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Nube radioattiva sull’Europa: la Russia conferma dopo mesi di silenzio, concentrazioni minime sul NordEst

La nuvola di rutenio -106 ha sorvolato l’Italia del Nord tra settembre e ottobre. Le concentrazioni arrivate qui sono milioni di volte sotto al livello di rischio

di Ervino Filippi Gilli

NordEst – Come sempre questo tipo di notizie passano inosservate se non addirittura vengono taciute. Ma siccome ogni tanto, come dice il detto “tutti i nodi giungono al pettine”, ecco che dopo aver lungamente negato, la Russia ha confermato (o meglio ha dovuto confermare) che la nube radioattiva che ha stazionato sull’Europa tra il 27 settembre ed il 13 ottobre proveniva dal suo territorio.

Tutto ha inizio alla fine di settembre quando la rete di monitoraggio europea rilevava nell’aria la presenza di una quantità anomala di un elemento radioattivo, il Rutenio-106. Questa sostanza è il prodotto di una fissione nucleare (ovvero della divisione di atomi) che è possibile all’interno di un reattore nucleare sia di tipo civile (le centrali tristemente note dopo Cernobil) ma anche militare; il Rutenio una volta prodotto viene poi processato per essere usato in medicina nella cura dei tumori all’occhio.

Trattandosi di un elemento di sintesi, la sua presenza in atmosfera non è spiegabile naturalmente e, di conseguenza, indica l’accadimento di qualche tipo di incidente. Il fatto che rende la cosa ancor più inquietante è che se si fosse trattato di un incidente in una centrale nucleare si sarebbero dovuti rilevare in atmosfera anche altri elementi radioattivi (Cernobil rilasciò tra l’altro Iodio e Cesio). Ma così non è stato e perciò resta il mistero su queste anomali concentrazioni.

Il complesso di Mayak

Si è però certi sul dove si sia verificata la perdita: è stato ipotizzato dall’Agenzia tedesca protezione contro le radiazioni nucleari che la nube provenga dalla zona degli Urali Meridionali. Notizia questa confermata anche da Greenpeace Russia secondo la quale le concentrazioni più alte sono state trovate in località intorno al complesso di Rosatom di Mayak.

Giusto per ricordare, lo stabilimento posto a Majak (Majak è una zona della città di Ozërsk che ospita un impianto per la produzione di materiale nucleare, soprattutto plutonio, destinato alla fabbricazione di bombe atomiche attraverso il riprocessamento del combustibile proveniente da reattori nucleari civili) è di proprietà di Rosatom e l’impianto fu teatro di un grave incidente nucleare nel 1957, quando saltò in aria un impianto di stoccaggio delle scorie. L’impianto dovrebbe essere oggi adibito, ma il condizionale è d’obbligo, al riciclo del combustibile nucleare .

Rosatom invece è una impresa statale russa con sede a Mosca che si occupa di vendita di prodotti e servizi del settore industriale nucleare; la società ha inizialmente negato qualsiasi coinvolgimento venendo però contraddetta nelle sue affermazioni il 20 novembre quando l’agenzia meteorologica russa, Roshydromet, ha pubblicato dati che coincidono con le conclusioni tedesche e francesi.

Secondo Maxim Yakovenko, capo del servizio di monitoraggio Idrometrico ed Ambientale russo (Rosidromet), “Lo scorso settembre il sistema di monitoraggio automatico ha registrato un incremento di rutenio-106 in Russia, Polonia, Bulgaria e Ucraina ma la sua concentrazione nel territorio della Federazione Russa era migliaia di volte sotto i livelli di guardia e non ha mai posto rischi per la popolazione”. Dato comunque che parole così rassicuranti erano state spese anche nei primi giorni del dopo Chernobil, non credo si possa stare così tranquilli

Infatti se stiamo alle dichiarazioni di Jean-Christophe Gariel, dell’Istituto francese per la protezione radiologica e la sicurezza nucleare (IRSN), se l’incidente fosse occorso in Francia avrebbe potuto condurre ad evacuazioni in un raggio di uno o due chilometri intorno al sito dell’incidente. “Avremmo anche proibito i prodotti agricoli prodotti in un raggio di circa 20,30 o 40 chilometri intorno all’impianto”.

I livelli in Italia

Interessante sarebbe a questo punto conoscere i livelli che le radiazioni hanno raggiunto anche in Italia: ma anche in questo caso, se non fosse per la stampa che ha sollevato il problema, tutto sarebbe passato sotto silenzio.

A questo punto non ci resta che auspicare che le nostre Agenzie per la protezione dell’ambiente, sia nazionali che provinciali/regionali, facciano chiarezza sul caso per farci conoscere, senza reticenze, come stanno effettivamente le cose.

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