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12 aprile 1917 – 2017, Cento anni fa lo scoppio della prima mina sul Colbricon

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Non una guerra moderna si combatté nel 1915-17 sul Lagorai e sulle Dolomiti: si trattò di una guerra medioevale in cui gli assedi ai castelli ed alle fortezze vennero sostituiti da quelli alle creste ed alle cime delle montagne

Il gruppo del Lagorai è una zona montuosa per molti sconosciuta se paragonata alle vicine Dolomiti. L’unica cima a godere di una certa notorietà è il Colbricon (metri 2602) grazie alla sua vicinanza al Passo Rolle e per le vicende legate alla Grande guerra.

di Ervino Filippi Gilli

Lagorai (Trento) – La Prima Guerra Mondiale è stata l’ultima guerra di posizione ma anche la prima guerra moderna in cui, oltre ad utilizzare nuovi armamenti quali i carri armati, i lanciafiamme, il filo spinato ed i gas, viene colpita anche la popolazione civile lontana dai campi di battaglia (si pensi solo al bombardamento di Londra effettuato dagli Zeppelin).

Ma non una guerra moderna si combatté nel 1915-17 sul Lagorai e sulle Dolomiti: si trattò di una guerra medioevale in cui gli assedi ai castelli ed alle fortezze vennero sostituiti da quelli alle creste ed alle cime delle montagne, i cannoni sostituirono le catapulte, le mitragliatrici ed i fucili le balestre.

Gli scontri all’arma bianca

Ma la ferocia degli scontri all’arma bianca rimase (e rimane) non venne sostituita dalla tecnologia. Questo contributo narra di come un esercito, in questo caso quello italiano, incapace di espugnare le posizioni avversarie, fece ricorso a tattiche già sperimentate da quasi quattro secoli.

Nella logica difensiva dell’Impero Austrungarico alcune valli (di Primiero, del Vanoi, l’Ampezzano, ecc.), erano considerate indifendibili anche perché gran parte dell’esercito stava combattendo sul fronte orientale contro l’Impero Russo ed a difendere il confine meridionale restavano poche compagnie: al contrario la linea del Lagorai, con le sue pareti quasi verticali rivolte a Sud (ad esclusione dei Cauriol e poche altre), poteva essere considerata come un baluardo conquistabile dal nemico solo a carissimo prezzo (come in effetti fu per alcune vette) in quanto allontanare da una cima fortificata chi è deciso a difenderla è missione quasi impossibile; l’unica via era quella di eliminare fisicamente parte della montagna.

L’idea di far saltare in aria le posizioni avversarie, concepita per la prima volta da Pedro Navarro nel XVI secolo, era tornata in auge già all’inizio del 1916 con la prima mina austriaca sul Lagazuoi seguita da altre (il 17 aprile venne fatto saltare il Col di Lana e l’11 luglio toccava al Castelletto sulle Tofane), in tutto 34 sul fronte tirolese.

Questo modo di combattere venne ripreso anche sul fronte occidentale nel 1917: agli inizi di quell’anno l’esercito inglese, incapace di conquistare il colle di Messines nei pressi della cittadina di Ypres, scavò per sette mesi una serie di gallerie che minò con 500 tonnellate di esplosivo divise in 19 cariche.

Il risultato delle esplosioni fu una carneficina colossale con circa 10.000 soldati tedeschi morti (molti dei quali non vennero mai più ritrovati) ed 8000 fatti prigionieri in quanto incapaci di reagire all’attacco perché frastornati dalle esplosioni.

Lo scoppio della mina

Le mine fatte esplodere sul fronte italiano non furono così devastanti ma causarono comunque un numero considerevole di decessi. Ritornando al Colbricon… nel comunicato del generale Cadorna pubblicato il 15 aprile 1917 su Il Resto del Carlino si legge: “Sul massiccio del Colbricon (Alto Cismon) nuclei nemici assalirono la posizione da noi occupata nella notte precedente dopo l’efficace scoppio della nostra mina…”

(L’Articolo prosegue sull’edizione Cartacea in distribuzione nei prossimi giorni) 

  • Per ulteriori Approfondimenti: chi fosse interessato all’argomento, sono consigliate le letture dei libri di Adone Bettega e quello di Robert Striffler “1917 Guerra di mine nelle Dolomiti”, libri che raccontano le vicende con dovizia di particolari.

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