“Da Picasso a Van Gogh”: dal 15 novembre 2025 al 10 maggio 2026 sarà visitabile al museo Santa Caterina di Treviso

L’esposizione, curata da Marco Goldin e promossa dal Comune di Treviso con Linea d’ombra, porta per la prima volta in Europa oltre sessanta opere provenienti dal Museo di Toledo nell’Ohio, prestigiosa istituzione americana nata alla fine dell’Ottocento e divenuta uno dei centri più importanti per l’arte del Novecento

di GianAngelo Pistoia

NordEst – Marco Goldin torna nella sua Treviso con una mostra di autentici capolavori. Sessantuno quadri dal prestigio altissimo, se si pensa che nelle sale del museo di Santa Caterina giungeranno opere per un valore totale di un miliardo di euro. Un’esposizione che nasce geograficamente da lontano – propone i capolavori del XIX e XX secolo del Toledo Museum of Art in Ohio – e ancora più nell’anima di Goldin, che, studente a Venezia a Ca’ Foscari, scopre “I racconti dell’Ohio” di Sherwood Anderson e rimane affascinato dal paesaggio e dai personaggi, ugualmente protagonisti. Nasce anche da una occasione più vicina: il Museo statunitense sarà oggetto di un importante ammodernamento e ampliamento e un nucleo delle sue opere più belle farà il giro del mondo. Toccando soprattutto il Continente Australe e unicamente Treviso in Europa.

Dati i rapporti di lunga data di Goldin con il Museo americano, a Treviso giungerà un’edizione assolutamente speciale della mostra. Il curatore ha infatti ottenuto una integrazione del corpus destinato a girare il mondo, puntando a un nucleo aggiuntivo di opere di qualità assoluta che escono per la prima volta dal Museo e che, dopo questa occasione, non si potranno ammirare se non recandosi in Ohio. Il Toledo Museum of Art è infatti per tradizione una istituzione gelosissima dei suoi innumerevoli capolavori e rarissimamente ne presta anche uno soltanto.

[ Toledo Museum of Art in Ohio – © Carol M. Highsmith / Library of Congress ]

“Da Picasso a Van Gogh” è il titolo di questa grande mostra che Marco Goldin ha presentato lo scorso 26 febbraio al Teatro Mario del Monaco di Treviso. L’evento culturale a cura di Marco Goldin è organizzato da “Toledo Museum of Art” e da “Linea d’ombra”. Saranno esposti dal 15 novembre 2025 al 10 maggio 2026 al Museo Santa Caterina di Treviso una sessantina di capolavori provenienti dal Toledo Museum of Art dell’Ohio, negli Stati Uniti. Opere scelte dal curatore per mostrarci la spiritualità dell’arte: la dissoluzione dell’immagine che diventa colore. E viceversa. Lo spazio dell’anima in cent’anni di pittura, tra Europa ed America. Così Marco Goldin, ideatore e direttore di “Linea d’ombra” – realtà privata che si occupa dell’organizzazione di mostre d’arte – presenta l’atteso evento culturale in un esaustivo articolo pubblicato sul sito web “Linea d’ombra”: «Se guardo il principio e la fine del percorso della mostra, ci sono due quadri, già meravigliosi per sé stessi, che sigillano in una doppia immagine questo tendersi della bellezza da un punto a un altro punto. L’esposizione comincerà con una delle strepitose versioni degli Ocean Parks di Richard Diebenkorn, il numero 32 del 1970, nella sua assoluta e insieme atmosferica composizione fatta di giallo e azzurro. Come fosse quel giallo una sabbia davanti all’azzurro infinito dell’oceano Pacifico. La compattezza del cielo e della terra, nel loro pulsare all’unisono.

[ “Ocean Park # 32” (1970) di Richard Diebenkorn – © Richard Diebenkorn / Toledo Museum of Art ]

E quasi un secolo prima, dall’altra parte del grande mare, a diecimila chilometri di distanza, un pittore aveva concluso la sua vita tuffandosi in un giallo diverso, l’immenso dei campi di grano a Auvers-sur-Oise, nel nord della Francia. Sotto l’azzurro di un cielo in cui si diffondeva il suono bianco di nuvole aggrovigliate. Vincent van Gogh, pochi giorni prima di morire, alla fine di luglio del 1890, ha dipinto il quadro struggente che sta a Toledo, e che si vedrà a Treviso. Una delle ultimissime sue testimonianze di vita, con il falciatore che taglia il grano, attonito dentro quel vasto confine, e i primi covoni che sono ancoraggi per chi si perde dentro quel mare: “Per quanto mi riguarda, sono completamente immerso nella vasta natura con i campi di grano contro le colline, ampia come un mare, tutto sotto un cielo di un azzurro delicato e toni bianchi”. Fino a dichiararsi, nella stessa lettera a due settimane dallo sparo conclusivo, “preso da un sentimento che mi fa dipingere tutto ciò”.

[ “Auvers, campi di grano con mietitore” (1890) di Vincent van Gogh – © Toledo Museum of Art ]

Guardando e sfiorando questi due quadri, amandoli a tal punto, ho pensato che il viaggio avrebbe dovuto essere esattamente così. Dal poi al prima, in una inversione di tempo che potesse consegnarci una ancor maggiore conoscenza, una ancor maggiore emozione. Il giallo di Diebenkorn, sul finire del XX secolo. Il giallo di Van Gogh, sul finire del XIX secolo. L’azzurro di un oceano immaginato da quel pittore sul bordo della California. L’azzurro di un cielo tutto teso verso l’orizzonte in una campagna francese, mentre il pittore si consegna al tempo. Ho pensato che una mostra che inizia e che finisce così ha dentro di sé il segno del destino, e per questo vale la pena raccontare … C’è una cosa che mi ha sempre affascinato nella pittura americana dell’Ottocento e del Novecento, intesa nella sua forte associazione di sentimenti, ed è il senso profondo della continuità. Quello che puoi sentire battere alla porta del cuore quando guardi un paesaggio della valle dell’Hudson di Thomas Cole o una visione d’Atlantico sulla costa del Maine di Edwin Church, in pieno XIX secolo. E poi ritrovi tutto questo, certo sotto altre forme, prima in Homer e poi in Hopper, quindi in Rothko e in Diebenkorn. È quella vertigine dello spazio americano che fa diventare la natura, secondo la bella definizione di Claude Reichler, un “fatto antropologico totale”. Quel vasto spazio che nei grandi pittori astratti diventa unicamente una cosa dello spirito, materia dell’interiorità.

Nel rendere astratta la visione, si dimentica la realtà specifica dell’oggetto dipinto. Ciò che rimane è un colpo disteso di luce, un profumo, un odore sul mare, un suono. Nella più ampia azione sinestetica. Del resto, in uno dei suoi “Frammenti”, Eraclito aveva detto così: “La trama nascosta è più forte di quella manifesta”. Sembra essere proprio Richard Diebenkorn, nel suo continuo andirivieni tra figurativo e astratto, colui che meglio sigilla tale viaggio, nel rendere la memoria del vedere stupefacente pittura. Perché da ogni parte giunge la sorpresa del vedere, da ogni dove il silenzio e il suono della natura, il canto degli uccelli, la voce degli animali. Diventare – in questa pittura che a mano a mano sembra fare a meno del reale – forza e tempo. Non c’è prima né poi, ma solo la presenza dell’essere nel mondo.

[ “Figure a teatro” (1927) di Edward Hopper – © Edward Hopper / Toledo Museum of Art ]

In questo, Edward Hopper aveva messo il suo tassello fondamentale, soprattutto quando, e il caso del famoso dipinto in mostra lo afferma con tutta la grandezza possibile, egli riempie di significazioni mute il luogo che apparentemente è del nulla, come questo teatro vuoto, che invece è abitato dal mistero. Hopper lavora per dar vita a quel grumo inestricabile che fa del viaggio nell’interiorità il suo punto più alto. Sono stanze disadorne della psiche, illuminate dal sole della mente, o dalla penombra della sera giungente, nello spazio chiuso di una stanza o di un teatro. Hopper unisce quindi nella sua immagine la realtà con la visione. La sua dichiarazione del 1953 resta perfetta a fissare il campo d’azione: “La grande arte è espressione esteriore della vita interiore dell’artista e questa vita interiore si tradurrà nella sua personale visione del mondo. La vita interiore di un essere umano è un regno sconfinato e vario” … La mostra quindi si articolerà in successivi capitoli, o momenti, andando a ritroso nella storia dell’arte, partendo dall’astrazione americana del secondo Novecento. Per transitare poi ad alcune esperienze capitali dell’astrazione invece europea, da Ben Nicholson e Josef Albers fino a Piet Mondrian e Paul Klee, nel diverso loro appoggiarsi alle strutture della realtà tramutata in visioni e apparizioni.

[ “Composizione” (1922) di Piet Mondrian – © Toledo Museum of Art ]

Quando la pittura incrocerà il passaggio dal Novecento all’Ottocento, da lì in avanti, o meglio all’indietro, si entrerà nei tre grandi temi: la natura morta, le figure e i ritratti, i paesaggi. Nel primo caso, compariranno due tra i maggiori artisti che nel XX secolo si sono dedicati alla natura morta, come Giorgio Morandi e Georges Braque, mentre Henri Fantin-Latour e Camille Pissarro, nel pieno tempo della formazione del gruppo impressionista, diranno, e specialmente il primo, della raffinatezza cui questo tema conduceva i migliori tra i pittori. Molto ampia sarà la sezione dedicata ai ritratti, alle figure e alle figure ambientate. Una galleria straordinaria di capolavori a partire da Matisse, Bonnard e Vuillard, con un gusto tra edonismo cromatico e simbolismo.

[ “Paul Guillaume” di A. Modigliani e “Donna con cappello nero” di P. Picasso – © Toledo Museum of Art ]

Significativo poi il passaggio a Parigi negli anni Venti e Dieci, con i volti diversamente dipinti da De Chirico e Modigliani, e poi uno splendido ritratto cubista di Pablo Picasso del 1909. Nell’ambito delle figure ambientate sarà tutto da scoprire l’amore degli impressionisti americani per quelli francesi, e lo si potrà cogliere perfettamente nella relazione tra la “Colazione all’aria aperta” di William Merritt Chase e i quadri di Berthe Morisot (“Nel giardino a Maurecourt”) e di Camille Pissarro (“Contadine che si riposano”). E andando ancora più indietro, il grande quadro di Courbet “La ragazza con i fiori”, poi il dipinto di Millet. Tre assoluti capi d’opera di Pierre-Auguste Renoir, e soprattutto di Edouard Manet (“Antonin Proust”) e Edgar Degas (“Victoria Dubourg”) danno valore spettacolare e assoluto a questa sezione. Anche la parte dedicata al paesaggio, quella che chiuderà la mostra, ha i caratteri dell’eccezionalità. Dapprincipio con le visioni che alcuni pittori, in modo assai diverso l’uno dall’altro, dedicano a Venezia (Signac) o a Parigi (Delaunay e Léger), talvolta con tele anche di vaste dimensioni.

[ “La citta di Parigi” (1911) di Robert Delaunay – © Toledo Museum of Art ]


Ma così come nell’ambito del ritratto con Renoir, Manet e Degas l’impressionismo è rappresentato al suo livello più alto, la stessa cosa avviene con una sequenza strepitosa di paesaggi impressionisti e post-impressionisti. A occupare la scena, anche dal punto dell’enorme impatto visivo che avrà nello spazio del museo Santa Caterina, sarà una delle più belle versioni delle “Ninfee” di Claude Monet, questa dipinta nella fase conclusiva della sua vita. Poi una nuova relazione, questa volta legandosi all’immagine di una costa sul mare, tra Merritt Chase e un altro pittore francese impressionista, Gustave Caillebotte con il suo paesaggio a Trouville. Ma poi una serie di capolavori, a cominciare da uno dei dipinti più significativi di Paul Gauguin nel suo primo, e incantevole, tempo a Tahiti, tra 1891 e 1893. Quindi quello che lo stesso Gauguin, come tanti altri, avevano eletto a loro modello e riferimento, Paul Cezanne, con il suo “Sentiero a Chantilly”, che raffigura sullo sfondo uno dei tanti villaggi cari a questo gruppo di pittori. Nomi di villaggi che tornano anche nelle visioni di Renoir (“Strada a Wargemont”), in questo caso in Normandia, o di Alfred Sisley (“L’acquedotto a Marly”), realizzato nell’anno stesso della prima mostra impressionista, il 1874.

[ “L’acquedotto di Marly” (1874) di Alfred Sisley – © Toledo Museum of Art ]

Per chiudersi ogni cosa, nell’ultimo spazio della mostra, un’ultima parete isolata da tutto, con “Auvers, campi di grano con mietitore” in cui Vincent van Gogh, alla fine di luglio del 1890, dà il suo addio alla vita. Un’opera che rappresenta con tanto anticipo gli esiti di una modernità giungente e già da lui raggiunta, nell’incomprensione allora quasi totale. Eppure sempre con la fiducia nel futuro, pur avendo deliberatamente scelto di non abbracciarlo quel futuro. Un quadro che nella sua assolutezza, nel suo essere grondante di colore e umanità, splendidamente rappresenta la qualità altissima delle opere custodite nel Toledo Museum of Art. Tra poco a Treviso». Lo scorso 26 febbraio, il giorno della presentazione della mostra “Da Picasso a Van Gogh”, il Teatro Mario del Monaco di Treviso era gremito di appassionati d’arte curiosi di sentire dal curatore Marco Goldin delle anticipazioni sull’atteso evento culturale. A fare gli onori di casa, fra gli altri, anche il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia che ha affermato: «Marco Goldin, critico dell’arte e curatore di fama internazionale, ha firmato mostre tra le più viste in Italia, portando ben 11 milioni di visitatori: è un fuoriclasse! È anche grazie a lui se Treviso in ambito culturale è una piccola Atene».

Sulla stessa linea anche il sindaco di Treviso, Mario Conte, che ha puntualizzato: «Questo evento rappresenta un’importante occasione per affermare Treviso come centro culturale di primo piano, in un momento che accompagnerà anche il periodo delle Olimpiadi di Milano Cortina 2026 e che vedrà Treviso come polo logistico. La collaborazione con Marco Goldin non solo arricchisce l’offerta artistica della città, rendendola ancora più attrattiva, ma testimonia anche il nostro impegno nel proseguire il percorso tracciato dal dossier di candidatura a “Capitale Italiana della Cultura”, aggiungendo ulteriore pregio ad un progetto che ci ha visto, negli ultimi anni, consolidare una programmazione di primo piano. Ringrazio il presidente Luca Zaia con la Regione Veneto, i nostri partner istituzionali, gli sponsor che hanno voluto sposare questo grande progetto. È una mostra del territorio, il futuro della nostra comunità passa attraverso eventi come questo».

Il Museo Santa Caterina

Se entrando nel Museo cogli l’eco di un accento toscano, non stupirti: è qui che il “buon Gherardo” da Camino, signore di Treviso, ospitò l’esule Dante che spenderà per lui parole di lode nella Divina Commedia e nel Convivio. Caduto il potere dei da Camino sotto i colpi della rivolta popolare che si concluderà con l’assassinio del figlio Rizzardo e la fuga di suo fratello Guecellone, il palazzo dato alle fiamme e raso al suolo rimarrà in stato di abbandono per più di trent’anni. È solo a partire dal 1346 che, sui resti del distrutto palazzo, l’ordine dei Servi di Maria darà inizio all’edificazione del convento e della chiesa dedicata a Santa Caterina d’Alessandria. Soppresso il convento nel 1772 e cessata ogni destinazione religiosa degli spazi nel 1806, gli edifici, chiesa compresa, furono utilizzati come caserma e magazzini militari. Gravi ed estesi furono i danni alle architetture e alle decorazioni, ingente la dispersione del patrimonio artistico e degli arredi contenuti.

[ Complesso museale Santa Caterina a Treviso – © Appo92 (Wikimedia – CC BY-SA 3.0) ]

Ma, per un incredibile capriccio del destino, dopo lunghi anni di oblio, saranno proprio i bombardamenti del 1944 e 1945 a segnare la svolta. Grazie alla determinazione del restauratore Mario Botter, quegli anonimi intonaci che così a lungo avevano celato uno straordinario segreto, verranno rimossi per riportare alla luce il dimenticato tesoro pittorico nascosto da secoli. È così che per l’antico complesso di Santa Caterina ha inizio una vera e propria rinascita, resa possibile grazie ai restauri avviati per destinare l’intero complesso a sede delle ricche collezioni archeologiche, d’arte medievale, rinascimentale e moderna della città di Treviso.

Altre informazioni utili

Come arrivare

Orario mostra
da martedì a giovedì 9-18
da venerdì a domenica 9-19

Chiuso il lunedì – il 23 e 24 dicembre 2025 – il 7 gennaio 2026

Servizio prenotazioni e informazioni
dal lunedì al venerdì: 9-13 / 15-17
tel 0422 429999
biglietto@lineadombra.it

APERTURE STRAORDINARIE

Lunedì 8 dicembre 2025: ore 9 – 19
Giovedì 25 dicembre 2025: ore 14.30 – 19
Lunedì 29 e martedì 30 dicembre 2025: ore 9 – 19
Mercoledì 31 dicembre 2025: ore 11 – 1 di notte
Giovedì 1 gennaio 2026: ore 10 – 19
Da venerdì 2 a martedì 6 gennaio 2026: ore 9 – 19
Lunedì 16 febbraio 2026 (penultimo giorno di Carnevale): ore 9 – 19
Lunedì 6 aprile 2026 (Pasquetta): ore 9 – 19
Da lunedì 4 maggio 2026 (ultima settimana di mostra) tutti i giorni: ore 9 – 19