’Associazione proporzionati alle risorse e alle capacità del gruppo.

Le Valli di Primiero e Vanoi hanno da sempre una grande vocazione al volontariato di estrazione sia religiosa che laica; gli Amici dell’Africa si spendono nel doppio lavoro di diffondere sensibilità sul territorio locale e prestare risorse e competenze per la creazione di strutture piccole che servano per l’autosviluppo delle comunità dei Paesi più poveri (Tanzania, Costa d’Avorio, Bolivia, Guinea Bissau…).

In Tanzania le squadre di Amici dell’Africa sono state presenti nella costruzione di due ospedali, una scuola, una falegnameria, attualmente gestiti dalla gente del posto. Per poter operare nelle varie zone, afferma Brunet, occorre poter contare su referenti nel luogo, partner locali come comunità di suore e religiosi già presenti, per conoscere le aspettative della gente, per superare le grandi contraddizioni e far fronte ai radicati sistemi di corruzione dilaganti.

Vigilio Dalla Sega è invece uno dei quattordici volontari che si sono recati nell’ultimo anno ad Abidjan in Costa d’Avorio, per avviare la costruzione di tre palazzine destinate alla scuola primaria. La periferia di una città molto povera, dove di giorno si lavorava con soddisfazione e la sera non era opportuno uscire di casa per assoluta mancanza di sicurezza, racconta. Nel villaggio di Offa, un secondo gruppo era impegnato nell’ampliamento del dispensario e la creazione, chiesta dalle donne locali, di uno spazio coperto per il mercato, centro vitale della loro economia.

“Ci è stata riservata una bella accoglienza con una festa di benvenuto: è stato bello vedere la loro gioia autentica e la riconoscenza per la nostra presenza e i nostri interventi!” afferma Vigilio con quell’entusiasmo che lascia intravvedere nuove partenze, nuovi viaggi e nuovi progetti nel futuro, che meritano sicuramente attenzione e sostegno.

La scuola sempre in Costa d’Avorio

“La solidarietà è l’unico investimento che non fallisce mai.” (Henry David Thoreau, scrittore e filosofo americano, difensore dei diritti civili)

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