Al museo Bailo di Treviso in mostra l’arte di Hokusai
La grandezza dell’artista nipponico Hokusai, celebrata già nei primi anni del XIX secolo, non si limita alla bellezza dei suoi dipinti: il suo genio nasce dall’incredibile fusione tra rigore scientifico e immaginazione sconfinata. Ogni opera, come un ponte tra il reale e l’onirico, rivela la sua capacità di analizzare e comprendere la natura per poi trasfigurarla in qualcosa di universale

di GianAngelo Pistoia
NordEst – Al Museo Civico “Luigi Bailo” di Treviso è visitabile fino al 28 settembre 2025 la mostra “Hokusai – L’acqua e il segreto della grande onda”. Un’occasione imperdibile per immergersi nell’arte di Katsushika Hokusai, scoprendo il suo legame con l’elemento acquatico, le sue rivoluzionarie tecniche compositive e i segreti geometrici dietro la celebre “Grande Onda”. La mostra, curata e ideata da Paolo Linetti, in collaborazione con l’Associazione Mnemosyne, non si limita ad esporre le opere di Hokusai, ma costituisce per il visitatore un viaggio dentro i suoi metodi creativi. Grazie ad un allestimento innovativo e a un percorso studiato per palesare le connessioni tra le opere e la filosofia dell’artista, il pubblico può immergersi completamente nel mondo di Hokusai, svelando i segreti dietro la creazione di una delle immagini più iconiche della storia dell’arte.
L’esposizione offre infatti un percorso unico nell’arte di Hokusai, con l’obiettivo principale di far comprendere la sua personalità e i lati distintivi del suo carattere, come l’eccentricità, l’inesauribile curiosità e l’ossessione per il perfezionamento artistico. All’interno della mostra sono infatti riprodotte frasi significative dell’artista che rivelano la sua arguta ironia e il suo sguardo tagliente sulla realtà dell’epoca. Il secondo intento è quello di indagare gli studi e le influenze che hanno plasmato lo stile di Hokusai, segnando la sua intera esistenza e dando origine alle sue opere più iconiche, straordinariamente vicine alla sensibilità occidentale, seppur spesso inconsapevolmente. La mostra si propone, inoltre, di approfondire il legame del suo rapporto con l’acqua, elemento ricorrente nella sua produzione e chiave di lettura imprescindibile della sua visione del mondo.

Sono oltre 150 le opere esposte; alcune inedite e provenienti da collezioni private tra cui studi, stampe e dipinti. Un’intera sezione è dedicata alle onde, simbolo della forza inarrestabile della natura, tema centrale nell’opera di Hokusai, profondamente influenzato dal taoismo. L’artista vedeva infatti l’uomo quasi insignificante di fronte alla grandezza della natura, un concetto che emerge con straordinaria potenza nei suoi lavori. Protagonista assoluta è quindi la maestria di Hokusai nel rappresentare l’acqua in tutte le sue forme: dalle cascate impetuose ai mari placidi, dalle onde violente alla quiete dei laghi. L’artista, considerato un innovatore visionario, ha saputo fondere rigore scientifico e creatività, creando un codice compositivo basato su precisi schemi geometrici in mostra svelati. Sono inoltre messe a confronto alcune sue opere con quelle di altri grandi maestri giapponesi come Hiroshige e Kuniyoshi, per meglio evidenziare l’evoluzione della rappresentazione dell’acqua nella tradizione artistica del periodo Edo.

Uno degli aspetti più affascinanti e sorprendenti della mostra è la possibilità di scoprire in che maniera Hokusai abbia saputo integrare nella sua arte schemi compositivi tipici dell’Occidente. «L’impulso che mi ha guidato in questo lavoro di ricerca è nato dalla necessità di comprendere le radici più profonde del fascino universale esercitato dalle opere di Hokusai – spiega il curatore Paolo Linetti – Volevo individuare i motivi che hanno permesso al maestro giapponese di raggiungere risultati così straordinari, in grado di affascinare tanto le culture orientali quanto quelle occidentali. In particolare, mi sono concentrato sul capire come Hokusai aderisse con sorprendente precisione ai canoni classici occidentali, ricercando e confermando il suo uso di principi armonici che potrebbero spiegare il senso di familiarità percepito anche da chi non appartiene al mondo orientale.Nel maggio 2021, ho scoperto due schemi geometrici fondamentali che il maestro utilizzava per costruire gran parte delle sue opere. Questi schemi, ben riconoscibili nelle sue creazioni più tarde e nei disegni realizzati con maggiore cura, offrono una chiave unica per comprendere la genesi del suo genio.

Uno degli aspetti più affascinanti è che questo schema deriva da influenze occidentali: un’eredità che attraversa l’oceano, collegando continenti e epoche diverse, spiegando perché i primi europei che entrarono in contatto diretto con le opere di Hokusai percepirono un senso di familiarità, pur restando colpiti dall’esotismo dell’arte giapponese. Questa connessione universale portò molti di loro a commissionargli lavori tra i più prestigiosi e remunerativi della sua carriera. In questa mostra, lo schema con cui Hokusai costruiva le sue opere viene finalmente svelato, rappresentando uno dei momenti più importanti e affascinanti dell’esposizione. È un’occasione unica per ammirare il processo creativo che ha reso il maestro un’icona universale – chiosa Paolo Linetti e prosegue – Nella mostra si svela lo schema compositivo con cui Hokusai creò la grande onda affascinando sia l’inconscio dei giapponesi che quello degli occidentali. Tale schema meticolosamente costruito era studiato al millimetro con accurato bilanciamento attraverso compasso e riga. Hokusai, nell’arco della sua produzione artistica, continuerà la sua ricerca nell’immortalare l’onda perfetta; nel percorso della mostra si scopre come col proseguire degli anni riccioli di schiuma, spuma e masse d’acqua si evolveranno e trasformeranno. A partire dal 1814, Hokusai avvia la pubblicazione del primo volume degli “Album di disegni dal vero di Hokusai” (Hokusai shashin gafu).

Nel secondo volume della serie troviamo una xilografia a doppia pagina, che rappresenta una drammatica caccia a una balena vista dalla spiaggia. L’immagine è attraversata da una fune in tensione, che sottolinea il contrasto tra la forza della balena e quella dei pescatori. In primo piano, sulla riva, si assiste metaforicamente allo scontro che si consuma in mare: due onde contrastanti, con silhouette evocative, catturano lo spettatore. Sulla sinistra emerge un’onda che richiama quella de “Il battello in mezzo alle onde” (1805), mentre sulla destra una seconda onda, per forma e spuma, anticipa quella che diverrà celebre come “L’onda di Kanagawa”. Dopo il successo straordinario della serie “Trentasei vedute del Fuji”, gli editori commissionarono a Hokusai un nuovo ciclo di paesaggi. Nacque così la raccolta in tre volumi “Le cento vedute del monte Fuji”. Nel secondo volume, realizzato tra il 1834 e il 1835, spicca la xilografia “Il Fuji visto dal mare”, dove l’acqua assume una dimensione monumentale, ma pacificata. L’onda, che si muove da sinistra verso destra, abbandona la violenza della sua celebre controparte di Kanagawa, accompagnando lo sguardo dello spettatore in un flusso armonico e privo di tensioni emotive. La grande massa d’acqua culmina in una schiuma che si disfa in frammenti, evocando i pivieri, uccelli costieri che, secondo la leggenda, nascono dalla spuma delle onde. Lo sguardo si libra insieme agli uccelli, in un’atmosfera di serena maestosità.

La xilografia originale, pensata in tonalità di grigio, è stata successivamente rielaborata in una versione a colori per accentuarne la relazione con “L’onda di Kanagawa”. Tuttavia, l’uso del blu di prussia ne “Il Fuji visto dal mare” aggiunge energia visiva, attenuando la sensazione di pace e il senso di miracolo presente nell’originale. Se l’onda delle “Trentasei vedute del Fuji” incarna una forza distruttiva, quella de “Il Fuji visto dal mare” rappresenta invece un’energia costruttiva. Le due immagini, per certi versi, si completano a vicenda: la prima evoca la potenza implacabile della natura, la seconda celebra la sua armoniosa magnificenza – afferma il curatore e aggiunge – Tra i soggetti più amati da Hokusai l’acqua occupa un ruolo centrale: fluida, dinamica, impetuosa. L’artista giapponese ne cattura ogni sfumatura, dal fragore delle cascate allo schianto delle onde. Nessuno come lui ha saputo immortalare la potenza degli elementi, trasformando l’acqua in protagonista assoluta, simbolo di forza, cambiamento e eternità. La sua opera più iconica, “La grande onda al largo di Kanagawa”, è un esempio perfetto di questa maestria: una scena apparentemente semplice che, con la precisione geometrica delle curve e il dinamismo travolgente dell’onda, è diventata uno dei simboli più riconoscibili dell’arte mondiale.

Hokusai sviluppa un codice architettonico sul quale disporre linee, angoli e figure delle sue opere. Il risultato è la creazione di opere che a livello subliminale l’occhio percepisce come armoniose, equilibrate ed eleganti. Hokusai non dipinge solo l’acqua: la rende viva, eterna, capace di fuggire dal foglio per raggiungere l’immaginazione di chi guarda. Ed è proprio in questa straordinaria capacità che risiede il cuore del suo genio. Per Hokusai come poi affermerà Freud l’acqua ha il più importante significato onirico: l’acqua simboleggia la nascita e il mare l’inconscio. Il mare e l’acqua svolgono un ruolo fondamentale nella cultura giapponese, permeando la vita quotidiana, le arti e le credenze del popolo nipponico. Questa connessione profonda è radicata nella geografia del Giappone, un arcipelago costituito da oltre 6000 isole, circondato dall’oceano, ma va oltre la mera configurazione geografica – puntualizza Paolo Linetti e conclude – L’arcipelago, con la maggior parte della popolazione concentrata nelle pianure vicino al mare, fa sì che il mare e la sua vista siano elementi naturali e quotidiani. Qui il mare non delinea il confine della nazione, il mare è esso stesso Giappone, come una membrana di una cellula è la veste esterna del suo nucleo. Le profondità del mare costituiscono anche il limite, il lontano e l’ignoto, habitat dei kaiju, mostri smisurati, tartarughe millenarie, coccodrilli di mare, ningyo (sirene giapponesi), mostri informi che Hokusai si diverte a rappresentare come soggetti di una fauna ignota. Le cascate, nonostante l’impeto e la violenza che colpiscono al primo impatto rappresentano il perpetuo movimento che, nonostante i cambiamenti, si ripete incessantemente. Sono la rappresentazione visibile del “Kannagara”, la coscienza divina che fluisce e la forza vitale che si evolve».

Hokusai fu profondamente influenzato dalle tecniche europee, che studiò con grande attenzione. Tra gli elementi più evidenti c’è l’uso degli schemi rinascimentali e di strumenti come il compasso e la riga, utilizzati per ottenere composizioni precise e armoniose, un approccio che lo avvicina ai grandi maestri dell’arte occidentale, da cui assimilò principi prospettici e organizzativi. Questo si riflette nel modo in cui collocava le figure all’interno dei paesaggi, assicurandosi che ogni elemento fosse in perfetto equilibrio con il resto della composizione.Ma l’influenza tra Oriente e Occidente non fu a senso unico: le opere di Hokusai, giunte in Europa, conquistarono gli impressionisti, tra cui Van Gogh, che ne ammiravano la libertà compositiva e l’uso innovativo del colore e della luce.

La sua capacità di bilanciare forme e spazi ispirò una nuova visione dell’arte, rompendo con la tradizione accademica e aprendo la strada a un linguaggio più spontaneo e dinamico. Attraverso questa fusione tra tradizione giapponese e influenze occidentali, Hokusai ha dato vita a uno stile unico, che la mostra permette di esplorare e comprendere più a fondo, evidenziando come il maestro sia riuscito a creare un linguaggio artistico universale, capace di affascinare tanto il pubblico giapponese quanto quello occidentale. La grandezza di Hokusai, celebrata già nei primi anni del XIX secolo, non si limita alla bellezza dei suoi dipinti: il suo genio nasce dall’incredibile fusione tra rigore scientifico e immaginazione sconfinata. Ogni opera, come un ponte tra il reale e l’onirico, rivela la sua capacità di analizzaree comprendere profondamente la natura per poi trasfigurarla in qualcosa di universale.
Il Museo Luigi Bailo
La più antica tra le attuali sedi museali civiche di Treviso è anche il giusto omaggio a quella straordinaria passione per il collezionismo dell’abate Luigi Bailo, che ha dato origine al prezioso patrimonio artistico, culturale e museale della città. Come il Museo di Santa Caterina, anche il Museo Bailo conserva luci e atmosfere dell’antico convento di origine medievale, rifondato nel XVI sec. dai Padri Gesuati di S. Girolamo e passato nel 1681 ai Carmelitani Scalzi. Atmosfere e tracce delle antiche architetture sopravvivono anche nei due sobri chiostri su cui si affaccia l’antico volume della Chiesa degli Scalzi, ricostruita dopo il 1866 per ospitare la Biblioteca Comunale. “Museo Trivigiano”, la prima intitolazione di questi spazi, sottolinea il forte legame con la città e il suo territorio; il museo successivamente diventa anche luogo simbolo del coraggio e della determinazione del suo fondatore e primo direttore, l’abate Luigi Bailo, che nei suoi quasi 100 anni di vita (1835-1932) riesce a trasformare la sua convinta passione in un inestimabile tesoro per la città.

Ma la lunga storia del Museo è anche la testimonianza di una vittoria in un percorso tutt’altro che facile, tra lunghe assenze e miracolose rinascite. Il dramma delle due guerre lascerà gravi e profonde ferite strutturali ma sempre vivo il sogno di donare alla città la sua identità e il suo volto più bello. Il 1952 segna l’anno di una prima rinascita con la riapertura degli spazi su progetto e allestimento di Forlati, Muraro e Coletti e il 1959 anche l’ampliamento a sede della raccolta comunale d’arte moderna. Nuovi problemi emergeranno nel corso degli anni a seguire, fino alla chiusura per inagibilità nel 2003 che avvierà il più importante progetto di ristrutturazione e riallestimento mai pensato per questi spazi. Un lungo e radicale intervento architettonico e strutturale su progetto di “Studiomas architetti” e di Heinz Tesar che, con un’applauditissima cerimonia cittadina, il 29 ottobre del 2015 ha riconsegnato alla città un altro gioiello del suo articolato e prezioso patrimonio civico. Una facciata completamente ripensata nel suo elegante rigore, in dialogo con il tessuto urbano che la accoglie, ci invita ad entrare e a lasciarci coinvolgere, conducendoci a conoscere i suoi tanti racconti e importanti protagonisti.