L’assoluzione dell’ex primario dell’unità operativa di ginecologia e ostetricia dell’ospedale Santa Chiara di Trento, Saverio Tateo, e della sua vice, Liliana Mereu non ha sorpreso Emanuela Pedri, sorella di Sara, la ginecologa scomparsa nel 2021 in Trentino

Sara Pedri (ph Chi l’ha visto / rai)

 

Trento –  “Finché non esisterà una legge adeguata sul mobbing – ha commentato Emanuela, sorella di Sara Pedri – non ci si può aspettare un risultato diverso. In questi anni si è fatto tanto, mi ci si è sempre mossi su un terreno instabile, perché mancava il puntello sulla legge, non a caso si è sempre parlato di ‘maltrattamenti’ o di ‘abusi di mezzi di correzione’: tutti termini inadatti a definire ciò che è successo a mia sorella o alle altre parti offese che, dopo la sentenza stanno vivendo momenti molto pesanti”.

Emanuela prosegue: “La speranza era quella di poter fornire un esempio collettivo, un risultato che abbiamo sfiorato senza riuscire a raggiungerlo. Però non sento di avere agito invano: in questi anni si sono creati legami, sono nate connessioni e, soprattutto, è nata l’associazione Nostos che si occupa proprio di mobbing e che ora si adopererà con ancora più forza per aiutare le vittime di mobbing e le loro famiglie. Sento che Sara mi è vicina in questa battaglia”.

L’assoluzione a Trento

L’ex primario dell’ospedale Santa Chiara di Trento, Saverio Tateo e la sua vice, Liliana Mereu, sono stati assolti con formula piena dal gup del Tribunale di Trento, Marco Tamburrino, dalle accuse di maltrattamenti in concorso e in continuazione nei confronti del personale del reparto. Secondo il giudice, che ha applicato l’articolo 530 comma due del codice di procedura penale, il fatto non sussiste. Il procedimento è scaturito dalle indagini seguite alla scomparsa, il 4 marzo 2021, della ginecologa Sara Pedri.

Le motivazioni della sentenza

Verrano depositate in novanta giorni. Soddisfazione è stata espressa dagli avvocati della difesa. “Formula piena: il fatto non sussiste per entrambi i medici. Direi, quello che noi abbiamo sempre auspicato”, ha affermato, all’uscita dall’aula, l’avvocato Mario Murgo, in rappresentanza della dottoressa Liliana Mereu. “Sono innocenti come noi sapevamo dall’inizio di questa storia. Per quattro anni abbiamo lavorato su robuste ragioni, con la convinzione che la giurisdizione le avrebbe riconosciute, e così è stato”, ha detto Salvatore Scuto, difensore di Tateo assieme all’avvocato Nicola Stolfi.

“Soddisfazione sicuramente, perché eravamo convinti di percorrere un solco tracciato chiaramente dalla Corte di Cassazione. Rimane la preoccupazione perché la Procura della Repubblica ha ritenuto di dover perseguire delle accuse che poi si sono rivelate infondate”, ha aggiunto Stolfi. “La vicenda patisce di un difficile meccanismo di valutazione dell’effettiva responsabilità degli imputati rispetto alla fattispecie di reato contestata. Nel nostro ordinamento non esiste un reato che specificatamente si occupa di mobbing, questo è il tema che in questo processo è stato trattato e approfondito a lungo”, ha invece commentato l’avvocato Andrea De Bertolini, in rappresentanza di sette lavoratrici costituitesi parti civili.