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“Il carcere, un mondo a parte”: dalle acqueforti di Piranesi alla solitudine di un “ergastolano”

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Per avvicinare il pubblico a questa particolare realtà, il museo diocesano trentino ha organizzato una mostra con incisioni, immagini fotografiche e video che la raccontano. Finalità della proposta rivolta alla scuola è quella di aprire una riflessione su giustizia, vendetta e perdono

“Via Antonio Pilati 6” : microstorie dall’ex carcere trentino negli scatti del fotografo Nicola Eccher (@TrentinoCultura)

di Liliana Cerqueni

Trento – Parlare di carcere non è facile e l’argomento rimane ancora una sorta di tabù perché siamo abituati a considerare la detenzione un altro mondo rispetto il nostro, un tema che non ci appartiene, una realtà parallela alle nostre comode e ineccepibili vite, con la quale è sconveniente interagire e perciò non ci riguarda. A creare un momento di riflessione sul tema carcerario ci ha pensato il Museo Diocesano Tridentino che, anche col contributo della Provincia Autonoma di Trento – Servizio Attività Culturali – ha voluto offrire una preziosa opportunità per avvicinarci e prendere coscienza di ciò che significa essere detenuti.

Il progetto

Ha preso il via il 26 novembre 2016, in concomitanza con il Giubileo della Misericordia e in occasione dei 500 anni dalla pubblicazione di ‘Utopia’ di Thomas More, perché nulla è più distante del carcere, da quello spazio vitale e libero di cui ogni essere umano ha necessità e che diventa, appunto, utopico in regime di detenzione. Il percorso va a toccare i punti nevralgici del sistema: giustizia, responsabilità, perdono, vendetta, riscatto sociale, reinserimento e la mostra ‘Fratelli e sorelle. Racconti dal carcere’, che durerà fino al 2 maggio 2017, offre al visitatore quanto di più toccante hanno messo a disposizione registi, fotografi e artisti nella loro interpretazione e proiezione del luogo ‘prigione’.

Ed ecco che le opere in acquaforte di Giambattista Piranesi (1720-1778) ci scuotono con immagini di catene, torture, terrificanti torrioni e luoghi di supplizio, scalinate a precipizio, ambienti oscuri simili ai gironi infernali danteschi. Le fotografie di Silvia Camporesi fissano ciò che rimane negli ambienti delle carceri dismesse: spezzoni di vita quotidiana immaginati attraverso cumuli di carte abbandonate sui pavimenti, letti di ferro arrugginito, pareti scrostate, abiti stracciati e il cancello sgangherato del vecchio cimitero dei carcerati.

E che dire delle foto di donne scattate da Melania Comoretto nelle carceri di Rebibbia e Trapani? Volti e corpi di donne che non hanno bisogno di commento perché segnati dalla sofferenza, marchiati dalle esperienze di vite stravolte che esse tentano di mascherare dietro una parvenza di normalità. E poi ancora, le testimonianze di detenuti, familiari, agenti carcerari, direttori di case circondariali riprese dalla regista Barbara Cupisti. Il percorso continua con le immagini di Luca Chistè e Fabio Maione, che riguardano luoghi, spazi, architetture ed oggetti all’interno dell’ex carcere di Trento in Via Pilati, subito dopo il trasferimento dei detenuti nel nuovo carcere a Spini di Gardolo, dopo ben 130 anni di attività.

Graffiti stupefacenti, serrature e spioncini, sbarre e fogli scritti in lingue diverse, incollati sulle porte delle celle, schegge di specchietti, fiori secchi in bottiglie d’acqua, immagini sacre vicine a immagini profane. Un impatto emotivo molto forte, uno scossone alle coscienze. Per meglio comprendere la realtà del carcere di Via Pilati, ci accompagnano le testimonianze e i racconti di coloro che vi hanno operato e coloro che vi si trovavano per scontare una pena. Un documentario toccante, approfondito, prezioso di cui dobbiamo ringraziare Juliane Biasi Hendel e Sergio Damiani. Sergio de Carli, per concludere il percorso, mette a disposizione le sue ‘superfici’, spazi in cui voci gergali, parole criptate, numeri e simboli prendono vita e diventano parte integrante del vissuto in carcere. Un’espressione in particolare colpisce il visitatore: 31/12/9999, che sta ad indicare fine pena: mai, ovvero la pena dell’ergastolo.

Giustizia, vendetta e perdono

La consapevolezza passa attraverso la conoscenza, la riflessione, l’elaborazione, e in questo la scuola ha un ruolo fondamentale e insostituibile. Victor Hugo sosteneva che “Colui che apre la porta di una scuola, chiude una prigione.” Ne sono consapevoli anche i giovani studenti delle superiori di alcune classi dell’Istituto Comprensivo di Primiero, accompagnati alla mostra dal professor Giorgio Gubert.

Hanno partecipato con grande attenzione e massimo coinvolgimento, manifestando molto interesse per le tematiche legate all’ambiente carcere che nel percorso emergono in tutta la loro drammaticità. Un’esperienza indimenticabile che ha creato una sensibilità maggiore, ha sollevato dubbi e spazzato via false certezze, ha permesso considerazioni e punti di vista diversi, costruttivi, meno discriminanti e categorici. Ha fatto emergere soprattutto più umanità in ciascuno.

“Via Antonio Pilati 6” : microstorie dall’ex-carcere trentino negli scatti del fotografo Nicola Eccher (@TrentinoCultura)
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