Primiero Vanoi

“Primiero San Martino di Castrozza”, lettera aperta di Pasqualetto a Filippi

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Lettera aperta di Gianluigi Pasqualetto ad Ervino Filippi Gilli sulla fusione

primiero

“Caro Erwin

ho letto il tuo manifesto “io voto no” e ho visto la cartolina storica che avete distribuito presso alcune famiglie. E ho anche saputo della lettera anonima che sta girando a San Martino. Per la verità, come dicevo i giorni scorsi a Giacomo Simion, molte di queste vicende io le sto vedendo da fuori (anche se in questi giorni ero a Trento, per le giornate sull’economia): e però, sto notando che le cose del posto dove si è cresciuti le si porta in qualche modo sempre con sé. ​Anche perché, per fortuna, oggi, tra digital edition, newsletter, ​social network, e via andare, non è complicato restare in contatto ed essere ben informati.

​Ecco, avendo risposto nei giorni scorsi, con alcune mie riflessioni, a un intervento del Giacomo (nel quale lui – come te – si diceva contrario al progetto di “Primiero San Martino di Castrozza”), volevo dire qualcosa anche tra di noi. E lo farei nella stessa forma, aperta, leggibile da chi voglia: come lo è un manifesto affisso lungo la strada.

Al riguardo, come prima cosa, devo dirti che non si può far a meno di notare che – rispetto alla posizione del Giacomo – i tuoi interventi (o i tuoi manifesti, i tuoi ricorsi, le tue interviste) appaiono più intransigenti, quasi polemici, spesso un po’ contrappositivi. E soprattutto, a volte, appaiono come interventi diretti più contro le persone, che verso le idee: per dire, nel tuo manifesto si legge – fra i motivi del no – di amministratori e compaesani “che devono essere mandati a casa” (a caratteri cubitali!), o “che non vogliono o non sono in grado di lavorare”.

Oppure, si legge (in quella cartolina che avete diffuso con l’immagine di Fiera del passato) che “la borgata deve mantenere la propria leadership per non rischiare di finire in un marasma da cui sarà impossibile uscire”. Mah, che ​cosa ​ti devo dire: sembrano toni un po’ distanti dal modo con cui ​di solito si parla di noi e della nostra valle. Così come, per la verità, finora ​in valle ​non si era preparati, ​credo, a ricevere e a ​gestire lettere anonime.

​In ogni caso, volendo far rimanere queste discussioni entro un assennato confronto di idee su un progetto, direi che è bene non farsi coinvolgere troppo dai toni o dalle espressioni o dalle affissioni: semplicemente, direi che parole di questo tipo richiedano soltanto una risposta più precisa, o se vogliamo più decisa.

In effetti, è realistico pensare che chi ha avviato questo progetto non è che non avesse messo nel conto che ci sarebbe stato qualcuno che non la pensava allo stesso modo, o qualcuno che avrebbe detto comunque di no.

Infatti, di solito, qualunque progetto, anche quello fatto meglio, non è che possa trovare sempre tutti d’accordo: del resto, non è facile che una stessa cosa riesca sempre a piacere a tutti.

I motivi di opposizione possono essere tanti e, spesso, sono anche soggettivi, o ​si​ confondono tra loro.

Quindi, per ​farla breve su questo ​primo ​punto, credo che sia bene chiarire subito una cosa: e cioè che queste ​mie ​parole non intendono mirare a una conversione universale.

D’altra parte, lo sappiamo​ che​, per quante cose ​noi ​ci si scriva o ci si dica, spetta ​poi ​in sostanza a chi vota, e meglio alla maggioranza di chi vota, stabilire che cosa sia giusto. Oppure, spetta alle sentenze dei tribunali, di stabilirlo, per chi ritenga invece di seguire questa strada.

In sostanza, credo che sia bene che ci ricordiamo di che cosa si sta parlando, con questi progetti. Infatti, a dirla giusta, come sappiamo, non si sta ​improvvisamente votando soltanto a Primiero.

E allora, dovremmo saper​lo​ affrontare quell’argomento​,​ che spesso si legge tra i motivi del no, e che compare anche nel tuo manifesto: e cioè dove tu dici che sì, ci sono 55 comuni in Trentino che stanno provvedendo a unirsi, ma altri comuni, che sono comunque vicini a noi, invece restano come sono.

Bene: è giusto che si prenda a esempio chi ci sta vicino a noi. Infatti, in val di Fassa i comuni ​sono meno che da noi. In val Badia, sono cinque ​in tutto ​(e contando anche Marebbe). Ed entrambe queste valli hanno in sostanza gli stessi abitanti di Primiero.

In val di Fiemme, i comuni sono qualcosa più che da noi, ma con il doppio di ​abitanti. In val Gardena, che ​qualcuno ha citato in un post, i comuni sono in sostanza solo tre.

E poi, per dire, Cortina, che tu ben conosci (e che ha la nostra stessa storia: fino al 1918 era come noi) è un solo comune, dal Falzarego fino in Alto Adige: ed è un comune unico, con oltre 250 kmq di territorio e di relativi paesi.

Ecco, ​scusa ma questi sono gli esempi, non lontani da noi, ai quali dovremmo saper guardare. E dovremmo saperlo fare perché le fortune turistiche ed economiche (e tante altre cose) di questi posti si basano anche su un​ fattore ​importante: ossia, sul sapersi unire e sul saper fare squadra.

Vorrei essere chiaro: quando c’è da fare squadra, si cerca di essere più tanti possibile​. Ma sapendo che tutti, proprio tutti, non sarà mai possibile. ​Perché c​i sarà purtroppo ​sempre ​chi, per timore di perdere una leadership, o per il rischio di finire in un marasma, o per altri motivi che magari non vengono nemmeno ​ben detti, esiterà o manifesterà dubbi. ​Peraltro, è normale che sia così: ​e quindi, queste persone si dovrà saperle aspettare, senza troppe polemiche, e saggiamente​ anche​ senza far multe. Sono dei nostri: ​e comunque sono persone da​ ascoltare, senza litigarci.

E​ pertanto​, a volte, per non litigare, si deve saper anche tirare dritto, darsi forza d’animo e guardare avanti.

E, soprattutto, ​si deve farlo ​senza perdere ancora tempo: spiace, ma ​a volte si deve fare così. Dato che un modo per andare avanti insieme – in posti tutto sommato così raccolti – si deve pur trovare.

Del resto, ​volendo non farla lunga​, lasciami anche dire che certe cose non si misurano soltanto a numeri, o a ​chilo​metri quadri, a dati di bilancio.

In effetti, è comprensibile un po’ di apprensione, al momento di ​qualsiasi scelta: soprattutto, quando si ​s​a ​di non poter tornare indietro e però ​si ha la consapevolezza di doversi comunque decidere.

Ma, a dirla tutta, nemmeno quando si decide di avere un figlio si può tornare indietro, né si possono conoscere con esattezza tutti i dati o tutte le implicazioni di un progetto di questo tipo. E però, ​di solito, ​lo si fa, senza troppi bilanci, senza mille dati o troppi pensieri.​ E poi, spesso, avendone anche tante soddisfazioni.​

Perché, a ben guardare, certi progetti si realizzano più con la nostra ​volontà di andare avanti, che con ​una calcolatrice”.

 

Gianluigi Pasqualetto (TORINO)

gianluigi.pasqualetto@gmail.com

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