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A San Martino di Castrozza l’ultimo saluto a 93 anni alla maestra Gina Giovannini Toffol

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La maestra Gina Giovannini Toffol è diventata, suo malgrado, un personaggio di rilievo quando si è scoperto che la sua storia personale è stata davvero uno romanzo.
 
Il suo nome di battesimo è Ernesta Mary ma, quando fu “rapita” da uno zio e portata a S. Mauro di Pinè dai nonni, per sfuggire alle ricerche della famiglia adottiva americana le fu cambiato il nome: Gina. 
Qui siamo già avanti con la storia. 
Ernesta Mary vide la luce il 17 luglio 1918, in una casa di legno e pietre, a Silverton, villaggio di minatori sulle Montagne rocciose, in Colorado. Suo papà, Giuseppe Giovannini, da S. Mauro di Pinè (dove era nato il 2 maggio 1888) arrivò negli Stati Uniti il 7 aprile 1907 con il piroscafo La Touraine, partito da Le Havre, in Francia, il 30 marzo. Al porto di New York dichiarò che era diretto a Trinidad, in Colorado, chiamato dall’amico Tilio Stenek. Quarto di otto figli, aveva seguito altri compaesani sulle rotte per le miniere.

A Silverton, il 17 giugno 1917, aveva sposato Teodolinda “Linda” Zamarro, una giovane donna di origine friulana. Tredici mesi dopo nacque, per l’appunto, Ernesta Mary. La bimba non conobbe mai i genitori. Il papà Giuseppe, colpito dall’epidemia di febbre (poi chiamata “spagnola” e che sterminò non meno di 40 milioni di persone in tutto il mondo) morì all’ospedale di Silverton il 29 ottobre 1918. La mamma, Linda, pure lei contagiata dalla “spagnola”, aveva preceduto il marito nella fossa giusto il giorno prima.

 
I nonni della piccola Ernesta Mary, a S. Mauro di Pinè, seppero solo a dicembre del 1918 di avere una nipotina e per di più orfana. Nel mese di marzo del 1919 i genitori di Giuseppe Giovannini ricevettero una lettera da Battista Mattevi, detto “Cembran”, originario dell’altipiano di Pinè. Era il proprietario della “Welcome House” di Silverton, un saloon con “belle ragazze”, un bordello insomma. Costui s’era preso in casa la piccola orfana.
 
“Caro Compare – scrisse Battista Matties [il cognome Mattevi era stato americanizzato in Matties] a Domenico Giovannini – vi dico che vostro filio Giuseppe in lulio 1917 si era amoliato con una Ittaliana vicino a Udine. Era una brava ragaza e giovine venuta in Americha del 1916 e en ottobre [1918] li 28 la matina è morta e li 29 alle 4 di sera è morto lui. Anzi lui mi à consegnato la sua filia di 3 mesi che ora la tiene la Casatta di Vigo e vado di frequente a vedere, anzi adeso è statta amalata ma ora sta bene. Vi dico che documenti e carte non ne tiene e i denari li avevo nella mia cassa forte e ò chiamato el Giacomo Sighel “molinar” prima di aprire la sua sopra coperta a vedere cosa conteniva che anzi ho scrito el tutto al Gino vostro filio.

El tutto vi dico che tanto lui quanto sua molie erano come miei fili perchè veniva en casa mia delle 4 o 5 volte al giorno. Ma en quei momenti di sua malatia andavo due o tre volte al giorno ma non potevo fermarmi in ocasione che io avevo tutta mia familia nel letto e più 4 Bordanti [erano così chiamati i minatori che vivevano come ospiti-paganti preso famiglie di compaesani] e io solo ero in piedi. Vi dicono che ne morse [morirono] tanti e tutti dela influenza Spagnolla.[…] Mi firmo per sempre vostro compare Battista Matties Cembrano. Gut Baj. Ritrati di Giuseppe e sua molie ne tengo apena posio veli spedirò. Ricevette i salutti del Giacomo Sighel molinar de San Maoro”.

 
L’inverno del 1919 fu fradicio di neve. A causa delle valanghe, sulle montagne del Colorado i passi restarono chiusi per molti mesi. Nell’estate del 1919, Emma Benolli, un’amica della famiglia Giovannini e che abitava a Springfield in Pennsylvania, si recò a Silverton per conoscere e “adottare” la piccola Mary “Gina”. Viaggiò “sette giorni e sette notti per andare a prenderla”.
 
Elvira Cianni, da Nago, una nipote di Emma Corsini, nel 1920, scrisse ai nonni della bambina, a S. Mauro di Pinè, che “quando è rimasta orfana la Gina aveva tre mesi. La sorella [della mamma] à rifiutato di tenerla per la paura di pigliarsi la spagnola. Quella povera donna [la mamma della bambina] è morta con le mani nei capelli gridando “la mia creatura, la mia bimba”. Ma à trovato egualmente chi s’è preso cura di lei”.
 
Il “compare” Battista Mattevi e una donna del suo bordello, tanto per cominciare. E poi Emma Benolli (era arrivata in America nel 1912) che fece battezzare la bambina proponendosi quale madrina. Padrino fu lo zio paterno della piccola, Domenico detto “Ghinotto”. Costui era emigrato da S. Mauro nel 1912. Aveva 18 anni ed al porto di New York (il 25 maggio 1907) dichiarò che raggiungeva lo zio Giovanni Corsini a Pittsfield in Massachusset. Poco dopo, la Benolli aveva maritato Giovanni Corsini e la coppia si era prodigata per adottare la piccola Ernesta Mary.
 
Quando la bambina ebbe sei anni, proprio il “Ghinotto” andò dai Corsini a domandare in consegna la bambina per portarla in “Tirolo” a conoscere i nonni. 
 
“Gli fecero giurare sulla Bibbia che mi avrebbe riportata in America dopo sei mesi” ricorda oggi, alla bella età di 90 anni, la maestra Gina Giovannini. 
 
Ma lo zio di dimostrò uno spergiuro. Infatti, arrivata a S. Mauro di Pinè, la piccola fu “sequestrata” dai nonni. 
Un fratello del papà, il dott. Maurizio Giovannini che era medico condotto a Verla di Giovo, si fece nominare tutore della bambina e non volle sentir ragioni di far tornare la piccola dai suoi genitori adottivi negli Stati Uniti. Inutilmente, la famiglia Corsini citò in giudizio i Giovannini. Vi furono udienze in Tribunale a Trento. Si scomodarono (e si pagarono profumatamente) avvocati di qua e di là dall’Oceano. Quando Giovanni Corsini arrivò in Trentino per recuperare la figlia adottiva, alla bambina furono tagliati i capelli; le fu cambiato il nome da Ernesta Mary in Gina; fu perfino vestita da maschietto.
 
“Mio nonno era sagrestano della chiesa di S. Mauro – ricorda oggi la signora Gina – e, quando venivano a cercarmi, mi nascondeva sul campanile. Una sera mi fecero vestire in tutta fretta, uno zio mi mise in una gerla e lungo i sentieri, tra i campi, mi portò giù a Valle di Fornace. Mi aspettava lo zio Maurizio con una vettura e fui trasferita prima a Lavis, poi a Ponte Nossa nel Bergamasco”.
 
Lo zio medico la fece studiare e Gina Giovannini conseguì il diploma di maestra elementare. Ottenuta l’abilitazione, la giovane insegnante scelse, quale sede, S. Martino di Castrozza. Qui conobbe e si innamorò di Mario Toffol, un albergatore della zona (suo l’Hotel “Regina”), il quale la portò all’altare il 3 maggio 1947.
Gina Giovannini Toffol ha insegnato ai bambini di S. Martino di Castrozza, ininterrottamente, per quasi 40 anni. I suoi stessi figli – Maurizio (1948), Patrizia (1950) e Marco (1960) – a scuola le davano del lei. Racconta Maurizio: “Tra la casa e la scuola, ad un certo punto c’era un sorta di confine invisibile dove la mamma diventava la maestra. E noi passavamo dal tu e dal dialetto al lei e all’italiano”.
 
La maestra Gina è tornata “a casa”, negli Stati Uniti dieci anni fa. Non è salita sino a Silverton perchè l’altitudine (2.800 metri) avrebbe potuto causarle qualche problema. Ma i figli sì. Hanno trovato la tomba dei nonni e l’hanno fatta restaurare. Ottant’anni dopo, sulle montagne “rosse” del Colorado, si chiudeva il cerchio degli affetti e della memoria.
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