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8 marzo, l’occasione per costruire un domani diverso

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Oggi, giovedì 8 marzo, è la Giornata Internazionale della Donna, istituita per ricordare i diritti e le conquiste sociali ottenuti nel corso degli ultimi decenni dalle donne

 

di Se. Chiara Francesca Lacchini

La prima festa della donna fu celebrata negli Stati Uniti nel febbraio 1909 su iniziativa del Partito socialista americano, che aveva invitato tutte le donne a partecipare a una manifestazione in favore del diritto di voto femminile. L’iniziativa del Woman’s Day fu ripetuta anche l’anno seguente. In altri stati come Germania, Danimarca e Svizzera la Giornata della Donna fu legata all’anniversario di particolari eventi storici e fu celebrata tra il 18 e il 19 marzo 1911.

La prima Giornata internazionale della donna ad essere festeggiata un 8 marzo fu quella del 1914. Tre anni dopo ci fu un’altra manifestazione, sempre avvenuta l’8 marzo, nella quale le donne della capitale dell’Impero Russo, San Pietroburgo, protestarono per chiedere la fine della guerra. Quattro giorni dopo lo zar abdicò – l’Impero attraversava da tempo una profondissima crisi – e il governo provvisorio concesse alle donne il diritto di voto: quella delle donne di San Pietroburgo fu una delle prime e più importanti manifestazioni di quella che oggi viene chiamata Rivoluzione di febbraio (perché, per il calendario giuliano all’epoca in vigore in Russia, avvenne il 23 febbraio). Dopo la rivoluzione bolscevica, nel 1922 Lenin istituì l’8 marzo come festività ufficiale.

Comunemente si sostiene che questa commemorazione venne istituita per ricordare un incendio che uccise centinaia di operaie di una fabbrica di camicie a New York l’8 marzo 1908. Non vi sono notizie su un avvenimento in quella data. È certa invece la notizia di un incendio il 25 marzo del 191, che portò alla morte di 146 lavoratori di cui 123 donne, in gran parte giovani immigrate di origine italiana e dell’Est Europa.

In moltissimi paesi è tradizioni regalare fiori alle donne l’8 marzo ma la relazione tra i fiori di mimosa e la Festa della donna c’è solo in Italia. Nel nostro paese la Giornata internazionale della donna cominciò a essere celebrata anche dopo la Seconda guerra mondiale su iniziativa del Partito Comunista Italiano e dell’Unione delle Donne in Italia (UDI). Secondo i racconti dell’epoca, inizialmente si voleva usare come fiore simbolo della festa la violetta, un fiore con una lunga tradizione nella sinistra europea. Alcune dirigenti del Partito Comunista però si opposero: la violetta era un fiore costoso e difficile da trovare.

L’Italia era appena uscita dalla guerra e molti si trovavano in condizioni economiche precarie e avrebbero avuto molte difficoltà a procurarsi tale fiore. Tra queste donne vi era Teresa Mattei, una ex partigiana che negli anni successivi avrebbe continuato a battersi per i diritti delle donne.
Mattei propose di adottare un fiore molto più economico, che fiorisse alla fine dell’inverno e che fosse facile da trovare nei campi: da qui nacque l’idea della mimosa. Anni dopo, in un’intervista, lei stessa disse: «La mimosa era il fiore che i partigiani regalavano alle staffette. Mi ricordava la lotta sulle montagne e poteva essere raccolto a mazzi e gratuitamente».

Una ricorrenza, quella dell’8 marzo, segnata dunque da una forte carica sociale e politica, che a distanza di più di un secolo rischia ogni anno di arenarsi su pensieri retorici e vuoti, su messaggi augurali generici che occupano lo spazio di 24 ore e si concludono in qualche festa colorata e sonora. Ben vengano le feste e la musica, se diventano occasioni per incontrarsi e riflettere sulle dinamiche faticose delle nostre relazioni, animate da mentalità lontane dal pensare la parità di genere come una cultura.

Ben vengano le feste, se la violenza non fosse un dato di fatto che ogni giorno condiziona famiglie, luoghi di lavoro, centri di aggregazione, anche ecclesiali purtroppo. Ben venga la musica se uguali diritti e doveri di ogni persona non fossero per molti una bella pagina di letteratura ideologica, scritta con il sangue di coloro che l’hanno faticosamente conquistata per noi e che è diventata poi motivo di gloria per quanti ne fanno slogan ad effetto.

Ben vengano le feste, se diventano quella piazza in cui dare voce a chi non ha voce, dare visibilità a chi è costretta a rimanere nell’ombra, a formare una cultura capace di accogliere, come preziosa, la vulnerabilità, la fragilità, la diversità, la bellezza, la vita.

Concludo con la citazione di un poeta, Arthur Rimbaud: “La donna sarà anch’essa poeta quando cesserà la sua schiavitù senza fine, quando avrà riconquistato per sé la propria esistenza, nel momento in cui l’uomo, che è stato fino ad allora ignobile nei suoi riguardi, la lascerà libera”.

Che possiamo diventare tutti poetesse e poeti, dunque, per poter cantare la vita piena, la pace invocata dalle nostre madri, il diritto ad una piena partecipazione alla vita civile, culturale, politica, ecclesiale di questo nostro mondo, spesso lacerato da lotte e discordie, ma sempre teso nel desiderio di una bellezza possibile. Insieme, uomini e donne, artigiani di un mondo dove è possibile vivere felicemente diversi.

 

Se. Chiara Francesca Lacchini
Monastero Clarisse Cappuccine
Tonadico – clcappuccineprimiero@gmail.com

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