NordEst

Alla scoperta delle Grotte di Oliero

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La melodia di un torrente in piena, si alterna al canticchiare degli uccelli in primavera, in un verde di rara bellezza. Le grotte di Oliero e il suo parco, sono un'oasi di pace per ritrovare la serenità perduta nello stress quotidiano.

Negli scatti e nel Video reportage di Renato Bortot, tutto questo prende forma, facendoci riscoprire il vero sapore di una giornata trascorsa in un paradiso della natura. Un angolo incontaminato come pochi ancora se ne possono trovare.

Guarda il Video reportage

Un paradiso sommerso

Sono quattro le grotte, oggi aperte al pubblico: dalle due più in basso scaturisce il fiume Oliero, mentre i due "covoli" superiori, antichi sbocchi delle medesime sorgenti, sono ora asciutti.

Attraversando il suggestivo parco delle grotte, un viottolo sale tortuosamente a raggiungere il covolo degli assassini ed il covolo delle sorelle. Il primo di questi sembra sia stato abitato nell'antichità, come testimoniano alcuni utensili ritrovati nel corso di passati scavi. Li sovrastano altissime pareti rocciose sulle quali si può ammirare un ricco campionario della flora rupestre, primo fra tutti in bellezza il Raponzolo di roccia.

Si scende quindi a raggiungere la conca tra le due grotte principali, completamente circondata dalle freschissime acque sorgive ed immersa nel verde di piante secolari. Vicinissima si apre la bassa e larga imboccatura del covolo dei Siori o grotta Parolini, dal nome del suo scopritore che la esplorò nel 1822. La temperatura dell'aria all'interno della grotta è di 12 gradi, quella dell'acqua di quasi 9: tali valori si mantengono costanti in tutto l'arco dell'anno.

La sorgente dell'Oliero ospita nelle sue acque un raro fossile vivente: il Proteo, un anfibio troglobio presente solo nelle cavità del Carso triestino e sloveno. Il Parolini ne portò qui alcuni esemplari per verificare se esso potesse ambientarsi e svilupparsi anche nella sua grotta: perso di vista, non se ne seppe più nulla fino ad un avvistamento di alcuni speleosub nel 1964, segno evidente che l'esperimento era pienamente riuscito.

La sala della colata 

Scendendo all'imbarcadero interno, si raggiunge subito dopo la sala della colata: è questa una cascata di stalattiti alabastrine, alta ben quattordici metri, che discendono ad onde, si uniscono, si accavallano, infine si dividono, in un bizzarro sovrapporsi di forme e di colori. Altre sale più interne si diramano da questa partendo da qualche decina di metri più in alto: sono i rami alti, appannaggio esclusivo degli speleologi, esplorate compiutamente alcuni anni fa dal Gruppo Grotte Giara di Valstagna.

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