“Women Power” in mostra ad Abano Terme

Al Museo Villa Bassi Rathgeb di Abano è visitabile fino al 21 settembre 2025 una mostra che esplora, attraverso immagini iconiche dell’agenzia “Magnum Photos”, il ruolo della donna dal secondo dopoguerra a oggi, mettendo in luce la forza e la complessità del cammino femminile verso l’emancipazione e le trasformazioni in una società in continua evoluzione

di GianAngelo Pistoia

NordEst – Fino al 21 settembre 2025, il Museo Villa Bassi Rathgeb di Abano Terme presenta “Women Power. L’universo femminile nelle fotografie dell’Agenzia Magnum dal dopoguerra a oggi”, una straordinaria mostra fotografica a cura di Walter Guadagnini e Monica Poggi, che esplora, attraverso immagini iconiche dell’agenzia “Magnum Photos”, il ruolo della donna dal secondo dopoguerra a oggi, mettendo in luce la forza e la complessità del cammino femminile verso l’emancipazione e le trasformazioni sociali che hanno segnato la condizione delle donne negli ultimi settant’anni.

[ Allestimento della mostra “Women Power” – © Simone Falso / Museo Villa Bassi Rathgeb ]

Dopo “Donna Musa Artista” – la mostra che attraverso i ritratti di Cesare Tallone indagava il ruolo delle donne nella società italiana tra Ottocento e Novecento – “Women Power” offre uno sguardo più contemporaneo e internazionale sul tema, proseguendo, dal punto di vista della fotografia, la riflessione avviata dal Museo sui cambiamenti sociali e culturali del mondo femminile.

[ Allestimento della mostra “Women Power” – © Simone Falso / Museo Villa Bassi Rathgeb ]

Prodotta da “Camera Centro Italiano per la Fotografia” in collaborazione con “Magnum Photos” e promossa dal Museo Villa Bassi Rathgeb del Comune di Abano Terme in collaborazione con “Coop Culture”, “Women Power” si concentra su due aspetti complementari, le donne fotografe che raccontano la realtà con una visione unica, e le donne ritratte che emergono come soggetti di grande valore dalle lenti di Magnum, testimoni di sfide, conquiste e ruoli in contesti intimi e pubblici.

[ “Listen Project” (Iran 2010-2011) di Newsha Tavakolian – © Newsha Tavakolian / Magnum Photos ]

Il percorso della mostra si articola in sei nuclei tematici che esplorano il contesto familiare, la crescita, l’identità, i miti della bellezza e della fama, le battaglie politiche e la guerra. Ognuno di questi temi è rappresentato da lavori realizzati da alcune delle più importanti autrici di “Magnum Photos”, tra cui Inge Morath, Eve Arnold, Olivia Arthur, Myriam Boulos, Bieke Depoorter, Nanna Heitmann, Susan Meiselas, Lúa Ribeira, Alessandra Sanguinetti, Marilyn Silverstone e Newsha Tavakolian. Autrici di fama internazionale accanto a giovani fotografe contemporanee, con reportage realizzati in contesti molto diversi da un punto di vista storico e geografico, che spaziano dai ritratti di Marilyn Monroe a quelli delle combattenti delle FARC in Colombia. La mostra fa emergere un confronto fra stili, linguaggi e generazioni, che danno vita a un inedito dialogo di voci e sguardi mai convenzionali. Le fotografie, pur diversissime tra loro, sono legate da lotte, emozioni ed esperienze che, attraverso la loro presenza e le posture, diventano simboli di un cammino di emancipazione, sia come individui che come collettività.

[ “Marilyn Monroe durante le riprese di The Misfits” di Inge Morath – © Inge Morath / Magnum Photos ]

Pur celebrando il contributo femminile alla fotografia, “Women Power” include anche scatti di celebri fotografi come Robert Capa, Bruce Davidson, Elliott Erwitt, Rafal Milach, Paolo Pellegrin e Ferdinando Scianna, che hanno saputo raccontare la condizione femminile testimoniando le sfide legate ai diritti delle donne.

[ “Jacqueline Kennedy al funerale di John F. Kennedy” di Elliott Erwitt – © Elliott Erwitt / Magnum Photos ]

La mostra offre anche uno spunto di riflessione sul rapporto tra il corpo femminile e la sua rappresentazione. Le fotografie immortalano donne in momenti di intimità, ma anche nel pieno impegno pubblico, dove la loro presenza e le posture diventano simboli di una lotta verso l’emancipazione, non solo come individui, ma come collettività.

[ Allestimento della mostra “Women Power” – © Simone Falso / Museo Villa Bassi Rathgeb ]

Il catalogo della mostra, edito da Dario Cimorelli Editore, accompagna il visitatore in un approfondimento critico sulle immagini esposte, attraverso testi curati da Monica Poggi e Walter Guadagnini. Di quest’ultimo propongo un esaustivo saggio estratto dal catalogo della mostra dal titolo “1936 e dintorni”. Spiega Walter Guadagnini: «La “Nuova Donna” si personifica nella donna fotografa. Questo mestiere in pieno sviluppo le promette una vita indipendente, in relazione alle arti, alla moda, al teatro, agli sport, al giornalismo, alla politica … È per lei l’occasione di fare degli incontri interessanti frequentando un certo ambiente sociale.

La fotografia permette alle donne di intraprendere una carriera artistica e, allo stesso tempo, di guadagnarsi la vita lavorando per uno studio, gestendo un’agenzia o impegnandosi nel giornalismo fotografico. Altra risorsa per sedurre la “Nuova Donna”: la fotografia richiede una certa competenza tecnica e chimica. Con questa, le donne possono rivendicare un ruolo attivo nella creazione delle immagini, invece di essere semplice modello, feticcio o oggetto artificiale, sottomesso al desiderio degli uomini. Posare per degli artisti e fotografi di sesso maschile risulta, agli occhi di molti, come una prostituzione alternativa, motivata da una necessità economica.

[ Libro “Malerei Photographie Film” di L. Moholy-Nagy – © Museum of Modern Art Library di New York ]

È appena finito il decennio eroico delle avanguardie, nel mondo dell’arte inizia quello delle revisioni e delle riflessioni, segnato da Jean Cocteau e dal suo “Rappel à l’ordre”, ma caratterizzato anche dall’attività del Bauhaus, dalle cui stanze escono ad esempio le riflessioni di László Moholy-Nagy sotto forma di un volume destinato a divenire epocale, “Malerei Photographie Film”. È in questo variegato clima culturale, in un decennio passato alla storia e all’immaginario come “the age of the machine”, che si afferma in ambito fotografico la poetica del “Neues Sehen”, della “Nuova Visione”, poiché tutto in questi anni doveva essere nuovo, dalle fotografie ai ruoli sociali. E proprio nell’ambito fotografico le donne giocano un ruolo certo non primario, ma comunque significativo, così come è sempre accaduto sin dall’invenzione dello “specchio dotato di memoria”. Ciò avviene in particolare nell’area della fotografia artistica, sia essa amatoriale – si pensi alle geniali composizioni degli album ottocenteschi da parte delle donne della nobiltà e dell’alta borghesia inglese – sia essa professionale, come dimostrano tanto le presenze all’interno dei diversi circoli pittorialisti in tutto il mondo, quanto le figure presenti per l’appunto nei gruppi d’avanguardia.

[ “Autoritratto” (1896) di Frances Benjamin Johnston – © Library of Congress ]

C’è un luogo, invece, dove la presenza femminile è, fino alla metà degli anni Trenta, ancora decisamente minoritaria, ed è quello della fotografia d’attualità, di documentazione. Certo, esiste il caso eclatante di Frances Benjamin Johnston negli Stati Uniti, ma è un caso isolato o quasi, e i suoi autoritratti più celebri rappresentano anche la spiegazione più chiara delle ragioni di questa condizione: nel primo, la fotografa è seduta, le gambe accavallate con la gonna sollevata che lascia vedere il polpaccio, nella mano sinistra un boccale di birra e nella destra una sigaretta; nel secondo è in piedi, vestita da uomo, intenta a portare un velocipede in un interno. Il mondo nel quale si muoveva la Johnston, quello della documentazione sociale, era un mondo maschile, nel quale una donna poteva entrare solamente come eccezione, non certo come regola. Ora, l’autrice dello splendido “Hampton Album” operava agli inizi del Novecento, quando il termine di “photoreportage” era ancora in fase embrionale, quando le macchine fotografiche avevano ancora forti limitazioni, così come i processi di stampa; nei primi anni del secolo inizieranno ad affermarsi le prime riviste illustrate, dove alle incisioni si alternano le fotografie, e alla metà degli Venti l’avvento delle macchine portatili, dalla Ermanox alla Leica, aprirà la strada alla stagione d’oro del reportage fotografico. Si apre qui un capitolo nuovo, che condurrà, nel giro di poco più di un decennio, alla nascita di “Magnum Photos” e dunque all’inizio di questa mostra “Women Power”. Ora, il panorama generale non cambia, anzi, il mondo del fotogiornalismo è un mondo maschile (e spesso maschilista) quanto pochi altri, eppure non si può non notare come intorno alla metà degli anni Trenta una serie di donne occupino alcuni dei ruoli più significativi al suo interno, in un improvviso – e non a caso transitorio – momento di ribaltamento dei ruoli, se non in termini quantitativi almeno in quelli qualitativi».


Villa Bassi Rathgeb

Il complesso di Villa Bassi Rathgeb (già Secco, Dondi dall’Orologio e Zasio) rientra a pieno titolo nella tipologia della “villa veneta”, luogo dello svolgimento dell’attività agricola legato, secondo l’ideale classico, ad uno stile di vita salubre, virtuoso e all’insegna dello svago per i proprietari. Fu un medico di origini cremasche, Giovanni Antonio Secco, ad avviare la costruzione del primo nucleo del corpo padronale tra il 1566 e il 1576 a partire da una preesistente costruzione rurale. Si passò così da una «domuncola» a una forma di «casa grande da statio», costituita, come mostra un antico disegno, da due piani, dalla loggia a tre fornici tuttora visibile e da due torri poste alle estremità laterali, oltre ai locali di servizio collegati alla casa. Dinanzi al fabbricato era già presente come oggi un giardino, mentre alle spalle vi erano un horto recintato e il brolo.

[ Museo Villa Bassi Rathgeb di Abano Terme – © Raffaele Cam (Wikimedia CC BY-SA 4.0) ]

Nel 1769 la villa passò ai fratelli Giovanni Antonio e Francesco della famiglia patrizia Dondi dall’Orologio, i quali investirono un’ingente quantità di denaro per adeguare l’edificio al gusto dell’epoca, sia dal punto di vista architettonico che decorativo. Furono realizzati in questa fase gli stucchi policromi e le figure antropomorfe che caratterizzano tutto il piano rialzato. Tale cambiamento comportò il sacrificio del ciclo di affreschi cinquecentesco, anch’esso ricoperto da stucchi. Dai Dondi la villa passò nel 1792 alla famiglia Camposampiero, che ne risulta ancora proprietaria nel 1822; nel 1846 fu acquistata dagli Zasio, originari di Feltre, che la mantennero fino agli anni settanta del Novecento. L’immobile fu infine acquisito dal Comune di Abano Terme pressappoco negli stessi anni in cui riceveva dal bergamasco Roberto Bassi Rathgeb (Bergamo 1911 – Padova 1972) il lascito di una preziosa raccolta d’arte. La villa fu quindi intitolata al donatore e, a partire dagli anni Novanta, si avviò il suo recupero con il restauro della decorazione interna, al fine di ospitarvi la collezione e trasformarla in un centro culturale per la cittadinanza.