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Messner e l’alpinismo sostenibile in “Final Expedition”

Nuova iniziativa culturale di Reinhold Messner. Il “self-made man” altoatesino, coadiuvato dalla moglie Diane Schumacher, ha ripreso lo scorso settembre da Lubiana in Slovenia una tournée mondiale di conferenze per difendere l’alpinismo tradizionale e mettere in discussione il modello della corsa al turismo di massa sulle montagne più alte del mondo, della mercificazione dei paesaggi alpini e della crescente domesticazione degli ambienti naturali ancora “wild”

[ Reinhold Messner and Diane Schumacher, writers, Düsseldorf 2021 – © Oliver Langel/Imago Book cover “Sinnbilder” – © 2022 / S. Fischer Verlag ]

di GianAngelo Pistoia

NordEst – Nonostante i suoi 78 anni e una vita sempre al limite, l’agenda di Reinhold Messner è ancora fitta di impegni. Ha appena concluso con Diane Schumacher, sua terza moglie sposata il 28 maggio 2021, una lunga tournée in Germania, Austria e Svizzera per promuovere il loro libro scritto a quattro mani dal titolo “Sinnbilder: Verzicht als Inspiration für ein gelingendes Leben” (2022 – S. Fischer Verlag GmbH) ed è già pronto ad affrontare una nuova avventura nelle vesti di conferenziere, keynote speaker e regista cinematografico in giro per il mondo. Questa avvincente iniziativa culturale denominata “Final Expedition” è il primo frutto scaturito da una nuova società, la “Messner Mountain Heritage”, creata da Reinhold Messner con Diane Schumacher poco tempo fa a Monaco di Baviera in Germania.

“Messner Mountain Heritage” e “Final Expedition”

È lo stesso Reinhold Messner, a spiegare alla stampa locale, perché ha fondato con la moglie questa società e gli obiettivi che auspicano possano essere raggiunti con “Final Expedition”. «Anzitutto desidero rimarcare che Diane è la “ceo” della “Messner Mountain Heritage”. Lei dirige la società e sovraintende l’intera organizzazione della “Final Expedition”. Era ed è importante per entrambi costruire qualcosa di nostro – puntualizza Reinhold Messner e aggiunge – le montagne più alte del mondo oggi sono diventate meta del turismo di massa. Organizzazioni turistiche fondate da sherpa accompagnano a caro prezzo turisti da tutto il mondo fino in vetta all’Everest. Questo non è l’alpinismo sostenibile e rispettoso della montagna immaginato dai padri di questa disciplina e dai nostri avi. L’obiettivo della società è proprio quello di fermare questa deriva e mettere in discussione il modello della corsa al turismo di massa sulle montagne più alte del mondo, della mercificazione dei paesaggi alpini e della crescente domesticazione degli ambienti naturali ancora “wild”.

Ad esempio, prima dell’inizio della stagione estiva gli sherpa salgono in quota e attrezzano il percorso di salita agli Ottomila del Mondo con corde fisse, scale e passerelle. In questo modo rendono questo ambiente, altrimenti estremo, accessibile anche a coloro che non potrebbero arrivarci grazie alle sole proprie forze o all’abilità tecnica. Una visione decisamente poco in linea con la mia. Da sempre sono abituato a lavorare nel “qui e ora”, con le risorse disponibili al momento: sempre pronto ad arrivare al mio limite, ma al contempo anche capace di rinunciare all’obiettivo se qualcosa minaccia di andare storto. L’idea di sostenibilità che promuovo è anche una ricetta per la felicità. Nel momento in cui sei concentrato a realizzare qualcosa di positivo non hai tempo per chiederti se sei felice. E allo stesso tempo, ogni attimo rubato alla realizzazione del tuo sogno, ogni momento lontano dal “qui e ora” ti allontana dall’obiettivo. Quindi continuare a portare avanti un modello sostenibile per sé, per gli altri e soprattutto per l’ambiente, è anche un modo per cercare e trovare la felicità.

[ “The Final Expedition” by and with Reinhold Messner (promo) – © courtesy of www.reinhold-messner.de ]

“Final Expedition” sarà probabilmente il mio ultimo tour mondiale. Questa volta non scalerò montagne, non attraverserò deserti e lande ghiacciate ed inospitali bensì incontrerò la gente in accoglienti strutture culturali sparse nei cinque continenti. Quelle che farò saranno delle conferenze atipiche. Ho intenzione di soffermarmi marginalmente sulla mia vita e di raccontare invece, con dovizia di particolari, l’“alpinismo “tradizionale” in incontri/dibattiti aperti al pubblico, in discussioni con alpinisti del luogo e con esperti dell’ambiente montano, in proiezioni di film sulla montagna e pure di miei docufilm. Vorrei comunicare alla gente che interloquirà con me solamente la mia esperienza, non però come un prete che predica – non sono infatti depositario della verità – ma, in ambito alpino, credo di avere un discreto bagaglio di conoscenze che desidererei condividere con il pubblico.

[ Reinhold Messner, lecturer, at Castel Firmiano (Bz) – © courtesy of www.reinhold-messner.de ]

“Final Expedition” era iniziata prima della pandemia con alcune tappe in Australia, in Nuova Zelanda e in Russia. L’emergenza sanitaria ha interrotto la tournée per alcuni anni. Lo scorso settembre il tour è ripartito dal “Cankarjev Dom” di Lubiana in Slovenia. Desidero ringraziare mia moglie Diane – la mia attuale compagna di cordata – per l’impegno profuso nell’organizzare questo evento culturale che per me è molto importante. Probabilmente come “personaggio pubblico” sarà l’ultima volta che visiterò così tante località del Mondo con culture differenti ma tutte accomunate dal rispetto verso la natura e la sua biodiversità all’interno di ecosistemi complessi. Con “Final Expedition” mi occuperò quindi dell’eredità dell’alpinismo dalla fine dell’Ottocento ai tempi nostri e del rapporto tra uomo, natura e montagna. Grazie a questo ciclo di conferenze atipiche vorrei lasciare una traccia di quello che era ed è “l’alpinismo tradizionale”. Se ce la farò oppure no, non lo so ancora. Auspico però di riuscire a cambiare ancora una volta il mondo dell’alpinismo».

Reinhold Messner e le sue imprese

Ma chi è questo eclettico “montanaro” altoatesino unanimemente considerato il più importante e carismatico alpinista del secolo scorso? Per le nuove generazioni – che spesso identificano l’alpinismo con il “free climbing” ed acclamano i soli Adam Ondra, Alberto Ginés López, Nathaniel Coleman, Alex Megos, Jakob Schubert, Stefano Ghisolfi, … talvolta non conoscendo i grandi “alpinisti tradizionali” – mi accingo a tracciare un analitico profilo di Reinhold Messner avvalendomi dell’enciclopedia libera “Wikipedia” e di ampli stralci di interviste da lui rilasciate nel corso della sua lunga e inimitabile carriera ai media italiani ed internazionali.

Reinhold Messner nasce secondogenito di nove fratelli a Bressanone in Alto Adige il 17 settembre 1944 da una famiglia di lingua tedesca. Suo padre Josef fa l’insegnante ed è anche il preside della piccola scuola locale. Cresciuto a Funes, a soli cinque anni compie la sua prima ascensione dolomitica sul Sass Rigais in compagnia del genitore.

[ Reinhold Messner as a child climbing in the Dolomites – © courtesy of www.reinhold-messner.de ]

All’età di tredici anni inizia a scalare le vette della val di Funes in cui cresce; allarga quindi l’attenzione alle Dolomiti e successivamente all’intero arco alpino. Di quel periodo Reinhold Messner rammenta: «Devo ringraziare i miei genitori che hanno infuso nella nostra famiglia l’amore e il rispetto per la montagna. Quando ero adolescente partivo con mio fratello Günther all’alba per le prime salite sulle montagne valligiane: nostra madre nascondeva la paura, preparava la colazione e non sapeva se ci avrebbe rivisti. Le mie donne mi hanno sempre lasciato andare, ma l’assenza pesava. Un tempo non c’erano telefonini e satellitari, a casa non arrivavano notizie. Il costo di quello che ho fatto durante la mia carriera è stato anche la sofferenza imposta ai miei cari. Ma la forza di un alpinista è anche la forza della sua famiglia».

Scalate in ‘libera’ sulle Alpi

Reinhold Messner, ispirato da Hermann Buhl e Walter Bonatti, sin dagli anni Sessanta è uno dei primi e più convinti sostenitori di uno stile di arrampicata privo di ausili esterni (equipaggiamento minimo e leggero, senza portatori, sherpa, né ossigeno supplementare): una filosofia alpinistica volta a non invadere le montagne, ma solamente ad arrampicarle. In un tempo nel quale l’arrampicata libera aveva perso terreno a favore della progressione artificiale, Messner ripudia ogni artefatto umano. Interrompe questa tendenza con una serie di scalate in arrampicata libera sulle vette dolomitiche e anche con una sua efficace ed esaustiva “campagna mediatica” sui giornali specializzati, che trova massima eco nel celebre articolo “L’assassinio dell’impossibile”, uscito nel 1968 su “La rivista mensile del Club Alpino Italiano”.

[ Reinhold Messner as a young man climbing in the Dolomites – © courtesy of www.reinhold-messner.de ]

Risale al 1965 la sua prima impresa di rilievo, effettuata assieme al fratello Günther: apre una nuova via sulla parete nord dell’Ortles, vetta prominente nelle Alpi Retiche meridionali e la più alta della Regione Trentino-Alto Adige. Negli anni successivi Reinhold Messner, da solo o con fidati amici, apre numerose nuove vie soprattutto nelle Dolomiti attuando la sua “filosofia alpinistica” volta a ricercare non necessariamente i percorsi più diretti per raggiungere le vette, bensì gli itinerari che gli consentissero di salire in arrampicata libera.

Un’impresa di grande rilievo viene compiuta il 7 luglio 1968 dai fratelli Messner sull’inviolato Pilastro di Mezzo del Sass dla Crusc. La salita di questo pilastro comporta infatti il superamento di quattro metri particolarmente difficili. Reinhold Messner da capocordata tenta più volte il passaggio, riuscendo infine a passarlo quando ormai sta per rinunciare. Il passaggio Messner non fu più ripetuto per oltre dieci anni (molti alpinisti aggirarono lo spuntone di roccia), fino a quando nel 1979 Heinz Mariacher lo superò, valutandolo di grado VII+/VIII-. La salita di Messner era quindi la prima in cui il settimo grado, già toccato da Vinatzer, veniva superato in arrampicata libera.

Nel 1968 scoppia in tutto il mondo la rivolta studentesca ed anche Reinhold Messner ne è coinvolto. In quell’anno frequenta la facoltà di ingegneria all’Università di Padova e a modo suo protesta. «Ho fatto il Sessantotto in verticale – chiosa Messner – terminate le lezioni andavo in montagna. Sentivo il bisogno di respingere quel sistema sociale, ma dovevo andare, fare, arrampicare. I miei colleghi sfilavano in piazza ed io ero solidale con loro però in un modo diverso. Sono stato il primo nel 1968, sul Pilastro di Mezzo del Sass dla Crusc, a conquistare una vetta di VIII grado in arrampicata libera. Fino ai venticinque anni ero accecato dall’entusiasmo per l’arrampicata. Non andavo in montagna per pestare la neve: volevo solo arrampicare. Non c’erano amici o ragazze che potessero distrarmi. Pensavo solo a me stesso.

Nel 1969 riuscii a superare in solitaria la via più impegnativa delle Alpi Orientali, l’allora famigerato diedro Philipp-Flamm al Civetta, durante una bufera. Scalai da solo e in libera anche la parete ritenuta allora la più difficile delle Alpi Occidentali, la Nord delle Droites. A quel punto le Alpi mi erano divenute strette. Non era presunzione; era invece la brama di ampliare sempre più i miei confini, era la curiosità di un uomo ancora giovane e sotto molti aspetti inesperto. Fino a dove sarei stato capace di spingermi da solo? Poi sono uscito dall’Europa con le grandi spedizioni e allora ho cominciato a sentire il desiderio di una donna, di un nido a cui tornare. Sul Gasherbrum II in Himalaya, è stato il pensiero della donna che amavo a darmi la forza per sopravvivere».

[ Reinhold Messner climbs Gasherbrum II in the Himalayas – © courtesy of www.reinhold-messner.de ]

Scalate in stile alpino in Himalaya

Nel 1970 Reinhold Messner viene invitato insieme al fratello Günther a partecipare alla spedizione al Nanga Parbat (8126 m) diretta da Karl Maria Herrligkoffer. L’obiettivo della spedizione era salire l’allora inviolato versante Rupal della montagna. Si trattava di una spedizione pesante, nella quale era previsto abbondante uso di corde fisse e ausili tecnologici, secondo lo stile dell’epoca. Il 27 giugno Reinhold Messner si trovava col fratello Günther e con Gerhard Baur al campo V, l’ultimo campo. Il bollettino meteo prevedeva tempo perturbato per il giorno successivo e quindi fu deciso che Reinhold sarebbe partito da solo dal campo senza usare corde fisse, sperando così di raggiungere velocemente la vetta prima della fine del bel tempo.

Nel frattempo Gerhard Baur e Günther avrebbero attrezzato il canalone Merkl con duecento metri di corda, per facilitare la discesa. Invece Reinhold venne raggiunto dopo quattro ore dal fratello Günther, che aveva deciso di seguirlo di propria iniziativa. Gerhard Baur era tornato indietro a causa di un mal di gola che gli impediva la respirazione. I due raggiunsero la vetta nel tardo pomeriggio.

[ Reinhold Messner climbs Nanga Parbat in the Himalayas – © courtesy of www.reinhold-messner.de ]

Si trattava della terza salita di questa montagna. Essendo ormai il tramonto, però, non essendo in grado di ridiscendere per la via di salita, perché non era stata attrezzata e perché non si erano portati dietro le corde necessarie per affrontarla, i due furono costretti ad un bivacco d’emergenza. Il giorno successivo decisero di scendere per il versante Diamir, senza aspettare Felix Kuen e Peter Scholz che stavano salendo con le corde e che usarono per ridiscendere in corda doppia. Günther morì quasi alla fine della discesa, travolto da una valanga.

Reinhold, creduto morto, arrivò a valle sei giorni dopo, trasportato prima a spalle e poi in barella dai valligiani. Reinhold riportò gravi congelamenti a sette dita dei piedi e alle ultime falangi delle mani, subendo una parziale amputazione delle dita dei piedi. Reinhold Messner, che durante quell’episodio estremo perse il fratello, diventò per anni oggetto di polemiche infamanti, con l’accusa fantasiosa di aver abbandonato Günther in cima al Nanga Parbat, ben prima della discesa, sacrificandolo alla propria ambizione di attraversare per primo il versante Diamir. Solo a distanza di trent’anni l’infondatezza delle critiche rivoltegli sarà dimostrata, grazie al ritrovamento del corpo del fratello laddove Messner aveva sempre affermato fosse scomparso. Questa tragica vicenda segnò comunque per sempre la vita di Reinhold Messner.

Nel 1975 l’alpinista altoatesino compie con Peter Habeler la prima ascesa senza ossigeno supplementare del Gasherbrum I. Nel 1978 sale l’Everest senza ossigeno, sempre con Habeler, diventando uno degli alpinisti più famosi del mondo. La scalata dell’Everest senza l’ausilio di bombole di ossigeno era considerata fino ad allora impossibile per l’uomo, tanto che Messner e Habeler vengono accusati di aver utilizzato di nascosto delle mini-bombole. Tuttavia, nel 1980, Messner mette a tacere le polemiche quando il 20 agosto raggiunge di nuovo la vetta dell’Everest in pieno periodo monsonico, ma questa volta in solitaria e sempre senza l’ausilio di ossigeno supplementare.

[ Reinhold Messner on the summit of Everest in the Himalayas – © courtesy of www.reinhold-messner.de ]

Durante l’impresa, compiuta in quattro giorni, apre una nuova variante sul versante nord, senza aver preallestito campi di alta quota. Salendo deve anche affrontare la caduta in un crepaccio. Una continua agonia scriverà, in seguito, «una prova fisica mai affrontata prima». Sempre nel 1978, Messner ritorna al Nanga Parbat, da solo, realizzando la prima salita in solitaria e in stile alpino di un Ottomila. Nel 1979 affronta invece il K2 alla guida di una piccola spedizione. Insieme a Michl Dacher raggiunge la vetta il 12 luglio. Si tratta della prima ascensione della montagna in stile alpino (il K2 era già stato salito senza l’uso di ossigeno nel 1978, ma da parte di una spedizione pesante).

Dopo il 1980, Reinhold Messner continua a conquistare numerose vette himalayane, spesso aprendo nuovi percorsi, o tentando per primo l’ascesa in inverno, sempre proponendo un approccio all’alpinismo basato sul suo stile di arrampicata libera e leggera. Nel 1986 diviene il primo uomo ad aver conquistato tutti i quattordici Ottomila del Mondo (salendo anche alcune cime più di una volta). Nel dicembre dello stesso anno, con il raggiungimento della vetta del Monte Vinson, completa l’ascesa delle Seven Summits, le montagne più alte di ciascun continente della Terra. Nella sua carriera Messner ha effettuato – in arrampicata libera – oltre cento spedizioni e 3500 scalate.

[ Reinhold Messner on the summit of Nanga Parbat in the Himalayas – © courtesy of www.reinhold-messner.de ]

Attraversata a piedi dell’Antartide, della Groenlandia e di deserti

Reinhold Messner è stato quindi un grande alpinista, capace di darsi sempre nuovi obiettivi e di comunicarli con grande efficacia anche ad un pubblico di non addetti ai lavori. Appesi gli scarponi al chiodo si è dedicato all’esplorazione di siti perennemente ricoperti di ghiaccio e di deserti. Nel 1989-1990 Reinhold Messner e Arved Fuchs sono i primi uomini ad attraversare l’Antartide a piedi o con gli sci e con l’aiuto di vele spinte dal vento, passando per il Polo Sud, senza l’ausilio di mezzi motorizzati o animali (in imprese precedenti erano stati utilizzati i cani da slitta). Alcuni anni dopo Messner compie un’analoga attraversata della Groenlandia. Nel 2004, a quasi sessant’anni, attraversa a piedi i deserti dei Gobi e del Taklamakan. Per quanto anacronistica, la sua filosofia di vita permette alla natura selvaggia di conservare il suo immenso potenziale esperienziale.

[ Reinhold Messner, explorer, crosses the Arctic – © courtesy of www.reinhold-messner.de ]

Il “Messner Mountain Museum”

Negli ultimi decenni Reinhold Messner ha realizzato il Messner Mountain Museum (MMM), un circuito museale dedicato alla montagna ed ha costituito la Messner Mountain Foundation (MMF), che dà sostegno ai popoli di montagna di tutto il mondo. Ideato da Reinhold Messner – ed ora coordinato e gestito dalla figlia Magdalena – il Messner Mountain Museum è un museo diffuso composto da sei sedi, ognuna dedicata a un tema specifico.

Il cuore del circuito è rappresentato da Castel Firmiano, nei pressi di Bolzano, e dall’omonimo MMM Firmian dedicato alle grandi ascensioni e ai processi di formazione e di erosione delle montagne; il mito e la sacralità della montagna sono invece i temi attorno a cui ruota il MMM Juval, in val Venosta; il MMM Ortles, a Solda, racconta il mondo dei ghiacci, mentre il MMM Dolomites, sul Monte Rite nel Cadore, avvicina i visitatori all’elemento roccia e all’alpinismo dolomitico; il MMM Ripa, allestito nel castello di Brunico, è incentrato sulla vita e sulle tradizioni dei popoli di montagna. Il sesto e ultimo museo del circuito MMM in ordine di tempo è il MMM Corones di Plan de Corones, tra la val Pusteria e la val Badia.

[ Reinhold Messner, manager of the MMM, on Mount Rite (Bl) in 2002 – © GianAngelo Pistoia ]

Il Messner Mountain Museum non è una semplice raccolta di oggetti né un museo di scienze naturali, ma piuttosto un percorso interdisciplinare dedicato alla montagna. Composto di sei sedi, ognuna ubicata in un particolare contesto di grade interesse storico e geografico, è un’importante attrazione turistica per l’Alto Adige e un polo culturale e tematico unico al mondo. «Questo circuito museale lo considero il mio quindicesimo Ottomila. Con i musei non rischio la vita, al massimo il fallimento economico – scherza Reinhold Messner e prosegue – dopo una vita vissuta tra le pareti dolomitiche, sulle più alte cime del globo terrestre e poi in cammino nei vasti deserti di sabbia e di ghiaccio, ho voluto raccogliere l’eredità delle mie esperienze.

Desidero raccontare ciò che ho vissuto ai margini estremi del mondo e presentare coloro che hanno condiviso con me momenti di paura, talvolta di disperazione ed infine quell’euforia del ritorno, la rinascita. Tornando da mondi ostili non abbiamo altro che le nostre esperienze. Pertanto, alla fine di ogni viaggio ai confini delle nostre possibilità, quando rientriamo fra la gente, ci rimane la vita salvata, la nostra, da riempire nuovamente di sfide, di obiettivi, di nuovi impegni. Uno di questi impegni impellenti è stata per me l’ideazione e realizzazione dei Messner Mountain Museum».

Castel Juval

Reinhold Messner è un vulcano di idee. Nonostante abbia un’età in cui gli acciacchi si sentono, non è mai rimasto inattivo. Il suo mantra è «venire a patti con l’età va bene, ma arrendersi mai». Prova ne è il suo recente terzo matrimonio con la giovane Diane Schumacher. Hanno scelto quale loro “nido d’amore” Castel Juval – un vecchio maniero ricco di storia, acquistato e ristrutturato da Messner negli anni Ottanta e Novanta – arroccato su piccolo promontorio all’imbocco della val Senales, poco distante da Merano e da Bolzano.

[ Juval Castle in South Tyrol – © courtesy of www.reinhold-messner.de ]
Oltre ad essere l’abitazione privata della famiglia Messner, oggi il castello è anche sede di uno straordinario museo che fa parte del circuito Messner Mountain Museum. Castel Juval infatti ospita il museo che Reinhold Messner ha voluto dedicare al “mito” della montagna. «Per molti popoli in tutto il mondo la montagna è sacra, dall’Olimpio all’Ararat, dal Sinai al Kailash, dal Fujiama in Giappone all’Ayers Rock in Australia – spiega Reinhold Messner ed aggiunge – Il museo consta di dodici sale a tema e di una serie di splendidi cortili interni.

[ Reinhold Messner at Juval Castle in South Tyrol in 2002 – © GianAngelo Pistoia ]

Custodisce una raccolta di dipinti con vedute delle grandi montagne sacre, una preziosa collezione di cimeli tibetani e di maschere provenienti dai cinque continenti, la stanza del Tantra e, nei sotterranei, le attrezzature che ho usato nelle mie spedizioni. Adiacenti al museo si possono visitare i vigneti in pendenza dell’azienda agricola Unterortl e la trattoria Schlosswirt Juval che serve piatti tipici».

[ Reinhold Messner at Juval Castle in South Tyrol in 2002 – © GianAngelo Pistoia ]

Anch’io sono stato, suo ospite, a Castel Juval in tre occasioni: nel 1993 ho realizzato un servizio fotografico con Reinhold Messner per il settimanale inglese “The European”, invece nel 2002 e nel 2004 lo ho intervistato rispettivamente per dei media americani e giapponesi. L’ho contattato poi in molti altri frangenti per avere la sua opinione sui più disparati argomenti. Reinhold Messner a Castel Juval è stato un’impeccabile padrone di casa, affabile e cortese.

[ Reinhold Messner, writer, at Juval Castle in South Tyrol in 1994 – © GianAngelo Pistoia ]

Nel corso delle nostre conversazioni, sia a Castel Juval che in giro per il mondo, abbiamo affrontato molteplici argomenti: le sue imprese alpinistiche dapprima sulle Alpi e poi in Himalaya, le attraversate a piedi dell’Antartide, della Groenlandia, del deserto dei Gobi e del Taklamakan la divulgazione di queste avventure estreme sui media (ha scritto più di settanta libri ed è un ottimo conferenziere e “keynote speaker”), la sua militanza in politica (dal 1999 al 2004 è stato europarlamentare, eletto come indipendente nella lista dei “Verdi” nella circoscrizione del nord-est Italia), l’ideazione del circuito dei Messner Mountain Museum, la sua attività di agricoltore di montagna e ed allevatore di yak, il suo esordio quale regista cinematografico (ha finora diretto quattordici docufilm di cui due – “Die Schleierkante” e “Niemandsland” – ambientati nella valle di Primiero) e infine l’ideazione e la complessa gestione, assieme a sua moglie Diane Schumacher, della “Final Expedition”.

[ Reinhold Messner, film director, in Primiero (Trento) – © courtesy of www.reinhold-messner.de ]

La filosofia di vita

In tutte queste conversazioni, Reinhold Messner ha ribadito sempre alcuni concetti ripetuti in decine di interviste e che sono anche la sua filosofia di vita: «L’alpinismo non è turismo né sport: è un fatto culturale. Imparare a muoversi, anche su un sentiero tracciato, è un processo che richiede pazienza e studio. Io vengo da più di settant’anni di alpinismo, la mia prima ascensione l’ho fatta a cinque anni con mio padre, e non sono ancora un alpinista perfetto, non lo sarò mai – rimarca Reinhold Messner– oggi ci sono alpinisti che per scalare delle montagne in Himalaya si allenano anche dieci ore al giorno. Negli anni Settanta ed Ottanta quando ho realizzato le mie imprese alpinistiche più importanti ho soprattutto lavorato con la testa. I miei successi sono anche il frutto della capacità di far qualcosa che gli altri pensavano impossibile. Ho sempre cercato di capire chi in duecento anni di alpinismo ha fatto progredire le cose.

Mi sono chiesto perché l’ha fatto e come l’ha fatto. Io mi sono spesso limitato a fare il passo successivo. Ho un cuore normale, i miei polmoni sono normali, ed anche la mia corporatura è normalissima. Solo la mia mente è stata forse più determinata di altre. Ed ero molto più colto di molti alpinisti. Per me l’alpinismo non è solo attività fisica, è anche cultura – afferma Messner e prosegue – In questi ultimi anni spesso ci si imbatte in fotografie che ritraggono alpinisti in coda, in attesa di raggiungere le vette delle montagne per la foto di rito. Se Walter Bonatti potesse vedere queste immagini si arrabbierebbe tantissimo. Lui che ha vissuto l’alpinismo più tradizionale e pulito, non lo avrebbe sopportato. Purtroppo dove c’è mercato, c’è consumismo. E ora questo è arrivato anche sulle montagne più alte. Negli ultimi trent’anni ho osservato cosa stava accadendo sui monti e ho messo in guardia l’opinione pubblica, ma i mass media finora hanno ignorato questi miei accorati appelli.

[ Reinhold Messner, film director, in Nepal – © courtesy of www.reinhold-messner.de ]
Ora ci sono le agenzie che vendono pacchetti completi per portare in vetta persone che da sole non riuscirebbero a percorrere cento metri in quelle condizioni. È quasi come comprare un viaggio per le Seychelles, solo più faticoso e un po’ più pericoloso, ma per il resto non c’è grande differenza. E così adesso la stagione delle scalate in Himalaya inizia in aprile con squadre di sherpa che vanno a preparare i campi base dotati di cucine e ambulatori, ad allestire ponti e scale, a tirare corde fisse per mettere in sicurezza i passaggi più pericolosi. Insomma è tutto un altro mondo.

Nemmeno un metro delle mie spedizioni è stato fatto con davanti gli sherpa. Mi domando se questi “alpinisti improvvisati” hanno l’esperienza per apprezzare l’ambiente in cui stanno camminando. L’equipaggiamento è sì impeccabile, ma sono consapevoli sia dei rischi che si corrono in montagna e sia delle bellezze che vedono? Ma se sull’Himalaya il senso profondo e pionieristico dell’alpinismo sembra essersi un po’ perso, in altre parti del mondo c’è chi ne porta avanti lo spirito più puro: è il caso ad esempio di Matteo Della Bordella e di Hervé Barmasse che sono figure di altissimo livello. Il loro alpinismo è fatto di disciplina, voglia di esporsi al massimo, fuori da ciò che è conosciuto.

Se Matteo Della Bordella si trovasse in difficoltà in Patagonia, sotto una cima, non potrebbe chiedere l’aiuto dell’elicottero ma dovrebbe cavarsela da solo. Sull’Everest invece ormai non è più così: è tutto organizzato per andare a recuperare fino quasi a 8.000 metri chi soffre la quota. Forse complice la pandemia in Italia da alcuni anni la montagna è diventata però anche meta di un turismo diverso rispetto al passato. Tanti connazionali sono venuti a trascorrere le vacanze sulle Dolomiti o in altre località delle Alpi. È un segno positivo: significa che la gente cerca emozioni reali e ha tutto il diritto di viverle, con un turismo meno frenetico, godendo del silenzio, della lentezza e del fascino delle montagne.

[ Reinhold Messner, eclectic and wise man, in South Tyrol – © Tourismusverein Eppan / Helmut Rier / Reinhold Messner ]

Anch’io oggi preferisco andare dentro anziché sulle montagne: raggiungere posti isolati, sentire il rumore dei passi, perdermi nell’infinito. Le cime non m’interessano più: non devo più dimostrare di poterle raggiungere. Prediligo andare anche avanti, dove capita. Ci sono ancora tante cose che m’incuriosiscono. Vado incontro alla vita. Un po’ zoppo, ma vado. Il domani non mi spaventa. Ho già preparato il posto dove verrà messa la mia cenere. È qui a Juval, in un “chörten tibetano” molto semplice che ho fatto costruire ai muratori locali con l’aiuto di amici nepalesi.

Pensare a questa bella dimora spirituale mi dà pace. Ho sempre saputo di avere un limite temporale. Il distillato della mia vita è la consapevolezza del limite. Ho già perso tanti amici più vecchi, da Riccardo Cassin a Walter Bonatti. Che tocchi anche a me è naturale. Non ho rimpianti – chiosa Reinhold Messner e conclude – Mi assumo la responsabilità di quello che ho fatto. Ma vivo di ciò che proietto nel domani sia un’idea, una visione o un progetto nuovo come “Final Expedition” e non di quanto, seppur importante, ho fatto ieri».

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